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Frattanto la duchessa reggente chiedeva con gran premura al re di Francia forze bastevoli a difendersi contro i principi cognati già venuti a Milano e convenuti con gli spagnuoli, padroni del Milanese e di gran parte del Monferrato. Indi a poco tempo Vercelli, tra le mani degli spagnuoli, disserrò a' principi Maurizio e Tommaso l'ingresso alla patria, dove avevan eglino molti partigiani desiderosi di sciogliere il Piemonte dal giogo del Richelieu, e di assicurare l'indipendenza dei diritti di lor famiglia. I due principi sabaudi ne approfittarono per fare un colpo sopra Carmagnola, e massimamente sulla cittadella di Torino. L'oste ispana, per favorire il disegno de' due principi, si avanzo sopra i colli d'Alba. Madama Reale, antiveggendo l'atroce guerra che le apprestavano i suoi cognati, fu sollecita a risarcire i danni sofferti a Vercelli, e la città di Torino vide presto raccogliersi fra le sue mura quattro nuove legioni. Chè D. Umberto di Savoja arrolò settecento venti savoini, Lullin mille, Quarteri seicento vallesani, e Berto-` lotti un pari numero di stranieri. L'intrepida reggente fece subito campeggiar il suo esercito per assalir gli spagnuoli trincerati sulle sommità di Cengio, Ott'ore di animosissimo conflitto non li poterono sforzare dalle loro difese, ed ella dovette rimanersi spettatrice degli assalti dell'oppugnatore, cercando per altro il modo di indugiarli. Intanto il principe Tommaso, spiccatosi di notte da Vercelli con alcuni dragoni, venne ad imboscarsi sotto Chivasso: allo aprirsi delle porte questa piazza fu presa. La caduta di una rocca così importante per conservare la città capitale, determinò l'esercito collegato ad abbandonare le eminenze di Cengio per venire a difender Torino. Se non che le provincie del Canavese, del Biellese e la valle d'Aosta avevano già riconosciuto i principi per legittimi propugnatori dello stato. Le sole piazze fedeli alla reggente sulla sinistra riva del Po, furono Crescentino e Santià; ma l'intrepidezza con cui la prima si difese non potè salvarla; e la seconda, stretta da vicino, dovelte arrendersi per fame.

Il Principe Tommaso non cessava dalle sue conquiste, tragittava il Po, e compariva sotto Verrua, il cui comandante arrendevasi senza fare contrasti: da ciò incoraggiato il Prin

cipe sperava di poter ottenere lo stesso effetto a Torino. Viaggiando pei colli giunse al sobborgo di questa capitale, e gli intimò la resa; ma la reggente, donna di alti spiriti, seppe affrenar gli abitanti, ed il Principe ritiratosi da questa città andò ad espugnar Moncalieri; prese quindi d'assalto Villanuova, ed il presidio d'Asti allo avvicinarsi di lui sgombrò la città: il castello fu investito, ed abbandonato a se stesso, capitolò. La rapidità con cui il principe Tommaso dilatava la sua potenza in Piemonte colpì il Richelieu, il quale, ascrivendo sì alti progressi all'infedeltà de' comandanti delle piazze, ostinossi a volere, a scherno de' patti della lega, aver presidio francese in Cherasco, in Savigliano ed in Carmagnola. Intanto la stretta condizione dell'esercito collegato, non avendo esso in poter suo se non se Torino, Cherasco, Savigliano, Carmagnola, Pinerolo e Susa, ebbe maggior peso che non le replicate convenzioni e le premurose istanze per ottenere i soccorsi nel trattato di alleanza patteggiati. Un rinforzo de sei mila uomini lo pose finalmente in grado di ripigliare la supremità. La prima operazione fu quella di sciogliere Torino dalla molestia in cui tenevala avvinta Chivasso fra le mani del nemico. La oppugnazione di questa città fu spinta con vigore, ed il presidio fu costretto a calare agli accordi. Dopo alcune fazioni il principe Tommaso, sebbene i francesi non si trovassero molto lungi da Torino, tentò la sorpresa di questa capitale. Partito da Asti si fece innanzi all'ombra della piazza di Villanuova, e giunse al cader del giorno a Moncalieri, dove varcava il Po, e presto, col favor delle tenebre, assaliva l'opera avanzata che custodiva l'augusta città di Torino.

