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feudatario del Papa; onde Gregorio XIII ricorse a Carlo E-
manuele I affinchè costringesse con la forza quel vassallo
che pertinacemente rifiutava di fargli omaggio. Il Duca, ere-
dendo allora di dover compiacere al desiderio del sommo
Pontefice, diede l'incarico della spedizione al conte di Ma-
sino governatore d'Asti e al conte di Ruffia, i quali (1581)
unendo le loro truppe a quelle di Guido Piovena, maestro
dell'artiglieria, si mossero ad eseguir l'ordine che avevano
avuto: il Borso quando li vide giunti a Ferrere, luogo vi-
cino alla Cisterna, non istimò bene di aspettare l'assalto;
abbandonò quel castello, e ritiratosi verso Milano, procurò
d'impegnare il governatore, spagnuolo in suo vantaggio, Il
governatore mandò a portare alla corte di Torino le sue do-
glianze come di offesa fatta alla Spagna nella persona di un
suddito di essa; ma essendogli risposto che ciò erasi fatto a
richiesta del Papa, non cercossi più altro a questo riguardo.
Poco stante il giovine Carlo Emanuele diresse i suoi ten-
tativi coptro la ribelle Ginevra, tanto più arditamente, che
un abitator di Tonone, amico di alcuni ginevrini, lo rendea
certo del buon successo dell'impresa. Egli adunque spedì. a
quella volta una buona squadra di soldati' parte Savoini e
parte Svizzeri, e tutti cattolici, i quali giunsero alla spezzata
e con tanta segretezza, che alcuni esploratori friburghesi, i
quali, dopo un incerto rumore di raunanza delle soldatesche
ducali nel Ciablese vi erano stati spediti, di nulla poterono
farsi accorti. Quella squadra, grossa di due mila uomini, si
innoltrò di notte dalla parte di Lerni col pensiero d'intro-
dursi nell'insidiata città per la porta di s. Gervasio, la quale,
giusta le intelligenze, doveva trovarsi aperta, come lo era di
fatto: Bernardino di Savoja, capitano dell'impresa
9 veg-
gendo che l'uomo, da cui essa era stata ordita, più non tro-
yavasi al suo fianco, paventando un doppio tradimento, non
vi volle entrare se non che i soldati, spinti dall'avidità del
bottino, manifestarono la ferma risoluzione di avvicinarsi
dalla parte dell'Arvo, ed intanto il presidio, composto di
Francesi e di Elvetici protestanti, saltò fuori così vigoroso,
cbe gli assalitori furono con grave loro danno risospinti.

L'infelice spedizione di Ginevra rese Carlo Emanuele più guardingo nell'eseguir quella, che volgeva in mente sul mar→

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chesato di Saluzzo; la quale per altro non potè essere da lui intrapresa così presto, si perchè altri affari non punto guerreschi l'occupavano altrove, sì perchè si ammalò gravemente. Un breve di Pio V scritto ad Emanuele Filiberto, in eui dichiarato aveva che non gli avrebbe, arrecato verun pregiudizio il titolo di granduca conferito a Cosimo de' Medici duca di Toscana, non distolse Francesco figliuolo e successore di Cosimo dal pretendere la precedenza sopra tutti Duchi italiani; onde Carlo Emanuele ebbe ricorso alla dieta imperiale per essere mantenuto nel possesso dell'antica precedenza, ed ottenne dagli elettori dell'Alemagna (1583) un diploma, per cui si dichiarava, che i duchi di Savoja, come discendenti dalla casa di Sassonia, e come Principi dell'imperio, si dovevano riguardare come superiori ad ogni altro. Principe italiano.

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Nell'anno medesimo che Carlo Emanuele ottenne questo vantaggio di puro cerimoniale, si trovò a gran rischio di mancar di vita, essendo caduto gravemente infermo. Avvenne, durante la di lui grave malattia, che il cardinale Borromeo, arcivescovo di Milano, si condusse a Torino, o, come vogliono alcuni, a Vercelli per fargli visita. Siccome questo gran predato era in quel sommo concetto di santità, che lo rendette poi meritevole dell'onor degli altari, così i Torinesi credettero, che per intercessione di lui il Duca riacquistasse miracolosamente la sanità oramai disperata.

