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fu incaricato d'invigilare sulla sinistra sponda del Po, su cui la rocca aveva un ponte, per impedire ogni soccorso dalla parte della Lomellina. Valenza resistette gagliardamente: più folte soldatesche trovarono il modo di far passare rinforzi alla piazza, talchè fu necessità il cessar dalla impresa, e ritornare al disegno del duca di Savoja.

Non è questo il luogo di narrare le successive vicende di questa lotta, durante la quale Vittorio Amedeo diè bellissime prove di valore e de' suoi guerreschi accorgimenti. Gli sorrideva la sorte delle armi, quando si ebbe a Torino un triste annunzio, che pose il cordoglio nell'animo di tutti gli abitanti di questa capitale: seppero essi che una malattia violenta colpì improvvisamente in Vercelli il loro buon Sovrano. La duchessa, sua consorte, vola al di lui soccorso in-sieme coi più accreditati medici di Torino; egli ne prova qualche sollievo, i cuori si aprono alla speranza; ma presto questa luce si dissipa; la febbre cresce con sintomi così funesti, che non è più lecito farsi illusione sullo stato dell'infermo. La costernazione è generale. Vittorio Amedeo solo, mostrando la più grande tranquillità, vede senza emozione avvicinarsegli la morte, sopporta con cristiana fermezza i più acuti dolori de' suoi visceri, e si occupa del bene de' suoi sudditi sino all'ultimo istante della sua vita: ordina che il governo degli stati suoi sia affidato alla duchessa sua consorte, e muore lasciando di se il più gran desiderio.

Le circostanze di questa morte furono tali, che ne nacquero sospetti negli animi della più parte degli italiani, e massime dei torinesi. Questo Sovrano, il conte di Verrua suo ministro, il marchese di Villa generale del suo esercito, trovandosi a Vercelli, dove stavano a campo i francesi, andarono a cena dal duca di Crequì, generale di questi: nell'uscirne Vittorio Amedeo si sentì da forti dolori colpito, e nel volgere del-. l'undecimo giorno passò di questa vita nell'età di cinquant'un anno. Gli altri commensali subalpini incontrarono la stessa sorte, tranne il marchese Villa, uomo di un temperamento straordinariamente robusto, che ne fu libero con veementi parossismi. Il corpo di Vittorio Amedeo I essendo stato aperto, non vi si trovò, dice il Muratori, che confermasse il sospetto d'avvelenamento; ma il Guichenon afferma ch'esso fu ritrovato tutto secco e privo d'umidità.

A questo riguardo giova riferire le parole di un illustre biografo: sospetti ingiuriosi, dic'egli, furono eccitati per queste tre malattie simultanee, e per le dissensioni che si erano sovente osservate tra il duca Vittorio Amedeo e il maresciallo di Crequì; ma i sintomi del morbo e l'ispezione del cadavere non giustificarono punto sospetti che erano già smentiti dal carattere e dalla riputazione del maresciallo. Coloro, che rispettarono assai la nascita e le virtù del duca di Créquì, non osando accusarlo, rivolsero le loro incolpazioni contro un favorito del cardinale di Richelieu, cioè contro l'Emery, che noi vedrem presto scatenarsi contro la reggente; ma conviene non credere leggermente ai vaghi rumori di avvelenamento che si rinnovano non infrequentemente fra una popolazione, ogni volta che una morte imprevista rapisce in elà non avanzata un principe che seppe cattivarsi l'affezione de' suoi sudditi; e Vittorio Amedeo riuniva in sè tutte le doti che costituiscono un buon principe. Egli era pio, benefico, attivo, vigilante, giusto, valoroso nei combattimenti, moderato nella vittoria. Infaticabile negli esercizii del corpo, come hei lavori della mente, sacrificò i piaceri al bene dei suoi sudditi. Vivea frugalmente; al suo esempio i suoi soldati sopportavano volontieri le fatiche, gl'incomodi, le privazioni d'ogni maniera. Saggio, regolato ne' suoi costumi, egli era accessibile a tutti i cittadini, ascoltava le loro doglianze, loro rendea giustizia, e addolcir sapea un rifiuto, quando non potea acconsentire alle loro domande. Degni di lode furono principalmente in lui l'amore dell'ordine, massime nelle cose della pubblica amministrazione. Tre anni di pace gli bastarono per pagare una gran parte degli enormi debiti che gli furono lasciati dal genitore. Vittorio Amedeo, dice il Sismondi, era stato formato alla pazienza, ed anche alla dissimulazione per causa dell'indole sospettosa di suo padre che gli aveva più d'una volta mostrato un'ingiusta diffidenza. Egli sapeva rendersi caro ai soldati, ai quali dava l'esempio così del valore, come della costanza nelle privazioni. Aveva ristabilito un grand'ordine nelle sue finanze; ma le guerre, ch'ei quindi sostenne, lo costrinsero a moltiplicare le imposte; mentre non distribuiva i favori se non con molto riserbo. La sua lodevole economia era tacciata

