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procurò di corrompere col danaro un sergente francese del torinese presidio; il quale doveva dare, secondo l'accordo, come lo diede, il segno al nemico da un'alta torre, con promessa di tener le cose in tal guisa che non si potesse chiuder la porta, nè alzare il ponte; se non che aveva egli confidato tutto ciò ad un cittadino, il quale o fosse più amico dei Francesi, che della patria, o lo facesse per evitare quei mali che i Cesariani avrebbero fatto nella città, o per trarne gloria o profitto, ne diede l'avviso al governatore, che trovato il modo di sorprender coloro, da cui egli doveva esser sorpreso, fece schierare e. cittadini e presidiari nella contrada verso la porta di s. Michele, e prender i posti nelle altre contrade. Vennero i carri, e subito entrati, fu da chi ne aveva l'ordine, fatta calare la saracinesca, tagliando fuori le numerose truppe, che li seguivano per sostenerli, appena che avessero terminata la tenzone. Ciò non di meno gli uomini, che stavan nascosti sotto il fieno ne' carri, improvvisamente discesi, sì fieramente combatterono, che avrebbero potuto da sè soli mandar a fine l'impresa, se non si fossero trovati alle strette, e colti in mezzo da tutte le parti. Vendettero essi cara la vita, e a prezzo del proprio sangue acquistarono la gloria d'invitti guerrieri; perocchè non caddero vinti se non soperchiati.

Mentre accadevano queste cose il re di Francia sperando di poter ritenere Torino perpetuamente, o di averlo almeno per lungo tempo, si adoperava in ogni maniera di rendersene ben affetta la popolazione e di conciliarsi anche l'amore degli abitanti delle altre terre subalpine già occupate dalle sue truppe; il che gli riuscì anche troppo felicemente con biasimo di molti nobili piemontesi che passarono sì leggermente alla devozione di un monarca straniero. I popoli subalpini trovavano per altro qualche vantaggio nel commercio rendutosi molto più agevole colla Francia. Oltrecchè Francesco I avendo dichiarato espressamente che i Piemontesi sarebbero negli uffizi ed in ogni altra cosa tenuti in quel conto medesimo, in cui si tenevano i naturali suoi sudditi, ciascuno attese a procacciar sua ventura appresso il nuovo signore. E d'altra parte il danaro e le grazie che dispensava quel Re in occasione de' suoi passaggi in Piemonte, e le

speranze che dava di alleggerire le gravezze, nudriváno ed accrescevano il numero degli aderenti alla Francia.

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La cortesia, la piacevolezza, e forse l'ambizione de' ministri e governatori contribuirono dal loro canto grandemente ad acquistar l'affezione de' Torinesi, e degli altri popoli subalpini, e a renderli di gran lunga meglio disposti verso i francesi, che verso le altre genti guerreggianti in Italia. Diffatto troviam che l'Annebaldo luogotenente generale di qua dai monti seppe molto affezionarsi i Torinesi, eziandio nei momenti in cui eglino s'erano trovati in grandi angustie; a tal che per avere un pronto soccorso si raunò in Torino in ottobre del 1559 l'assemblea dei tre stati cismontani, la quale non dubitò di esporre a quel luogotenente generale, come per le vittovaglie già somministrate alle truppe francesi, e pei frequenti balzelli che s'imponevano di commestibili, e di combustibili, sarebbero morti dalla fame i cittadini, se ben presto ei non fossero stati provveduti di viveri; egli mosse pure altre doglianze relative al cattivo modo con cui amministravasi la giustizia, e all'abuso del merci. monio che si faceva delle monete non che alla violazione degli antichi privilegi di, questa città. L'Annebaldo ben lontano dall'adontarsi dalle fattegli rimostranze, si fece tosto premurosamente ad alleviare i mali, da cui erano travagliati gli abitanti di questa città, e le altre popolazioni a lui soggette. Trovandosi poi governatore del Piemonte a nome del re Francesco 1, Guglielmo di Bellay signor di Lancey si adoperò con ogni mezzo ad impedire nel nostro paese le conseguenze di un'orribile carestia. Ei fece trasportare cereali dalla Borgogna, dove abbondavano, sopra la Sonna e sul Rodano; li fece quindi condurre sul mare sino a Savona, donde, fatto agevolare il passaggio della montagna sino a Dogliani, i grani venivano condotti sopra i carri a Cherasco, Racconigi e Torino, e sparsi per tutto il Piemonte, facendoli vendere a tre scudi il sacco parte in contanti • parte a credito sino alla nuova ricolta; nella quale incetta ei ripose somme grandissime; sicchè il Re successore di Francesco I ebbe poi ancora per quelle provvisioni benefiche a pagare cento mila lire. Ciò risulta dalle Mémoires de Bellay et Lancey, e dalla Storia di Francia di Daniel.

