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in Francia, ed anche in più lontani reami; ed è per questo che non si avanzò, come avrebbe potuto, verso lo scopo principale, e lasciò nome di ambizioso più che di grande, più di arrischiato che di forte; e ciò che più nocque alla sua fama fu la sua doppiezza e versatilità. Il veneto senato non volle assecondere le sue mire, perchè non credette di potersi affidare a lui. Tutti gli scrittori veneziani parlando di Carlo Emanuele I, lo chiamavano uomo chimerico e dicevano non sapersi bene se fosse pazzo o savio, stante che, com'essi affermavano, la sapienza e la pazzia sono attaccate per la coda; e non si può venire all'estremo d'uno senza dar nel principio dell'altro. Fra Paolo, parlando degli alleati di Venezia, e facendo cenno di Carlo Emanuele I, così si espresse; egli è un proteo, che cangia continuamente di forme, ed i cui capricci potrebbero esaurire in poco tempo il tesoro di s. Marco; e con siffatto rimprovero colpiva non tauto l'incostanza e la doppiezza di questo Duca, a cui i Francesi davano il nome di volpe vecchia, quanto la di lui prodigalità. Chè veramente scialacquò i risparmi del saggio ed economo suo padre, e lasciò al suo successore l'obbligo di soddisfare a molti debiti.

Egli è vero che Carlo Emanuele mandò a Venezia l'abate Scaglia con cominissione di muovere quella repubblica a sostentarlo; e che questo ambasciatore parlò energicamente al senato veneto dell'opportunità di vendicare lo sprezzo che dell'Italia discorde si facea dagli stranieri; ma il Duca ciò fece, quando gli Spagnuoli avevano fatto una discesa nelle sue marine occupandogli Oneglia ed il mare, ed egli per vendicarsene aveva già occupato Zuccarello ai Genovesi, come protetti di Spagna; e pieno poi di pensieri vasti e smisurati, meditava contro i medesimi la sorpresa della città capitale dei Liguri, essendosi accordato a questo fine con alcuni capitani di vascelli inglesi, pronti ad ajutarlo: forse la trama avrebbe avuto effetto, se non fosse stata scoperta. Sempre pensava a Genova, nè poteva aver pace, sinchè non l'avesse. Tutto ciò non isfuggiva al senato di Venezia, il quale, in tanto tumulto di cose, considerando quanti dubbiosi casi si nascondessero sotto le speranze del Duca, e temendo ch'egli non facesse qualche precipitazione,

non volle allontanarsi da quella prudenza, che gli faceva amare una pace poco rischiosa piuttosto che una guerra pericolosissima; ed esortollo ad anteporre la conservazione della pace alla propria volontà, a moderare l'animo suo, a sforzare se medesimo, a non essere strumento di turbare più lungamente l'Italia, e a trovar qualche modo di onesta composizione. Di tali esortazioni abbisognava veramente Carlo Emanuele, i cui progetti giganteschi, come afferma il Bellegno ambasciatore di Venezia presso la corte di Torino, quantunque sostenuti con un raro valore, produssero le più gravi calamità, perchè uscirono dalla sfera politica: per affrancare l'Italia, egli finiva per farle addoppiar le catene. Il dotto continuatore di Mezzerai, parlando di Carlo Emanuele, dice che non avrebbe forse meritato i rimproveri che gli furono fatti, se avesse saputo godere del suo destino; ma i delirii dell'ambizione gli aprirono sovente la strada dell'infortunio: dopo aver aspirato al diadema imperiale, ai troni di Francia, di Spagna, di Boemia, di Cipro, della Lombardia, della Liguria, questo Duca vide nell'ultimo periodo della sua vita gli antichi stati della sua casa in gran parte invasi dai Francesi, e tribolati nel rimanente dagli Spagnuoli. La barriera, che mercè di molti sacrifizii, il suo predecessore aveva saputo innalzare tra la Francia e lui, trovavasi rotta da più parti; mancavano le braccia per coltivare la terra; lá pestilenza e la fame minacciavano di spopolare intieramente l'infelicissimo suo paese. La sua fede rimase dubbiosa presso i suoi contemporanei, e la diffidenza da lui inspirata, gli arrecò assai più danno, che i suoi accorgimenti e gli stratagemmi suoi gli abbiano procurato vantaggio.