Prima d'intraprendere la narrazione dei fatti d'armi che avvennero allora intorno a questa capitale, diremo ch'essa a quell'epoca era nel medesimo stalo, tranne la riunione della cittadella, in cui aveala posta il re Francesco I quasi un secolo prima. Il castello trovavasi da due ali fiancheggiato, di cui la settentrionale metteva capo al bastione detto del Casollo, innalzato dal duca Ludovico, e chiudeva il lato verso il Po: a mezzodì il recinto veniva ad unirsi in linea retta alla cittadella, sorgente a libeccio: a tramontana protendevasi dal sovraccennato bastione del Casotto sino a quello

della Consolata: di là ripiegavasi verso la cittadella: una grand'opera esterna si stendeva verso la manca sponda del Po. Ora il generale francese Harcourt accostandosi a questa piazza prese di primo slancio l'erta dei cappuccini, e s'impadroni del ponte del gran fiume: il principe Tommaso ebbe appena il tempo d'introdursi nella capitale, la cui guarnigione era composta di cinque mila fanti d'ordinanza, di un egual numero di cittadini bene armati, e di mille cinquecento cavalli.

L'Harcourt, sostenuto dal presidio della cittadella, cominciò l'assedio senza il menomo ritardo: non si tosto ebbe investita la città e dato principio agli assalimenti, sopraggiunse il Leganez con diciotto mila uomini sopra gli alti colli dirimpetto all'oppugnata Torino, e discese a stringere più dappresso gli assalitori francesi. Questa capitale per tal modo investita offerì allora l'aspetto singolare d'una cittadella assediata dalla città; della città stretta d'assedio da un esercito francese, e di questo ravviluppato da un esercito di Spagna.

Quando il principe Tommaso venne ad assalire col favor. delle tenebre l'opera avanzata che custodiva Torino dalla parte del Valentino, vi facea prigioni trecento galli che la difendevano, s'impadroniva del rivellino che facea scudo alla porta del castello, la quale per tradimento gli veniva aperta. La reggente aveva appena il tempo di ritirarsi nella cittadella, e sarebbe caduta nelle mani del suo nemico, se i signori di Rossiglione, di Pullino, di Boglio e parecchi altri non avessero forzato le barricate per condurla in sicurezza, non paventando i colpi degli avversarii, per cui furono quasi tutti feriti. Il duca di Longueville si avanzava per assicurarsi della cittadella, voleva che il presidio ne fosse tutto di truppe francesi, e obbligando la duchessa ad uscirne, ordinava che fosse scortata dalla sua cavalleria insino a Susa. Ugualmente maltrattata da' suoi alleati e da' suoi nemici, addoloravasi Madama Cristina di esserc stata espulsa dalla sua capitale.

Le disgrazie del Piemonte affliggevano sommamente il papa Urbano VIII che nulla ometteva per ricondurvi la pace. Tuttavia il nunzio Caffarelli non potè ottenere che una tregua di due mesi, la quale fu stabilita in un congresso tenutosi

al Valentino. Il Richelieu profitionne per provvedere di vittovaglie la cittadella di Torino, e per introdurre grossi presidii francesi nelle rocche di Susa, di Avigliana e di Cavorre. Nè di ciò contento, indusse il Re a fare un viaggio verso le alpi per costringere la duchessa ad affidargli il suo figliuolo e le piazze che ancora le rimanevano nel nostro paese. Egli pretendeva dominare qual padrone assoluto a Torino come dominava a Parigi. La reggente invitata dal suo fratello, non potè ricusare di condursi a Grenoble; ma conoscendo qual volpe fosse il Richelieu, e temendone le insidie, prima di partire nominò luogotenente generale del Piemonte Carlo di Simiana, marchese di Pianezza, e lasciò il suo figliuolo a Monmelliano sotto la custodia del marchese di s. Germano, dicendogli: lo vi confido mio figlio; non acconsentite ch'egli esca dalla fortezza di Monmelliano, nella quale non riceverete alcuno straniero, e vi guarderete di rimetterla a chicchessia: se vi accadesse di ricevere ordini contrarii, non obbedite ad essi, quantunque fossero firmati da me. Cristina fu salda nel rifiutare le proposte che le vennero fatte a Grenoble dal Richelieu. Carezze e minaccie furono messe in opera inutilmente. Inutilmente ancora tentò quel ministro la fede del conte Filippo d'Agliè; e così lo stato fu salvo.

