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calendas sextiles primas non esset, cujus dolo malo in servitutem venisset, ut juratus Senatus decerneret, qui eam rem quaereret, animadverteretque.

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Richiamato a Roma Popilio, si pubblicò un senatocon-. sulto prescrivente, che quelli tra i Liguri, i quali non erano› più nemici, fossero restituiti in libertà, agrumque iis trans Padum Cos. C. Popilius daret. In virtù di questo senatoconsulto molti mila uomini furono rimessi in libertà, e trasportati di là dal Po, fu loro assegnata una campagna, dove potessero dimorare; Livio lib. 42, cap. 24. 22. Non si può saper con certezza in qual parte della transpadana regione fossero tradotti quei Liguri; ma su di ciò il Durandi osserva come Strabone ci rende avvertiti, che al suo tempo nell'Italia cispadana uon vi erano rimasti, che i Liguri, e le colonie dei Romani. Laondes i Galli, i quali prima vi ́abitavano, eran già tutti o diseacciati, od estinti. Ma quel sommo storico non siegue poi a raccontarci che sia avvenuto dei Galli transpadani. Nondimeno Polibio scrisse, che poco tempo dopo la vittoria di M. Claudio Marcello contro gl'Insubri, l'anno di! Roma DXXXI, tutti i Galli furono scacciati dalla pianura intorno al Po; e verosimilmente puossi congetturare, che cinquant'anni appresso vi sieno stati espulsi anche i Ceno mani, e quindi gl'Insubri. Polibio eccettuò da questa sciagura alcune popolazioni sotto le alpi, le quali, è da credere, che fossero i Libici ed i Taurini più per tempo confederati coi Romani. Adunque i suddetti Liguri puonno essere stati tradotti nelle campagne degl'Insubri o de' Cenomani. È bensì! vero che il compilatore di Livio lib. 46 (anno di Roma DLXXXVII), dice che il console M. Claudio Marcello soggiogò i Galli alpini, e il suo collega G. Sulpicio Gallo soggiogò i Liguri; ma da ciò non sembra potersi dedurre che anche i popoli vicini alles alpio sieno stati in quell'anno debellati da Marcello: il compilatore parla de popoli alpini. Tanto più che i Liguri, ch'egli dice soggiogati nell'istesso anno da Sulpicio Gallo, vi erano ancora nella ›cispadana regione, a' tempi di Strabone: da Sulpicio adunque, furono domati e repressi, ma non discacciati. Forse l'abbreviatore di Livio volle parlare de' Liguri cisappennini. Infatti convien credere che pochi ne restassero di questi in Italia dopo la

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vittoria di Sulpicio, giacchè i 'Romani andarono di lì a poco a cercarli di là dalle alpi. Con tutto ciò non crediamo che altrove fossero trasportati gli Stazielli; ed i Taurini che si portarono in loro soccorso facilmente ebbero la pace dai conquistatori.

V.

Torino perde la sua indipendenza.

È fatta colonia romana.

Affinchè si possa conoscere quali sieno state le sorti di questa capitale dopo che soggiacque al dominio di Roma giova farsi un concetto della precedente condizione de' suoi abitanti, e di quelli della stessa nazione, che soggiornavano nell'ampia taurina contrada.

Alcuni scrittori pensano che i costumi primitivi della taurina gente si sieno alterati dopo le irruzioni dei Galli, il cui culto era tanto barbaro, che i loro sacerdoti e le sacerdotesse sacrificavano vittime umane; ma è da credere che o iGalli venuti ad invadere le itale terre non professassero la religione dei Druidi, e non fossero tanto disumani, quanto ci vengono dipinti gli antichi abitatori di altre regioni galliche, o che qui poco a poco si svezzassero della loro barbarie.