Alcuni suoi contemporanei il paragonarono ad una molla, che quanto più si comprime, tanto più valida e forte risorge. Erano in lui due nature, che quando sono in un sol uomo unite, il rendono capace di sommuovere il mondo ; queste erano un coraggio indomabile, ed un'arte cupissima, non disgiunta da simulazione e dissimulazione: ma una terza le guastava, perchè toccava ciò che i Veneziani chiamavano in lui pazzia, ed era una fantasia o immaginazione vivissima, che il tirava a concepire disegni straordinarii e fuori d'ogni probabilità di esecuzione. Certamente questo Principe fu

uno degli uomini più singolari, che mai sieno usciti dall'umana stirpe; ed è perciò molto difficile allo storico il farne un giusto ritratto. Gli stessi storici francesi che parlano con rigore di Carlo Emanuele I, e ne appalesano i grandi torti, e le mire ambiziosissime, non possono niegare, che in lui erano parecchie delle eminenti qualità che costituiscono un ottimo Sovrano. Di fatto egli eccitava l'ammirazione di tutti per la vivacità del suo spirito, per l'attività somma nel colorire i suoi disegni, pel valor personale e massimamente per una ben rara fermezza d'animo nei rovesci della fortuna. Una sagacità incomparabile rifulge in tutte le sue istituzioni, che dimostrano com'egli era altamente istrutto nei vari rami dell'umano sapere, e specialmente in quelli che ragguardano alla milizia. Amava molto le costruzioni, e massime quelle delle rocche, di cui era intendentissimo, e ne fece eseguire parecchie a maggior difesa dello stato; da lui fu rafforzata Ja cittadella di Torino. La nazione piemontese divenne al tutto militare sotto il memorando e procelloso regno di questo Duca: ei seppe distruggere pienamente i pregiudizi della nobiltà, ch'erano già stati assaliti dall'augusto suo predecessore; ed i gentiluomini più non vollero languire in un ozio vergognoso. Egli amava di dare sfogo alla sua magnificenza col fondare novelli edifizii, e col riattarne e rabbellirne di quelli che già esistevano: di fatto il castello di Mirafiori tra il Po ed il Sangone, a libeccio di Torino, ed il vecchio parco furono due case di delizie, che sorsero a spese di questo Duca; già s'è detto che la seconda di queste deliziosissime ville, di cui gli annessi giardini posti ai confluenti della Dora e del Po, erano conforme al disegno di quelli di Armida, immaginati dal grand'epico italiano, fu poi convertito nella manifattura del tabacco. Non parlando che dei soli edifizi da lui eretti in Torino, e poco lunge da questa città, rammentiamo ch'egli ricostrusse e adornò il ducale castello di Moncalieri, ed eziandio quello di Rivoli, ove nacque : fece ingrandire la capitale del Piemonte: d'ordine suo se ne prolungò la contrada nuova; si costrusse la porta nuova, e s'innalzarono cinque bastioni per la difesa della parte meridionale della stessa capitale: incaricò l'architetto Vitozzi di gettare le fondamenta di un palazzo degno della sua splen

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dida corte; e quando fu eretto lo arricchi di una biblioteca,

come pure d'una collezione di busti antichi, e d'armi.

Tra i monumenti della munificenza di questo Sovrano, che sono in grande novero, notiamo almeno le chiese in Torino della Nunziata, degli agostiniani di s. Carlo, il convento e la chiesa de' cappuccini del Monte, la chiesa e il cenobio de' camaldolesi sulla torinese collina; lo stupendo spedale di s. Gioanni in Torino; in questa medesima città, la casa di soccorso, ove sono educate zitelle di civil condizione, e l'ospizio de' catecumeni di Torino. Nè vuolsi tacere che ei beneficò in più guise il R. albergo di Torino, di cui abbiamo parlato più sopra, e volle metterlo sotto la sua special protezione.

