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prima di rifugiarsi a Vercelli avea persuaso aj custodi delle piazze di non fare alcuna resistenza, a ciò indotto non tanto dal pensiero di ammansar l'animo del re Francesco, quanto dalla speranza, che l'Imperatore si assumesse più presto e più gagliardamente il carico di discacciare i Galli dal nostro paese. Queste sue fiducie, inspirate le une dal timore, e le. altre dalla soverchia sua credulità per riguardo all'assi-. stenza degli imperiali, lo fecero disprezzare sì dai partigiani, della Francia, come da quelli dell'impero.

Frattanto il governatore di Torino vedendo molto rari essere i cittadini, di cui non pochi s'erano sottratti per, tempo al furor de' Francesi, fece pubblicare ordini rigorosi per tutto il distretto, affinchè tutti quelli che se ne erano fuggiti dalla loro città dovessero ritornarvi sotto pena della confisca dei beni, e di essere dichiarati e puniti come ribelli. L'Annebaldò, luogotenente del Re, pensò tostamente a meglio assicurare questa città, che ancor era qua-, drata alla foggia romana. Per questo fine se ne atterrarono i quattro grandissimi borghi, che a quattro parti della cittàsi ergevano con belli ed utili edifizi; e furono eziandio agguagliate al suolo le torri, che sorgevano ai quattro lati. Nelborgo fuori della porta di Susa vedevansi, oltre agli edifizi profani, il tempio del santo Sepolcro, uffiziato dai religiosi. crociferi, il tempio di s. Bernardo e quello di s. Valerico. Alla porta marmorea, la quale si apriva dove oggidì sta il nuovo convento di s. Teresa, caddero col nobile sobborgo varii begli edifizi, fra' cui il convento, che già abitavano gli, Umiliati. Alcuni storici affermano, che fu allora riempito un: lago molto spazioso, circondato da deliziosi rialti, e vennero abbattuti molti frammenti di romane iscrizioni insieme con altri preziosi monumenti di antichità: alla porta del castello, i Francesi distrussero il tempio di s. Salvatore ricco di marmi, e di pitture. Alla porta del palazzo spianarono colle fabbriche: del borgo la chiesa, che chiamavasi della Madonna degli Angeli, il tempio di s. Lazzaro, la chiesa di s. Margarita ed il monistero di s. Secondo, le cui venerate ossa non furono · involte fra le rovine, perchè già dianzi trasportate in s. Giovanni: ivi cadde pure la chiesa di s. Rocco.

Appena eseguite queste distruzioni, si accinsero i „Fran

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cesi ad assicurare dalle sorprese una piazza di tanta importanza. Vi eressero bastioni, ed in breve tempo aggiunsero nuove opere di difesa alle già esistenti, affinchè la città si trovasse in istato di poter resistere ad un assedio, che prevedevano di dover presto sostenere; nè il loro presagio era privo di fondamento. Frattanto il re di Francia pensò ad assicurarsi pure dei cittadini, conciliandosene l'affetto coll'illustrarla di privilegi; poco giovando gli esterni rimedi, dove il male fosse intestino, cominciò emanare un diploma a favore non solo dei Torinesi, ma di tutti i popoli subalpini dichiarando questi stati come parte integrante del regno di Francia, e loro concedendo tutti quei privilegi, che godevano i suoi sudditi oltramontani; ciò decretava in agosto del 1536; e nel seguente anno con altro diploma del 13 febbrajo dichiarò, che i Torinesi avessero a godere in avvenire di tutti i privilegi della nazione francese, il quale diploma fu poi confermato da Enrico II. Oltre a ciò volle confermare a questa capitale tutte le sue franchigie ed ogni statuto antico e recente: concedette che sempre vi siedessero un giudice di prima cognizione, un vicario della politica e polizia, un presidente per le cause di seconda cognizione, un conservatore de' mercanti ed un senato per ultimo ricorso. Volle che continuassero ad esistere in questa città la camera de' conti, l'università degli studii e la zecca da coniarvi ogni sorta di monete d'oro e d'argento..