In quanto ai Taurini, primitivi abitatori della nostra contrada, nulla si può sapere se non quanto ci vien detto dagli storici greci e latini, i quali si accordano nell'affermare che semplici erano i loro costumi; che erano bensì popoli bellicosi, ma non abusavano della vittoria, ed appena cessate le ostilità, si davano colla più grande sollecitudine alla col-* tivazione delle proprie terre, ed alla pastorizia; della loro schiettezza e lealtà diedero i Taurini prove incessanti : diş nessun atto barbaro e crudele non veggiamo incolpati i Taurini: amando di vivere secondo i dettami dell'equità na-: turale, non mai cercavano di soperchiare i loro vicini; sel solamente impugnavano le armi per difendere l'integrità del ̈ proprio territorio: li vedemmo ultimamente armarsi contro il console Popilio, sebbene già fossero confederati de Romani; ma combatterono contro di esso in difesa degli Stazielli loro clienti, i quali da Popilio erano stati assaliti contro gli ordini ricevuti dal senato.

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Per riguardo all'amministrazione della giustizia, vero è che la taurina gente non aveva una lunga serie di ordinamenti che limitassero i diritti di ogni persona, d'ogni villa, d'ogni pago o borgata, ma si studiavano d'andar incontro alle frodi, ai soprusi, e ad ogni atto ingiusto coll'osservanza di alcune leggi capitali, e coll'insinuare l'equità e la buona fede; ma dagli antichi indagatori di queste cose si osservò che le migliori nazioni non furono già quelle che ebbero una molto sottil precisione di leggi; e certamente a rendere men necessaria una tal precisione di ordinamenti appo i Taurini, eranvi due particolari ragioni.

L'una era perchè certe pratiche del loro culto religioso supplivano in gran parte alla legislazione anche per le cose civili, l'altra perchè suppliva in tutti i casi il comun diritto delle genti, ossia l'equità naturale e la buona fede, senza lá quale sarebbersi presa vana fatica in allora i principali ed i magistrati a regolare i traffichi e gl'interessi dei privati, e dei rispettivi borghi o paghi con la forza delle leggi scritte. Seguitavasi pertanto nel più delle cose l'equità ingenita negli animi umani, o vogliam dire la ragion comune; non già quella descritta ne' frammenti delle leggi romane e negli editti di Giustiniano, ma quella ricevuta per consentimento delle nazioni, e che perciò fu da' giureconsulti chiamata jus gentium. Appresso i moderni giuristi intendesi per diritto delle genti quella sorta di leggi, di riguardi o di regole, che osservano, quasi per tacito consenso, gli stati e le società civili, usando e contrattando tra loro. Ma i Taurini, e gli altri antichi popoli, meno sottili in definire e distinguere, chiamavano parimente diritto delle genti così quello che usavano i privati nella più parte de' loro contratti, come quello che credevano doversi osservare tra uno stato e l'altro; perocchè proveniva dallo stesso principio, e posava sopra lo stesso fondamento, cioè sopra un tacito consenso dei popoli.

Ben furono in una cosa difettose generalmente le antiche nazioni nei loro statuti, e questa era l'incertezza della sovranità, e per conseguenza l'instabilità del governo, la quale fu in tutti o quasi tutti gli stati italiani perpetua cagione d'in-, finiti scompigli; e diffatto molti degli antichi popoli d'Italia. furono da principio governati dai Re; ma correndo il terzo se

colo dell'era romana, l'un popolo seguendo l'esempio dell'altro, quale per un'opportunità, quale per un'altra, o cacciarono violentemente, o cessarono di eleggere nuovi monarchi, e in gran parte dell'Italia si mutò forma di reggimento. L'odio del nome reale, ed un certo entusiasmo di libertà occuparono così universalmente e con tal forza le itale genti, che se alcuna città volle o continuare, o ripigliar talvolta l'uso di crearsi un Re, essa n'era perciò mostrata a dito e svillaneggiata dalle altre, e ne' maggiori bisogni abbandonata. Fu anche notato negli annali di Roma, che i confederati del nome latino, i quali pure avevano un tempo riconosciuti per loro signori i re di Roma, furono per rinunziare all'amicizia dei Romani, quando li videro caduti sotto la tirannide de' decemviri, mostrando di non voler essere alleati d'una città che non fosse libera.

