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secoli; ma sul principio le fu poco sensibile una tal perdita, e in progresso di tempo n'ebbe segnalati compensi. Fu fatta colonia, non già perchè le siano stati spediti soldati a impadronirsi delle sue terre, e a coltivarle, ma forse perchè qualche angolo dell'agro suo, presso il confine d'Italia, venisse destinato a ferma stanza di una squadra di militi. Del resto Torino fu allora tenuta dai Romani, e trattata come città amica; continuò ad eleggere i suoi capi, a vivere con le antiche sue leggi, a nominarsi i giudici: nel nome, nelle : insegne, negli abiti, nell'idioma, ne' costumi, ne' sacrifizii niente fu in essa mutato. Nelle contribuzioni i suoi abitanti non si trovarono in peggior condizione dei cittadini romani ž ed anzi, avendo questi nei limiti della cisalpina i magazzini e guardie militari a loro costo, i Torinesi con la vendita delle loro vettovaglie ai procuratori, si arricchivano del denaro di Roma; oltre che la sicurezza di Torino non era di nessun aggravio alla medesima; perocchè i Romani avevano ai limiti delle provincie le loro guardie, le quali ricevevano il soldo dall'erario militare, ed i viveri dai magazzini della repubblica ; sicchè in questo non aggravavano i sudditi, i quali all'opposto ne ritraevano gran profitto, vendendo le loro derrate e le merci, per modo che tutto il denaro delle truppe rimaneva ai venditori. Diffatto, Tacito, Annal. lib. 1, dice: miles ad limites, ubi minimo oneri subditis, maximo usui in hostes esset. Oltre a tutto ciò, i Torinesi non ebbero allorá if disgusto ch'ebbero altri popoli soggiogati dai Romani, cioè quello di veder disciolto il loro esercito: le loro agguerrite soldatesche rimasero armate com'erano per l'addietro, conservarono gli stessi ordinamenti, e così furono a Roma di grande utilità. Sicchè Torino trovandosi in uno stato mezzano tra la soggezione e la primiera sua libertà, le parea non già d'esser suddita, ma sibbene confederata di Roma; e non mai più seppe mostrarsi infedele ad una signoria, da cui era trattata con sì particolare benevolenza.

Ben presto ebbero i Romani ad essere ben soddisfatti dei Torinesi; perocchè sebbene fossero questi della medesima' colonia dei Salassi loro aderenti, tuttavia per non mancare alla giurata fede si astennero dall'impugnare le armi in loro favore quando Appio Claudio ebbe l'ordine dal senato di

assaltare i predetti Salassi, abitatori della più lunga valle d'Italia, per cui si ha l'adito ai pennini gioghi. Se non che andovvi egli con troppa fidanza; e sebbene gli abitatori di quella valle siensi trovati senza l'ajuto delle taurine genti, si trovò racchiuso fra le strette di quegli altissimi dirupi, e non potè uscirne che a stento, lasciandovi dieci mila dei suoi. Vi ritornarono quattro anni dopo le romane legioni ma stettero contente ad impadronirsi di una parte della vallea, ed a fabbricare alla foce della medesima una fortezza, che dal nome celtico del sito, ove fu eretta, chiamossi Eporedia.

La città di Torino si acquistò vie maggiormente la benevolenza dei Romani, allorchè questi deliberarono di spingersi oltre le alpi, locchè avvenne l'anno 122 prima della nascita del Redentore. La repubblica di Marsiglia avea mandato i suoi ambasciatori al senato romano a lamentarsi che i Salubii, o Sallui, o Sallii ed i loro clienti con frequenti insulti turbavano la loro città, che portava il nome di amica fedelissima della romana repubblica. Da lunga pezza il senato di Roma cupidamente bramava d'impadronirsi degli stati transalpini, e simulando pietà verso gli amici della repubblica romana, si mostrò ardente di reprimere i nemici, nell'ambiziosissimo scopo di estendere sopra gli uni e sopra gli altri l'impero al di là delle alpi. Fece adunque un decreto d'imprendere a qualunque rischio la guerra transalpina contro i Salluvii; e la città di Torino, altamente indegnata contro questi invasori delle terre de' pacifici amici di Roma, chiese che un buon nerbo delle sue truppe facesse parte di quella importante spedizione: per sua buona ventura il senato per allora rifiutò la generosa offerta, e volle che il pretore Bevio unicamente colle legioni romane eseguisse quell'impresa. Bevio passò dunque il Varo; ebbe da principio alcuni prosperi successi, ma infine fu assalito, in una procellosa notte, da quei barbari, che sconfissero le sue truppe, e tolsero a lui medesimo la vita. Roma ebbe dai soli Marsigliesi il doloroso annunzio dell'intiera disfatta dell'esercito di Bevio.