Allorchè il Leganez, governator di Milano, con diciotto mila uomini venne sopra gli alti colli dirimpetto all'oppugnata Torino, e discese a stringere più dappresso gli assediatori francesi, questa capitale era scarsamente provveduta di vittovaglie e di munizioni. Un soccorso di polvere giunto da Ivrea avendo potuto attraversare il campo della Maddalena, risarcì in parte il secondo difetto: la buona volontà dei torinesi sopperì al primo. Cinque mila de' più atti alle armi, in sei insegne divisi, si erano in sulle prime incaricati del mantenimento del buon ordine, e della custodia dei siti meno esposti: la lunghezza dell'oppugnazione, lo scemamento del presidio, composto quasi tutto di svizzeri e di spagnuoli, ed infine l'autorità del principe Tommaso persuasero a' volontarii di prender parte a tutte le fazioni, ed eglino, per l'interno servizio, furono surrogati dal clero. Tale fu l'origine delle urbane milizie in questo paese, le quali sotto i susseguenti regni prestarono servigi molto lodevoli.

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Il presidio, oppresso da ogni maniera di privazione, si difendeva, e saltando fuori frequentemente procuravasi qualche ristoro.

Dopo che il Leganez circondò più dappresso gli assediatori francesi, cominciarono questi a provare gli effetti della carestia: uno squadrone di spagnuoli per vieppiù restringerli, si recò ad insignorirsi del castello di Collegno, e numerosi branchi di corridori incrocciavansi nella pianura per sorprendere le vettovaglie dirette alle affamate truppe dell'Harcourt: giunse intanto a Pinerolo un fioritissimo rinforzo di francesi: al ricevere questa notizia, il principe Tommaso, che trovavasi egli stesso in estreme angustie, replicò le sue istanze al Leganez, perchè si venisse ad una definitiva battaglia. Cominciossi la zuffa al Valentino: il primo assalimento sorti sul principio un esito felice: gli spagnuoli furono poi vigorosamente respinti, sicchè i francesi ingagliarditi strinsero più dappresso la città con una novella trincea, e replicarono gli assalti nel mentre che i loro nemici rimanevansi neghittosi testimonii di quanto essi operavano.

La piazza era omai giunta agli estremi: scarseggiava di tutto, segnatamente di polvere, a malgrado del poco che dal campo spagnuolo le veniva briccolato entro concave palle da cannone, chiuse a vite: della quale ingegnosa invenzione si dà il primo merito ad un artigliere piemontese, nominato Gallo, sebbene il Nani l'attribuisca ad un ingegnere bergamasco per nome Zignoni, che era agli stipendii delta Spagna.

Il principe Tommaso, vinto per forza dall'Harcourt, per mancamento di fede dal Leganez, turbato dai soldati forestieri al suo soldo, che dimandavano i pagamenti con condizioni inoneste, ed anzi poco avanti avevano fatto per questa cagione un tumulto, nè sperando che gli potesse venir salute d'altronde, prese consiglio di non più differire la dedizione. La trattarono dalla parte dei principi i conti di Druent e di Mussano col commendatore Pasero, dalla parte della duchessa i marchesi di Pianezza e Villa, l'abate Mondino e il signor Gonteri.

Fece qualche difficoltà il volere l'Harcourt, che di ciò aveva avuto ordini da Parigi, e i commissarii della duchessa, che

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