I popoli pertanto procacciavano con ogni mezzo di ottenere la libertà; e poichè la moltitudine cominciò far prova delle sue forze, fu d'uopo cederle; ed osservò Tito Livio, che circa i tempi delle guerre cartaginesi, la plebe si volse anche a perseguitare la nobiltà. Non di meno la classe dei nobili conservò pur sempre molta parte della potenza. Perciocchè la natura del governo popolare essendo per se varia ed incostante, ed anche incapace di condursi da per se stessa, la nobiltà, come quella che opera con interessi più uniti, potè quasi sempre contrappesare il partito della plebe, e ben sovente superarla. Di qui nasceva che quasi tutte le città erano sottoposte a rivoluzioni continue di governo, e ben di rado si godeva quella perfetta egualità che è il fine degli stati liberi.

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Or è bello il por mente alla condizione dei popoli Taurini in quelle rimote età; giacchè essi non mai si sviarono, sino al tempo in cui soggiacquero al dominio di Roma, da quella semplice forma di popolare governo, che sempre li tenne uniti, concordi ed obbedienti ai capi ed ai magistrati di loro scelta.

Vero è per altro che Torino, assai prima della pace fatta coi Romani, già conoscendo il pregio di quelle ottime instituzioni, per cui fiorivano altre città della nostra penisola, erasi posta in sulla via del progresso civile: e ciò avvenne,

dacchè ella imitando ahri distinti e popolosi luoghi d'Italia, cortesemente accolse nel suo seno alcuni di que' valenti artisti e letterati, che dalla dotta. Etruria andavano a stabi lirsi ne' più grossi borghi, e nelle città di altre italiche regioni, nella speranza di farvi qualche fortuna, gli uni esercitando le loro arti, e gli altri aprendo scuole pubbliche, ed istruendo i giovani in varii rami dell'umano sapere; ep però, quando Torino soggiacque alla romana dominazione, già trovavasi in grado di apprezzare le arti belle, le ottime discipline, la sapienza che rifulge in varie parti della romana legislazione, e seppe così ben profittarne, che poscia ne' più bei tempi del romano impero, ella divenne una cospicua immagine della stessa Roma, come si vedrà nel corso di queste memorie storiche.

*

Abbiam detto qui sopra che Torino fu fatta romana colonia; or dobbiamo fare un cenno dello stato politico d'Italia dopo che Roma la soggiogò, affinchè meglio si vegga in qual condizione siasi ritrovata la nostra capitale per quel politico mutamento. Non tutte le italiche nazioni passate sotto il dominio di Roma, vi stavano in egual grado di dipendenza. Alcune governavansi secondo le proprie e antiche loro leggi: altre usavano leggi mişte, osservando in parte le leggi e i privilegi, cioè il gius privato de' romani, e parte ritenendo delle leggi e dei comuni proprii, con quegli stessi, ordini che si tenevano mentre ancora erano affatto libere. Altramente però avvenne di alcune città, o perchè esse medesime, non potendo per le gare e invidie domestiche governarsi di per se, avevano spontaneamente domandato a Roma leggi e magistrati che le reggessero; ed alcune città infelici furono dalle condizioni della pace costrette a perdere ogpi loro diritto, e ridotte ad una total soggezione sotto il governo di un magistrato che lor si mandava da Roma. Ma o pocą o molta che fosse la differenza tra il gius civile o privato delle colonie, delle prefetture, e de' municipii, in questo però la loro condizione era conforme, in ciò che dovevano, così nel comune come nel particolare dipendere dai Romani per molti riguardi.

A Torino allora non potè a meno di rincrescere il perdere la propria autonomia, di cui godeva gli effetti da molti

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