I Salluvii, che riportarono quella vittoria, erano quelli che abitavano il Delfinato e la Provenza, e volevano occupare il Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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territorio dei Focesi, già stabiliti presso le foci del Rødáno: vi erano allettati dalle ricchezze di Marsiglia, il cui fiorente commercio già estendevasi non solo ne' porti della Liguria, ma eziandio nell'interno del Piemonte, ove diffatto si dissotterrarono argentee monete, che da un lato hanno la testa della repubblica di Marsiglia col lione che porta l'uovo in bocca.

Ma nell'anno 1125 av. G. C. il console M. Fulvio Flacco domò pienamente quei barbari di là dalle alpi. Egli per tramandare ai posteri la memoria de' suoi trionfi innalzò un monumento che tuttor si conserva in sul collo d'una delle alpi marittime, detta di s. Dalmazzo il Selvatico. Tuttavia i Salluvii coi loro clienti, cioè coi Vagenni transalpini e coi Vedianzii, che tenevano i monti superiori alla città di Nizza, dopo qualche tempo si posero di bel nuovo in armi; onde mossero successivamente contro di loro i consoli Quinto Marcio, Manlio Lentino, e finalmente il proconsole Cajo Sestio, il quale, venuto a Torino, ed ingrossatovi l'esercito, andò celereinente contro i protervi Salluvii, e posto in fuga il loro re Tintomalio, pienamente ne sconfisse le barbare truppe. Quella lotta, benchè felicemente riuscita a pro dei Romani, partori quella degli Allobrogi molto più lunga e ́sanguinosa; perocchè ad esempio de' Marsigliesi contro i Salluvii avendo anche gli Edui implorato il romano ajuto contro agli Allobrogi, fu mandato il proconsole Gneo Domizio Aenobardo, il quale, dissipato l'esercito nimico a Vindelio, diè fine alla guerra allobrogica, ma con tanta difficoltà e tanta gloria, che fu innalzata un'alta torre, su cui per trofeo furono poste le armi dei vinti Allobrogi, i quali aveam perduto in un fiero conflitto presso a Vindelio, città ora distrutta presso Avignone, e a poca distanza dal ponte della Sorga, non meno di venti mila morti e tre mila prigioni.

Appena superati gli Allobrogi, ecco sollevarsi gli Alverni. Quel trofeo in onta delle armi allobroghe, il quale doveva 'atterrirli, fu quello che li irritò. Contro gli Alverni fu destinato Fabio Massimo, che andovvi con un gran nome, ma con poche forze; perocchè, secondo Strabone, egli aveva un esercito di soli trenta mila uomini contro cent'ottanta mila Alverni; ed Orosio aggiunge che Bittuito re degli Alverni