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Con tutto questo anche la parte del Piemonte che fu dai Francesi occupata, ebbe a patire non lieve danno per esservisi diminuita la popolazione e ritardati i progressi delle arti. Ad onore del duca Carlo III vuolsi dire che nei primi anni del suo governo, a malgrado delle grandi turbolenze, ond'era agitata la nostra contrada, non dimenticava l'università di Torino, e per promuovere l'istruzione della gioventù piemontese sceglieva ad insegnarvi la giurisprudenza uomini insigni, 'quali erano Parpaglia Tommaso, Porporato Francesco, Scaravello Francesco e Balbo Nicolò, che furono poi tutti promossi alla carica di presidente nel torinese senato: e a succedere a quegli eccellenti professori chiamò i dotti giurisprudenti Gerolamo Cagnolo, e Gioanni Antonio Derossi, nominando eziandio a leggere medicina il riputatissimo Pietro Bairo; ma il privilegio fatto ai Torinesi ed agli altri subalpini da Francesco I di esser riguardati e trattati come sudditi naturali della corona, mentre giovò ad alcuni virtuosi o ambiziosi per avanzarsi nelle cariche, ed acquistarsi nel reame di Francia onori e ricchezze, fu pure ca gione che i professori di arti liberali e di scienze ch'erano in gran numero e di grande riputazione nei primi anni che Carlo Ill regnò, e gli scuolari che a udirli concorrevano nello studio generale fossero tutti dispersi; e con loro parimente se ne partissero stampatori, librai e valenti artefici; nè molto valse per richiamarli il rescritto che si ottenne da quel Monarca, perchè continuassero le lezioni nella nostra università; i professori che altrove ebbero migliore trattenimento, non vi vollero tornare, e dove mancano lettori famosi poco giova invitare gli studenti. Per le stesse cause si trasportarono fuori del patrio suolo parecchie famiglie che il centro e la capitale trae continuamente a sè dalle parti discoste; e il Piemonte in quel tempo dovette sentire lo stesso svantaggio che provarono le provincie assoggettate a' Romani, allorchè quelle ricevettero la cittadinanza; cosicchè per una famiglia francese, che a cagione di feudi ottenuti, o di qualche altra convenienza veniva a stabilirsi in Torino o in altri luoghi del Piemonte sotto il dominio francese, venti altre di Piemontesi andarono a stabilirsi in Francia.

A questo danno si aggiunga la frequenza delle fortificazioni, che così i Francesi come gli imperiali facevano quasi in ogni terra da essi occupata; per le quali fortificazioni dovettero in tanti luoghi i casamenti dei cittadini, e i sobborghi, che sono per l'ordinario molto popolati, andar a terra; ende gli abitanti, lasciate le loro patrie, furono costretti di andar tapini a cercar altrove ricovero e stanza. Già dicemmo che la città di Torino provò la prima siffatto disastro benchè poi ne divenisse più bella e più regolare, come accadde a diverse grandi città, alle quali in quel secolo per somigliante cagione furono spianati i sobborghi.