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Una conseguenza di quella malattia. fu probabilmente la legittimazione e poi la disgrazia di Bernardino di Savoja signor di Racconigi. Carlo Emanuele non aveva a quel tempo ancor preso moglie, nè poteva noverare legittimi suoi congiunti per aguazione fuorchè il duca di Nemours, suo cugino; la qual cosa fece nascere desiderio ad un altro agnato di linea bastarda di farsi abilitare alla successione. Di Ludovico di Savoja, principe d'Acaja, al quale, per essere › mancato senza prole legittima Amedeo VIII, era rimasto un figliuolo naturale, chiamato parimente Ludovico: da costui discendeva Bernardino di Savoja, signor di Racconigi, che in più occasioni servì con molto zelo Emanuele Filiberto, e da lui fu destinato governatore di Carlo Emanuele, appresso il quale era perciò in grandissimo credito nei primi anni. Ora ibsi

gnor di Racconigi vedendo la famiglia regnante ridotta alla sola persona del Duca, e il ramo de' principi di Nemours. non molto esteso, credette occasione opportuna di far dichiarare se stesso e sua discendenza abile alla successione

qualora venissero a mancare il ramo regnante e quello di Nemours. Carlo Emanuele non seppe niegare al suo ajo o governatore la grazia che gli domandava, è fece perciò spedire le patenti nella forma, che il signor di Racconigi suggeriva e chiedeva, ma la città di Torino amaramente si dolse di una tal concessione; ed il senato, a cui furono mandate quelle patenti perchè le registrasse secondo il costume, negò di farlo, e rappresentò al Duca le pericolose conseguenze, che da quella dichiarazione potean venire; ed il signor di Racconigi, per le dicerie che di ciò si fecero, massimamente dai Torinesi, perduto in gran parte il favore ed il credito che prima godeva, si ritirò dalla corte. La sua stirpe mancò prima di quella di Nemours.

Carlo Emanuele frattanto pensò ad assicurarsi successori prendendo moglie. Il re Filippo II, desideroso di unirsi con ogni più stretto vincolo un Principe, cui vedeva possente nelle cose d'Italia, e che per la chiarezza del sangue, e più per la fresca memoria di un padre glorioso era degno di qualunquesiasi fosse augusto parentado, gli diede per moglie (1584) l'infante Catterina, la quale, oltre l'essere figliuola di sì possente Monarca, era ancora per qualità personali degnissima di un tale sposo.

Il Duca nel 1585 andò egli stesso coi più illustri torinesi cavalieri della sua corte a prenderla in Madrid non tanto per far quest'onore al maggior Sovrano che fosse allora al mondo, quanto per conoscere da vicino quel Re, e trattenersi con esso intorno agli affari occorrenti.

Fra le cose, che si trattarono ne' lunghi e spessi colloquii tra il suocero ed il genero nel tempo che questi si soffermò in Ispagna, si crede che la principale fosse intorno al modo di liberare affatto l'Italia dalla soggezione dei Francesi e dal pericolo manifesto di veder l'eresia e lo spirito di ribellione che agitava la Francia propagarsi in Piemonte ed in Lombardia; per lo qual fine uopo era occupare il marchesato di Saluzzo.

44 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

Le sollecitazioni del re cattolico, un motivo specioso di religione, la speranza di accrescere il suo stato quasi senza pena e dispendio, il desiderio di vendicarsi della corte di Francia, che avevalo abbandonato e deluso nella precedente spedizione di Ginevra, determinarono Carlo Emanuele a prevalersi delle circostanze favorevoli per impadronirsi della marca saluzzese, sopra la quale pretendeva forti ragioni. Di questa impresa, come di tutte le altre da lui fatte con incredibile audacia e temerità, e per lo più con esito infelice, avendo già noi parlato stesamente nella Storia generale del Piemonte, qui non ne daremo che un brevissimo cenno, corredato peraltro di alcune osservazioni intorno a gravi accidenti ivi taciuti, perchè ci parvero meglio convenire alla storia particolare che ora trattiamo.

