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adunque del conte di Bressa si fece un affare di stato. Gli scrisse il Duca che subito deponesse il governo, e gli fece la stessa intimazione il re di Francia; ciò non di meno it conte non istimò di obbedire nè all'uno nè all'altro. Volendosi per altro vincere una tal ripugnanza, che ora più che innanzi feriva l'autorità del Sovrano, fu spedito Antonio Campione presidente del consiglio di Torino con lettere del Re e del Duca a tutti gli uffiziali e governatori delle città, comandando ad essi, che ben si guardassero di obbedire al conte, il quale perciò si vide costretto ad abbandonar il governo, e ad uscir dal Piemonte. Inoltre il Duca gli chiese l'omaggio della contea di Bressa, ed il Re minacciollo di mandarvi un esercito ove non obbedisse. Laonde il conte, sentendosi premere da tante parti, e non veggendosi sicuro negli stati del Duca, e nè anco nel reame di Francia, prese la via di Basilea, e si recò nell'interno dell'Ale

magna,

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<Luigi XI che voleva esercitare la sua dominazione sugli stati del duca di Savoja suo nipote, per un colpo di apoplessia cessò di vivere addì 30 d'agosto del 1483. Carlo I sottratto allora dalla soggezione della Francia discese in Piemonte; onorò del suo soggiorno le città di Susa, di Pinerolo, e di Carignano, ed inclinando a favorire gli ecclesiastici, ricevette sotto la sua special protezione i monasteri dis. Benigno e di Casanova. Intanto la città di Torino, come capitale di questo paese, preparavași a riceverlo, come infatti lo ricevè con l'usata magnificenza. Grandissima fu la pompa con cui lo accolsero i Torinesi; ma ben maggiore funne l'allegrezza, vedendo essi in quel giorno estinte tutte le pretensioni delle tutele e; e la loro somma letizia nasceva. da forti cagioni. Carlo I, dotato d'una grande vivacità di spirito, temperata da una precoce saviezza, aveva potuto profittare assai delle istruzioni che gli furono date da due eccellenti precettori, cioè Nicolò Ferrero chierese che gli insegnò le belle lettere e la storia, e Nicolò di Tarsi canonico di Vercelli, che lo istruì nelle moderne, e nelle antiche lingue, mentre, Gioanni d'Orleans, conte di Dunvis, formavalo agli esercizii che rafforzano il corpo, ed eziandio alla gentilezza delle maniere, che si addice massimamente

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ai principi. Nel giorno medesimo, in cui Carlo 1 fece il sub solenne ingresso in Torino, si elesse a confidente il maresciallo di Miolans, innalzò Antonio di Campione alla dignità di cancelliere; nè molto indugiò a visitare le subalpine provincie, manifestando da per tutto una fermezza d'animo superiore alla sua giovane età: presto gli si offerì l'occasione di mostrare che all'uopo sapeva unire alla ferma indole sua gli accorgimenti, il senno e la calma che sono indispensabili nel trattar gli affari più ardui e delicati, in cui la sola forza diviene odiosa, e ben sovente manca di buon successo. 1 duchi di Savoja dacchè avevano acquistato la contea di Geneva, nominavano il vescovo di quella città. Il papá Martino V che all'epoca del concilio di Costanza si era soffer mato durante tre mesi a Geneva, conferì a quel capitolo il diritto di eleggere il proprio vescovo secondo l'uso dei primi secoli della chiesa. Amedeo VIII, in sua qualità di cardinale, e di vicario apostolico negli stati dell'augusta sua casa ri cuperò i diritti della medesima sulla sede genevese. Ora il duca Carlo I, a cui erano ben noti quei diritti, nominò a quella sede Francesco di Savoja, arcivescovo di Auch, surrogandolo a Gian Luigi di Savoja, suo fratello, che poco prima era passato a vita migliore: se ne adontò il papa Sisto IV; e nacquero tra lui ed il nostro Duca gravi dissapori.