Appena terminate le opere di fortificazione intorno a Torino, l'ammiraglio Chabot andossene a sforzare il passaggio della Dora Baltea, e mosse verso Vercelli. Il marchese di Saluzzo chiese ed ottenne d'irsene con numerose truppe ad occupare le città e le terre che negli scorsi tempi appartenevano alla sua marca, e presto vennero in suo potere Cuneo, Busca, Cherasco, Caraglio, Fossano ed altri luoghi già soggetti alla sua prosapia. Si fu allora che il Chabot ordinò in nome del suo monarca a tutti i comuni ed ai signori delle terre racquistate dal marchese di Saluzzo, e a lui concedute dal Re, di riconoscerlo come loro signore, e di prestargli omaggio sotto pena di venir dichiarati ribelli.

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In questo frattempo l'accorto De Leva, alla testa dell'esercita imperiale composto di cinquanta mila combattenti, ve

nuto celeramente sin presso a Torino, pose a questa capitale un assedio, che poi convertì in blocco, aspettando l'arrivo di Cesare: era con lui il duca di Savoja, il quale sommamente sperava, che questa sua capitale non tardasse ad arrendersi per fame, ignorando forse che il presidio, uscito col mezzo di scale, avea sorpreso una considerevole provvisione di viveri a Ciriè. Il re di Francia, fatto appena consapevole della mossa del fiorito esercito imperiale, dubitando che i mezzi acconci a sostener la gran lotta gli venissero meno, spedì il cardinal di Lorena in Piemonte perchè intavolasse pratiche per una pace, od almeno per una tregua. Partiva intanto alla volta di Parigi il Chabot, e rimaneva al supremo comando delle galliche truppe nelle terre subalpine il marchese di Saluzzo, che prese ancora al Duca le piazze di Chieri, Savigliano, Chivasso ed alcune altre. Il cardinale di Lorena, soffermatosi per breve tempo in Piemonte, andossene a Siena per ivi trattare con Carlo V un accordo a nome del suo Sovrano: le proposizioni da lui fatte furono ricusate. Il marchese di Saluzzo profittò del tempo in cui si facevano quelle inutili trattative per irsene alla capitale della Francia, e conseguire, da Francesco I la conferma delle ricuperate piazze della sua marca. Quel Re, vedendo come una tale domanda era intempestiva, lo accolse freddamente; ed il marchese sen ritornò di mal umore a ripigliare il co-, mando delle schiere francesi in Piemonte. L'avvedutissimo De Leva, cui fu conosciuto il malcontento del marchese di Saluzzo, gli fece segrete offerte vantaggiosissime per indurlo ad abbandonare i vessilli di Francia ed a prendere servizio, nelle truppe imperiali. Egli accolse con giubilo le proposte che gli vennero fatte: cominciò a spalleggiare la diserzione dei soldati francesi al suo comando affidati; sviò le munizioni e andò temporeggiando nel prendere le opportune cautele sino a tanto che gl'imperiali si avvicinarono a Fossano. Si condusse quindi inosservato in Asti, ov'era l'Imperatore, che gli confermò il marchesato, e nominollo suo vicario in, Italia. I posteri daranno sempre la taccia di sconoscente e, di traditore a questo marchese di Saluzzo, che abbandonò la causa del re Francesco, da cui era stato in tanti modi beneficato, per unirsi agli imperiali, solo perchè ad essi sor

rideva la fortuna delle armi. Dopo quel tradimento le fortezze di Cherasco, di Savigliano, di Cuneo e di Mondovì caddero in mano de' cesarei.

Per avvenimenti successi il presidio di Torino sarebbesi probabilmente trovato nella necessità di rendere questa piazza. Ma una lega, che l'Imperatore aveva stretta con molte città d'Italia, che fra tutte gli avevano promesso la cospicua somma di seicento mila coronati, a condizione ch'ei portasse lungi dal suolo italico la guerra, ruppe il corso ai suoi prosperi successi. Allettato egli dal principe di Melfi, che lo persuase a non contravvenire alla condizione della lega, e sospinto vivamente dall'ambizione di portar le armi nella Provenza, e di là continuare le sue conquiste nel reame del suo rivale, ritirò la maggior parte delle sue genti dall'assedio di Torino, ed accompagnato dal duca Carlo III giunse per la via di Cuneo in sul Varo addì 25 d'aprile del 1536.