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Tiraboschi ed altri scrittori lodano questo duca pel patrocinio da lui conceduto alle scienze, alle lettere, alle belle arti; tanto più ch'egli medesimo parlava e scriveva con facilità le lingue italiana, francese, spagnuola, ed eziandio la latina, e compose un'opera che contiene paralelli tra i grand'uomini antichi e moderni. I più celebri poeti d'Italia venivano ad ossequiarlo, ed ei li accoglieva splendidamente.

Tasso, i Marini, il Tassoni, il Chiabrera provarono massimamente gli effetti di sua squisita generosità. Ma in riguardo all'equa distribuzione dei premi per incoraggiare i dotti e i letterati falli talora il suo lodevole scopo, e non evitò il rimprovero di aver riposto alcune volte la sua confidenza in uomini astuti, che erano ben lungi dal meritarla; la qual colpa è una delle più gravi che possa commettere un sovrano; ed è pur quella, in cui cadono molti principi, che si lasciano aggirare da certi serpentelli, i quali nelle reggie e nelle aule dei potenti non mancarono mai; e tanto è ciò vero che per le calunnie de' suoi cortigiani Carlo Emanuele I cadde nell'ingiustizia di concepire sospetti sulla condotta dell'uomo più grande dell'età sua, sull'immortale Francesco di Sales chiamato da dotti francesi il più amabile de' santi.

Quest'apostolo di veneratissima memoria si condusse quattro volte in Torino, e sempre vi lasciò memorabili segni della sua grande carità; vi venne nel 1596 per conferire col duca Carlo Emanuele I intorno alle missioni nel Ciablese, in cui egli allora semplice sacerdote operava maravigliose conver45 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII

sioni; qui ritornò tre anni dopo, quando fatto coadiutore del vescovo di Geneva, ei ritornava da Roma in Savoja; si condusse ancora in Torino nel 1603 in occasione di una visita ch'egli fece in Carmagnola al suo amico il venerabile Giovenale Ancina, seguita poi da un pellegrinaggio al santuario di Vico. I torinesi ebbero poi ancora la consolazione di averlo nella loro patria durante l'estate del 1622, ultimo anno di sua vita, allorchè fu incaricato dal papa Gregorio XV di presiedere al capitolo generale de' cisterciensi riformati in Pinerolo. Da quella città venne a Torino per compiacere a' suoi sovrani, che lo stavano ansiosamente aspettando. La principessa Cristina di Francia consorte d'Amedeo principe di Piemonte avevagli fatto apparecchiare un alloggio magnifico; ma egli modestamente lo ricusò, preferendo di abitare una cameretta nel monastero de' cisterciensi di sant'Andrea, o della Consolata. La ricca pianeta di cui usava, celebrando i divini misteri, vi si conservò poi sempre con grandissima venerazione. Quantunque il santo vescovo pensasse di non trattenersi in Torino se non pochissimi giorni, presto si conobbe che la divina Provvidenza qui lo aveva condotto per la salvezza di molte persone, che prima del suo arrivo erano invischiate in molte vizi, e per opera di lui divennero uomini di esemplare condotta. Si nota che un ragguardevole gentiluomo, vittima di nere calunnie artificiosamente congegnate, era venuto talmente in disgrazia del duca, che questi non voleva più sentire parola in difesa dell'accusato. D'altronde il calunniatore godeva di tutto il credito alla corte, e per la perversa indole sua era capace di vendicarsi a morte di chiunque avesse voluto prendere le parti dell'innocente. S. Francesco di Sales, dolente che la calunnia andasse trionfante e l'innocenza rimanesse oppressa, risolvette fermamente di disingannare il duca; e realmente gli scuoprì la calunnia, giustificando il gentiluomo accusato a torto: il calunniatore arrabbiato si armò alla vendetta; e concepì il diabolico pensiero di uccidere il santo vescovo, mentre questi celebrava la messa nella chiesa di s. Francesco d'Assisi; andovvi col reo disegno, di ucciderlo; ma penetrato dalla maestà e dalla divozione con cui il santo celebrava il divin sacrifizio, se ne ristette; domandò quindi l'amicizia

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