ridendo disse che l'esercito di Fabio avea appena gente che bastasse a levar la fame ai cani che lo seguivano. Bittuito pieno di audacia si avanzò contro l'esercito romano ch'era molto inferiore di forze al suo; se non che al numero dei suoi combattenti prevalse il valore e la perizia di Fabio: il combattimento s'ingaggiò in un angolo tra l'lsero ed il Rodano, dove con tanto furore vennero gli Alverni ed i loro confederati dal romano condottiero battuti e fugati, che una gran parte di essi si affogarono nel Rodano; cento cinquanta mila Alverni furono in quella giornata uccisi o sommersi : gli altri o caddero prigioni, o si resero a discrezione. Lo stesso Bittuito, dopo aver fieramente combattuto sopra un carro d'argento, domandò pace e l'ottenne. Insigne in Roma fu poi il trionfo del console per quella memoranda vittoria ; ma più insigne lo rese la presenza del re Bittuito, sopra l'istesso carro e con le stesse armature con cui avea combattuto. Nil, dice Cloro lib. 3, cap. 2, tam conspicuum in triumpho, quam rex Bituitus, discoloribus in armis, argenteoque carpento, qualis pugnaverat. Re infelice, perocchè trovossi più mal sicuro nella pace, che nella pugna: mentr'egli procurava con ogni mezzo di sottomettere al suo vincitore tutti gli Allobrogi e gli Alverni, il proconsole Domizio, che ancor sofferma vasi nell'Allobrogia, invidioso della gloria di Fabio, lo invitò a colloquio e ad ospizio; e dopo avergli dato l'ame plesso dell'amicizia, iniquamente violando la fede ospitale, fattolo incatenare, mandollo a Roma; vero è che il senato mostrò di non approvare l'azione di Domizio; ma vero è pure che si avvilì a trarne profitto; e stimando gran clemenza verso Bituito il non torgli la vita, gli negò la libertà ; e facendo venir a Roma prigioniero il di lui figliuolo Congentiano, e vietando all'uno ed all'altro il ritorno nella loro patria, li confinò in Alba affinchè l'uno fosse tormento dell'altro; ma entrambi furono eterno esempio della romana perfidia. In questa guisa i Romani, chiamati in ajuto dai / Marsigliesi e dagli Edui, ridussero, come si è detto, primieramente i Salluvii, i cittadini di Marsiglia e tutta la Gallia Narbonese in forma di provincia sotto il dominio della loro repubblica; ed indi, poco a poco, sotto colore di amicizia e di difesa, si rendettero soggetti tutti quei popoli, che avean

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provato la possanza dei Quiriti, e quelli che l'avevano invocata: e così sempre finiscono gli ajuti de' più possenti. coln tutte le anzidette guerre, fuorchè nella prima contro i Salluvii, la città di Torino, che era la scala dall'una all'altra Gallia, molto contribuì alle romane vittorie; perocchè, oltre alle truppe ausiliari ed alle vettovaglie che di continuo somministrò, era essa un'importantissima piazza d'armi a piè delle alpi, la quale accolse tutte le squadre ed i capitani, che nel salire i taurini monti qui si provvedevano del necessario, e qui nel ritorno ristoravansi delle durate fatiche. Di qui passarono, dopo la guerra de' Salluvii, Domizio e Fabio contro gli Allobrogi e gli Alverni; di poi Mario e Catulo contro gli Ambroni, i Teutoni, i Cimbri ; e Pompeo contro Sertoris; e Cesare contro gli Elvezii; e gli altri im→ peratori semprecchè mossero per frenar le rivolte de' transalpini.

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I Romani ebbero non molto dopo più chiare prove dellá fedeltà de' Torinesi in occasione della guerra che fu detta sociale, od italica, per non chiamarla civile, al cui paragone tutte le precedenti lotte, comunque terribili, parvero men feroci e sanguinose. Cajo Gracco, fra le altre nuove cose, che ad imitazione di Tiberio suo fratello tentò di eseguire nel suo tribunato sedizioso, una fu di dare alle italiche nazioni, ed estendere quasi fino alle alpi la romana citta→ dinanza. Dabat civitatem omnibus italicis: extendebat eam pene usque ad alpes. Vell. lib. 2. Ma oppresso dalla fazione dei patrizii, come gran parte de' suoi disegni, così ancor questo riuscì vano per quella volta. Marco Druso, fattosi elegger tribuno della plebe per sostegno e difesa dei grandi, contro i quali il console Filippo, buon popolare, fieramente inveiva, pensò di fortificare il suo partito, empiendo la piazza di nuova turba; ed offrì perciò a' popoli del Lazio e di tutta Italia il gius dei Quiriti, con la facoltà di dar le voci negli squitinii o comizii. Viveva allora un potente italiano del paese de' Marsi, il quale di principale, qual era, della sua nazione, divenne in breve anche capo di tutti gli altri popoli che pretendevano la civiltà romana. Egli fornito di acuto ingegno, di facondia, e più ancora di civile coraggio, rappresentò ad una moltitudine de' suoi Marsi, raccolti din

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