Intanto gli assediatori della nostra › capitale, ridotti ad otto mila uomini, all'avvicinarsi delle galliche schiere, che, espugnata la Mirandola, si avanzavano celeramente verso il Piemonte, si videro costretti a sciogliere il largo assédio; e per la loro ritirata Torino potè provvedersi di una grossa quantità di viveri, che erano nei ragazzini di Grugliasco; e caddero nello stesso punto in man de' Francesi Chivasso e Carignano, dove stava un parco d'artiglieria: fatti eglino audaci da questi successi, varcavano il Po e s'impadronivano di varie piazze forti, fra le quali nominiamo Villanuova, che, caduta in loro potere, divenne una considerevole fortezza. Si fu allora, che il re di Francia, sapendo che i popoli non sentono mai tanto le loro forze, come quando sono più aggravati dal vincitore, si studiò di render loro men grave it giogo. Esentò la città di Torino dalla gravezza di un annuo censo di fiorini undici mila: le concedette il soprappiù del pubblico erario, che si ritraeva dai prodotti dei beni confiscati e dalle multe imposte ai colpevoli; le concedette eziandio la segreteria civile del giudice órdinario della città, non che gli emolumenti e i diritti della Camparia e della politica.

Dopo aver così allettati i Torinesi, spedì il signor di Hu

mières, che governava questa capitale con un grosso corpo di truppe, affinchè co' suoi movimenti inspirasse lo spavento nelle italiche terre; ma egli, senza oltrepassar Asti, ritornossene in Francia. Lo strepito di quest'esercito, il quale ad altro non servì, che a calpestare e manomettere alcune terre subalpine, svegliò Cesare Mai, o Maggi, napoletano, che comandava il presidio di Volpiano, in allora frontiera del Monferrato. Venne questo comandante col favor della notte sotto le mura di Torino: già i suoi compagni d'armi avevano con le scale sormontato il bastion di s. Giorgio, e già erano alla porta per cui si discendeva nella città, quando incontrate difficoltà nell'aprirla, alle quali non si aspettavano, diedero tempo ai custodi di quella porta di risospingere gli assalitori. Si sparse per Torino la voce, che le truppe del comandante di Volpiano fossero state improvvisamente respinte per un prodigio operato ad intercessione dei ss. martiri torinesi Solutore, Avventore ed Ottavio.

Alcun tempo dopo lo stesso Cesare Mai tentò un'altra volta di soprapprendere Torino: i militi del presidio di Volpiano, uniti ad altri soldati imperiali, convennero in secreto a Leyni, numerosi di ottocento cavalli e di cinque mila fanti; indi mossero di notte alla volta di N. D. di Campagna e de'mulini. All'aprirsi delle porte sei grandi carri, ove parecchi armati stavansi nascosti sotto manipoli di fieno, si avanzarono, e gli armati sorpresero la guardia, che però si difese. La lentezza nella mossa delle truppe ch'erano rimaste ai mulini diede tempo al presidio di riaversi e di abbassare la saracinesca dell'interna porta, che mette capo alla piazza.

1 pochi soldati che già si erano innoltrati, nascosti sotto il fieno, non si sbigottirono: combatterono anzi così disperatamente, che tutti caddero morti; così le truppe imperiali furono costrette a rinunziare alla fazione, e si ritirarono quasi senza danno.

Alcuni storici narrano quel fatto in modo alquanto diverso: secondo essi il governatore di Volpiano, Cesare da Napoli, nemico infesto de' Piemontesi non men che de' Galli, pensò di poter sorprendere Torino col mezzo di carri in apparenza carichi di fieno, ed entro gravidi d'uomini scelti, come già il greco cavallo sorprese Troja; ma innanzi a tutto egli

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