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È noto che Carlo V, dopo aver perduto senza frutto in Provenza la miglior parte del suo esercito, andò a nascondere in Ispagna l'onta sua, lasciando scoraggiati i suoi partigiani, ed il marchese del Guasto, solo incaricato di conservare ciò che avesse potuto nel nostro paese. Questo generale era particolar nemico del duca di Savoja, il quale si trovò allora in condizione sommamente infelice ed in mezzo

alle sue molte disgrazie, l'Imperatore gli diede per soprappiù un fiero disgusto, pronunciando una sentenza a suo danno in una controversia che sorse tra lui e il Duca di Mantova per riguardo alla marca del Monferrato, vacante per la morte dell'ultimo marchese del sangue dei Paleologi; Carlo III pretendeva che un tal reditaggio gli fosse devoluto, e i suoi titoli sarebbero stati più che valevoli innanzi un tribunale ordinario; ma i diritti di un alleato nell'infortunio non poterono bilanciar l'estremo favore, di cui godeva presso Carlo V uno dei più abili generali del suo esercito.

Allo sfortunato Carlo III più non rimanevano degli stati suoi che la valle d'Aosta, le città di Vercelli, di Cuneo e di Nizza; si ritirò in quest'ultima sperando che una pace definitiva tra la Francia e l'Austria conducesse in fine per la sua famiglia un ordine di cose più sopportabile. Ma si ebbe ancora la crudeltà di affliggerlo in questo estremo asilo. I monarchi di Francia e di Spagna omai sembravano stanchi di una lotta, che finiva per rovinare la fortuna pubblica, e i cui successi mal rispondevano ai grandi preparativi. Risolvettero adunque di venire ad un aggiustamento, ed invocarono la mediazione del sommo pontefice Paolo III,

che ben volle condursi personalmente a Nizza, luogo scelto per le conferenze. I due monarchi vi si recarono pure sub> principio di giugno del 1538: ivi pei buoni uffizii del Papa› si convenne di una tregua di dieci anni, segnata il 18 giugno dello stesso anno. Questo trattato ben lungi dall'addol-1 eire i mali del duca di Savoja, li accrebbe; perocchè ogniz cosa doveva rimanere nello stato in cui trovavasi prima della tregua, sino allo spirare di essa. Egli dunque ebbe il dolore di veder egualmente calpestati i suoi paesi dagli Austriaci e dai Galli che pretendevano di ritenerli per loro: reciproca sicurezza sino alla pace. La tregua di Nizza non durò che poco tempo, e il Piemonte divenne un'altra › volta il teatro di una fierissima lotta.

Dopo molte guerresche vicissitudini, che appartengono alla storia generale del Piemonte e già in essa furono da noi sufficientemente riferite, le poderose forze dei confederati venivano a celeri passi alla volta di Torino: se ne scon- ! certarono i francesi, ed abbandonando Carmagnola, Racconigi e Vigone si ristrinsero in Pinerolo che fu subito dagli imperiali circuita. La città di Torino più non avendo alcunacomunicazione fuorchè con Susa, terra poco ferace, trovossi mezzo ricinta. Prima di ricominciare la oppugnazione di questa capitale, e proseguirla, si stimè di affortificar Carignano, luogo, destinato a magazzino di riserbo: l'esercito de' confederati intanto andò a svernare in Asti. In questo mentre i Francesi ricevono un rinforzo di nove mila fanti, e di buon numero, d'uomini d'arme: esso è condotto da Francesco di Borbone. conte di Enghien, il quale è circondato dal fiore della nobiltà francese, ardente di dividere con lui i pericoli e la gloria di una campagna, che è prenunziata come di gran momento e sanguinosa. Dopo alcune fazioni di poco rilievo, il poderoso esercito confederato, e quello de' Francesi, numeroso di quindici mila fanti, e di due mila cavalli, si trovano a fronte nella pianura di Ceresole, denominata la Gerbola : colà nel dì 14 aprile del 1544 accadde un combattimento il più terribile, e il più decisivo di quanti a quell'età si, sieno ingaggiati in questa parte d'Italia. Di così famoso conflitto abbiam dato la descrizione nell'articolo Ceresole. La vittoria fu riportata dal francese valore.

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