L'arditissimo Duca, appena ritornato da Madridde a Torino, entrò in secrete intelligenze col governatore del castello di Carmagnola, s'impadronì subitamente di questa piazza importante, e poi di Centallo, di Saluzzo e della fortezza di Revello. Così giunse in Francia l'avviso, che il marchesato di Saluzzo era tutto in potere del duca di Savoja, quando ancor non sapevasi che fosse stato assaltato. Era ancor freschissima di pochi giorni la famosa giornata delle barricate; epperò si credette facilmente, che Carlo Emanuele avesse voluto prevalersi di quei tumulti, per cui non poteva la corte di Francia far riparo alle cose di qua dai monti; e per allora i mali maggiori che si sentivano nel regno, non lasciarono quasi spazio a questa perdita, non che vi fossero le forze in pronto per ripararla. In Torino molti innalzarono al cielo il nome di Carlo Emanuele, che con intrapresa tanto animosa a tempo proprio eseguita aveva liberata l'Italia dal pericolo d'essere infetta dagli errori oltramontani; non pochi ne lodavano la prudenza, perchè avesse saputo valersi della congiuntura favorevole di riscuotere il suo dalle mani di un possente Monarca: ma in altre città d'Italia non mancarono di quelli, che altamente disapprovarono questo fatto del nostro Duca o per gelosia della sua grandezza, o per tema che si avesse per questa cagione a riaccendere la guerra nell'italiana penisola, persuasi che chiunque fosse per succedere alla corona di Francia, e lo stesso Arrigo, qua

lunque volta avesse composto gl'interni scompigli, avrebbe colla forza delle armi cercato di fare strepitosa vendetta di un'azione, che i Francesi stimavano un insoffribile insulto.

Di fatto il rumore dell'occupazione della saluzzese contrada falta da Carlo Emanuele fu grandissimo in tutto il reame di Francia; ma non potendo il re Arrigo III operare. altrimenti per essere troppo travagliato nell'interno del suo regno, il duca di Savoja non solamente ritenne il marchesato di Saluzzo, ma portò anche più oltre le ambiziosissime. sue mire; perciocchè vedendo il regno di Francia sul punto di divenir preda dei più possenti, ed essere diviso in varie. signorie, pensò anch'egli di prevalersi dell'opportunità che gli si offeriva di acquistare o dominio assoluto, o grande autorità nella Provenza. Frattanto Carlo Emanuele mandò suoi ainbasciatori a giustificare il fatto di Saluzzo alla corte di Francia, ma senza speranza, che la cosa fosse per passare fra i termini di amichevole negoziato. Ed invero Arrigo IV, dacchè, abjurata l'eresia e totalmente acquetate le sollevazioni interne del regno, potè rivolgersi alle cose di fuori, venne assai presto alla via delle armi, volendo costringere il Duca a restituirgli, com'egli diceva, il marchesato di Saluzzo. Nacque adunque una lunga e varia guerra su tutta la linea delle alpi, che Carlo Emanuele condusse di qua, ed il Lesdiguières di là delle medesime. Il Duca sabaudo, condottosi con buone truppe in Provenza, fu ricevuto come sovrano in Aix, Arles ed in Marsiglia, e si lasciò da alcuni cattivi francesi acclamare con titolo di luogotenente; e ciò che più rileva, agognando niente meno che alla corona di Francia, fece riprovevolissimi intrighi per ottenerla.

Il papa Clemente VIII, a cui grandemente premeva di impedire siffatte ostilità, e non meno di lui la corte di Spagna, s'interposero come mediatori tra il re di Francia e il duca di Savoja per terminare ogni differenza. Il Papa mandò a quest'effetto in qualità di legato a Torino ed a Parigi il cardinale Aldobrandino suo nipote; e il Duca stesso di Savoja, sperando di potere o più facilmente, o con più vantaggio trattar in persona questa causa, si recò a Parigi, dove lasciò bensì un'alta idea della sua magnificenza, del suo ingegno e della sua destrezza, ma lasciò pure la quasi cer

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