Sisto IV, nato in Albissola di povera famiglia che portava il cognome Della Rovere, volea farsi credere dell'antica nobile prosapia dei Della Rovere signori di Vinovo in Piemonte; ed in vero aveva già scritto agli abitanti di Torino una lettera in data del 23 di marzo del 1442, nella quale loro diceva che non potendo non pensare con compiacenza al luogo della nascita de' suoi antenati, voleva vieppiù rabbellire la loro città, e concederle specialissimi privilegi; dat loro canto i Della Rovere di Torino non ricusavano di riconoscere un loro consanguineo sul trono del Vaticano; se per altro Sisto IV non fosse stato Papa, non sarebbesi mai supposto oriondo dal nobile lignaggio di Vinovo. Fatto è che quel sommo Pontefice, attenendo la promessa fatta ai torinesi, promosse alla dignità di cardinale Cristoforo Della Rovere, supponendola suo parente, e si pose ad innalzare.

il di lui fratello Domenico, cui vedeva fornito di somma dottrina, e di eccellenti doti dell'animo innanzi a tutto lo fece suo famigliare e cameriere, investendolo di molti ecelesiastici benefizi: oltre a. ciò Domenico Della Rovere ebbe la prepositura della chiesa cattedrale di Torino, quella dei ss. Antonio e Dalmazzo in questa medesima capitale, la prepositura di Carignano e quella di Rivoli; fu in appresso canonico di Losanna e d'Ivrea, priore del monastero di sant'Andrea di Torino, abate commendatario di s. Cristoforo di Vercelli, di s. Mauro di Pulcherada, e del monastero di Ambronay. Essendo mancato ai vivi nel 1478 il cardinale Cristoforo suo fratello, il Papa eresse Domenico a custode della mole Adriana, ossia del castel sant'Angelo in Roma; nè guari andò che creollo prete cardinale con un titolo, cui egli cangiò dappoi (1482) in quello di s. Clemente, Nell'anno medesimo Sisto IV lo promosse al vescovato di Torino; e siccome Gioanni di Compeys occupava questa sede, il Papa propose di dargli il vescovato di Geneva a condizione ch'ei rimettesse quello di Torino al cardinale di s. Clemente.

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Il duca Carlo I era ben contento che Sisto IV elevasse i suoi sudditi alle alte cariche ecclesiastiche; ma non potea comportare che ciò accadesse a detrimento della sua autorità, e per ciò stette fermo a far valere la nomina già da esso fatta. Dal suo canto, il sonimo Pontefice traslocò risolutamente Gioanni Compeys dalla sede di Torino a quella di Geneva e lanciò i fulmini dal Vaticano contro il consiglio ducale, e contro tutti quelli che osassero resistere a tali sue deliberazioni. Egli assolutamente voleva vedere Domenico Della Rovere sulla cattedra vescovile di Torino. Nel bivio di rinunciare a' suoi diritti o di resistere al Papa, Carlo I consultò il suo zio Filippo di Bressa, di cui apprezzava i lumi e l'esperienza. Questo Principe che, dopo la morte del re Luigi XI, erasi riconciliato col suo augusto nipote, gli diede in questa occasione un primo pegno di affezione sincera. Si assunse primamente il carico di allonta nare Compeys dalla sede di Geneva, di stabilirvi Francesco di Savoja, e d'impadronirsi della città, affinchè senza ostacoli ne prendesse il possesso; sostenne quindi con tanta