d'avarizia da alcuni cortigiani interessati, che dicevano di lui; questo principe è migliore per i popoli suoi, che per i suoi servitori. Un siffatto rimprovero è un bell'elogio. Questo Sovrano fu seppellito nella cattedrale di Vercelli; ma quando gli austriaci s'impadronirono di quella città, il suo corpo fu trasportato a Torino per essere deposto nelle tombe di sua famiglia.

L.

Reggenza di Madama Reale Cristina.

Evenimenti della guerra cittadina

sino alla riconciliazione fra la Reggente ed i suoi cognati.

Non v'era in Piemonte alla morte di Vittorio Amedeo chí potesse disputare alla duchessa vedova la tutela de' suoi figliuoli e la reggenza degli stati, perchè i due zi del duea fanciullo chiamato Francesco Giacinto, primogenito dei due figliuoli del Duca defunto, trovavansi uno in Roma, l'altro in Fiandra. Cristina, chiamata sempre Madama Reale, restava senza contrasti padrona del governo. Emery, uomo di rustici modi e d'incomportabile tracotanza, che appresso di lei. risiedeva ambasciatore di Francia, indovinando e prevedendo l'intenzione del cardinal ministro, fece subitamente disegno di arrestare come prigioni la duchessa e i figliuoli suoi, ed impadronirsi a nome del Re di tutto il loro stato. Non potendo ciò eseguire senza che vi consentisse e vi cooperasse il maresciallo di Crequì che parimente stava in Piemonte, gli comunicò il suo divisamento, mostrandoglielo come cosa vantaggiosa alla Francia, stante la rivalità con la Spagna padrona del milanese, e sicuramente gratissima al Richelieu. Il Crequì temendo, se vi si opponeva ostinatamente, che il collega non gli facesse appresso quel vendicativo ministro qualche cattivo uffizio, si arrese dopo essersi opposto alle prime insinuazioni, e aver mostrato il gran biasimo che si acquisterebbe per una così iniqua violenza fatta alla sorella del Re. Trovavasi vicino alla camera, dove di questo affare ragionavano l'ambasciatore e il maresciallo, una damigella di servizio, la quale udendo quei discorsi li riferì pronta

mente alla duchessa. Chiamati a consiglio i primi più affidati ministri e capitani, e singolarmente il marchese di Pianezza e il marchese Villa, si diedero tali ordini, che quando il dì seguente le truppe francesi accampate presso alla città si presentarono alle porte, ne fu loro vietato l'ingresso, e il disegno dell'Emery andò fallito. Intanto Madama Reale, sorella di Luigi XIII, principessa degna di volgere il freno dei sabaudi dominii, già erane dal supremo magistrato e dagli altri ordini dello stato acclamata reggente. Ma bisognava tener lontani dal Piemonte i principi cognati, tanto per non lasciarsi da loro tor di mano le redini del governo, quanto per non insospettire la corte di Parigi e i ministri del Re, che sapevano essere que' principi Sabaudi affezionati alla Spagna. Perciò nel rendere i suoi cognati partecipi della morte del Duca suo marito, Madama Reale li pregò amendue di non venire a Torino, nè in verun altro luogo degli stati Sabaudi per non dar gelosia a' francesi, e portarli a qualche risoluzione rovinosa per il duca fanciullo, per i suoi dominii, e per gli stessi principi. Ciò non ostante il principe cardinale Maurizio parti di Roma, venne a Genova e poi a Savona, donde spedì un suo gentiluomo a darne avviso alla duchessa reggente; ma ella mandò da Torino verso lui tre personaggi de' principali dello stato, cioè il conte di Cumiana, il conte di Druent, e il presidente Morozzo. La loro commissione era di dissuaderlo con tutte le ragioni che addur potevano dall'innoltrarsi in Piemonte, promettendo a nome della reggente ogni vantaggio che S. E. potesse desiderare. Il cardinale mosso, forse non tanto dalle loro ragioni, quanto dal vedere che non avrebbe trovato ne' grandi del regno disposizioni a lui favorevoli, tornossene a Roma.

Il principe Tommaso non si mosse così subitamente di Fiandra per recarsi al nostro paese; mandò tuttavia a Torino il marchese Ippolito Pallavicini a titolo di complimentare la reggente, ma in sostanza per intrigare contro la medesima. Diede ella parte di quanto avea fatto e facea tuttora per tener lontani i cognati, mandando per tale effetto a Parigi uno de' suoi scudieri, Alessio San Martino marchese di Parela. Frattanto fece prestar giuramento in Torino al Duca fanciullo, ed a sè come tutrice e reggente; e per avere più

affezionati i principali torinesi, e gli altri più cospicui uomini delle terre subalpine, ne promosse alcuni a nuovi uffizii e nuove cariche, altri ne decorò e distinse creandoli cavalieri del supremo ordine della Nunziata. Avrebbe essa desiderato, come già il Duca suo marito, di essere lasciata neutrale fra le due emule potenze ostinatamente guerreggianti così in Lombardia, come in Fiandra, ma tanta premura le fecero il Crequi e l'Emery, che le fu forza decidersi e rinnovare la lega con Francia. Ciò vedendo il governator di Milano marchese di Leganez, il quale avea fatto alcuni tentativi per avere il Piemonte se non alleato, almeno non dichiarato nemico, assaltò subitamente la nuova fortezza di Breme. Mentre ivi accaddero alcune fazioni militari, gravemente si ammalò il principe Francesco Giacinto, e nel finire di quella campagna, un anno solo dopo la morte del padre cessò di vivere in età di sei anni e venti giorni. La duchessa madre si dichiarò allora reggente a nome del secondo ed unico figlio che le rimaneva, chiamato Carlo Emanuele II. I principi Maurizio e Tommaso zii del duca fanciullo furono egualmente ed anche assai più vivamente che prima sollecitati a manifestare le loro pretensioni alla reggenza, e pareano avere più plausibili pretesti di torla alla real cognata, per non lasciar prendere troppa ingerenza ai francesi, ed alla fine farsi padroni della Savoja e del Piemonte. Il cardinal Maurizio s'avviò pertanto senza indugio verso il Piemonte, e venne sin presso ai confini di questa contrada. Vuolsi ch'egli abbia confidato al duca di Modena che veniva a Torino non solamente per essere reggente in luogo di Madama Reale sua cognata, ma ancora per farvisi duca sovrano in luogo del nipotino. Dio sa quali ragioni fosse egli per allegare a fine di venire a capo del suo disegno. Forse adduceva l'antico esempio di tre conti di Savoja, Pietro, Filippo e Amedeo che regnarono a preferenza de' loro nipoti discendenti d'un primogenito, o pure pretendeva di mettere in dubbio che Carlo Emanuele fosse figlio del duca Vittorio Amedeo, ma di qualche drudo della duchessa. Checchè di ciò sia, vero è che il principe Tommaso fu anch'egli prontissimo a partir di Fiandra, dove allora comandava le armi spagnuole, ed a venire in Italia per aver parte nel governo e secondare il cardinal fratello. .46 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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