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forza ed eloquenza i diritti di sua famiglia, che fece trionfare la sua causa, e potè con istupore di molti calmar l'animo altiero di Sisto IV: il Compeys ebbe infine l'arcivescovado di Tarantasia, Francesco di Savoja ritenne la sede di Geneva, e Domenico Della Rovere fu, di comune accordo col Papa e col Duca, promosso al torinese vescovado. Egli venne a prenderne il possesso nel 1483; ed infatti troviamo in ordinati della città del 3 novembre di quell'anno, essere stati eletti sapienti a ricevere il cardinale di s. Clemente, nuovo vescovo di Torino. Solenne quanto mai si possa im, maginare fu il suo ingresso in questa capitale; perocchè at pieno concorso del clero e del popolo, v'intervennero lo stesso Carlo duca di Savoja, tutti i grandi di sua corte, Ludovico zio del Duca arcivescovo in partibus e nuncio della Santa Sede alla corte Sabauda, i pubblici magistrati, e i decurioni della città. I Torinesi si mostrarono sinceramente lieti di essere governati nelle cose spettanti al divin culto da un inclito loro concittadino, che era in grandissima stima in tutto l'orbe cattolico, e concepirono la speranza, che non andò fallita, di riceverne segnalati vantaggi. Ed in vero il vescovo cardinale di s. Clemente si fece subito a togliere di mezzo alcune gravi differenze. Sisto IV ascol tando benignamente le istanze del marchese di Saluzzo Ludovico II, e di quel comune, avea conceduto che l'antica pievania fosse eretta in chiesa collegiata, con un capitola di dodici canonici e sei diguità, oltre ad un decano che a tutti presiedesse; ma le bolle pontificie soffrivano ritardo nell'esecuzione, perchè il duca Carlo di Savoja, ed il Compeys vescovo di Torino, non volean concedere che al marchese di Saluzzo fosse devoluto il patronato della nuova collegiata superate le difficoltà che per parte del Duca eransi frapposte, il cardinale Domenico Della Rovere, in qualità di delegato pontificio, eresse canonicamente la saluzzese collegiata, applicandole diversi priorati e prepositure. Anche nella cospicua e popolosa terra di Revello Sisto IV concedette la erezione di una collegiata per compiacere al marchese Ludovico, ed il cardinale vescovo di Torino ne spediva le lettere apostoliche da Vinovo nel dì 27 di novembre 1483.

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Nel seguente anno mancava ai vivi il papa Sisto IV, ed il cardinale Della Rovere partì per Roma a fine d'intervenire al conclave, lasciando a Guglielmo Caccia, arcidiacono e suo vicario generale l'incarico di provvedere nella sua assenza ai premurosi affari della diocesi torinese. Frattanto il duca Carlo I proseguiva a mostrarsi sollecito a' pro dei suoi sudditi. Maritatosi a Bianca figliuola del marchese di Monferrato, diede argomento di molta lietezza ai Torinesi, che accolsero gli augusti sposi come in trionfo. Si fu in quella occasione che il Duca vedendo come sovente per l'impeto della Dora era necessario di trasportare spesso la chiusa dell'acqua dei molini, fece al torinese municipio liberà facoltà di trasportarla, o fissarla dovunque gli piacesse o richiedesse il bisogno.

Trovandosi in Roma Carlotta regina di Cipro senza figliuoli, il duca Carlo vi mandò suoi ambasciatori per ricevere la donazione del regno di Cipro che quella regina gli fece. Circa questo tempo fu dal re di Napoli, dal duca di Milano, dai Veneziani e dai Fiorentini sollecitato a collegarsi con loro per opporsi al papa Innocenzo VIII, i cui disegni, per quanto appariva, davano ai potentati italiani qualche inquietudine. Il nostro Duca non volle avervi parte, scusandosi urbanamente con tutti quei collegati sulla necessità in cui trovavasi di reprimere nei proprii stati le armi de' malcontenti. ·

Nè in ciò allontanossi dal vero. Ei trovavasi in Vercelli, ove godea delle feste che ad onor suo facevano gli abitanti di quel municipio, e di là spediva ambasciadori a Milano perchè vi assistessero al contratto di matrimonio di sua cognata Bianca Maria di Milano, promessa in seconde nozze ál re d'Ungheria, quando fu fatto consapevole che il marchese di Saluzzo, il signor di Cardè, e Claudio di Racconigi avevano risoluto di entrare negli stati suoi, di scacciarne le persone a lui più devote, cioè il Miolans, il Mentone, il Foresta ed il Marcoffi suoi favoriti, e di ristabilire il Racconigi nelle primiere sue cariche. Questo signore di un ramo bastardo dei principi d'Acaja, era uomo sommamente pericoloso non tanto per l'inquieta indole sua, e per l'animo vendicativo, quanto per le sue molte ricchezze, colle quali

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