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Il Bentivoglio dice che la minor età di Carlo Emanuele II pareva dover essere per la casa di Savoja ciò che l'anno climaterico è pel corpo umano, cioè l'epoca di sua morte o del suo crescimento; dopo essersi veduta minacciata di un'intera distruzione, nacquero per essa i giorni di sua più grande forza al di dentro, e di sua più grande riputazione al di fuori.

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A persuasione di sua genitrice, appena ritornò da Ivrea a Torino, stabilì un consiglio invece di quello di reggenza: per dare una prova d'affetto verso i due zii e della confidenza che riponeva in loro, nominò il principe Maurizio a luogotenente generale della contea di Nizza, e conferi al principe Tommaso il governo delle provincie d'Asti e d'Alba, assicurando all'uno ed all'altro il primo posto nel novello consiglio di stato, al quale furono ammessi monsignor Bergera arcivescovo di Torino, i marchesi di Pianezza, di Villa, di Lullins, di Pallavicini, di s. Tommaso, e i conti Ardoino di Valperga, Filippo di s. Martino d'Agliè, Ubertino di Moretta, l'abate di Verrua, tutti uomini di guerra o di stato.

Questi consiglieri non dovevano mai allontanarsi dalla persona del giovine sovrano, il quale avea pregato la sua genitrice di voler sempre assisterlo personalmente. Ella più ad altro non pensò che a prolungare la sua autorità, e ottenne questo scopo ben oltre le sue speranze, perocchè il figliuolo, che teneramente la amava erasi avvezzato sin dagli anni più teneri ad eseguirne i cenni, ed anche a prevenirne i desiderii.

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Uno dei primi atti del nuovo governo di Carlo Emanuele II fu una numerosa promozione di cavalieri al supremo ordine dell'Annunziata, che si fece con gran pompa nella torinese metropolitana. Durante la reggenza non erasi conferito ad alcuno quell'ordine, perchè un duca pupillo non si presumeva in grado di crear cavalieri, e non eravi esempio che le duchesse reggenti ne avessero creati.

Solamente si era permesso al principe Maurizio, zio del duca, di portarne le insegne, cioè la catena d'oro al collo, quando, lasciata la porpora cardinalizia, vesti abito secolare e sposò Ja nipote. Allorchè veniva fatto cardinale, ancor non avea ricevuto dal padre quella insigne decorazione; e non vi era 47 Dizion. Geogr, ec. Vol. XXII

esempio che un cardinale fosse stato decorato d'un ordine laicale. Si tenne capitolo secondo l'usanza per tal creazione, e la cerimonia si fece con gran pompa. Il principe Maurizio vi si presentò a ricevere formalmente il collare, e prestar coi nuovi cavalieri il solito giuramento; assistette nella chiesa cattedrale alla funzione in cui si cantò l'inno ambrosiano, non lasciando per altro di mostrarsi malcontento che non si fosse aspettato che il principe Tommaso intervenisse al capitolo, che senza lui, che n'era il decano, dovea parere illegale, non essendovi che due cavalieri delle precedenti creazioni. La duchessa non dissimulava nè tampoco la sua avversione a quel principe. Nondimeno fece comprendere il primogenito di lui in quella promozione. Ma più ancora premeva a Madama Cristina di far quest'onore ai generali ed ai ministri che l'avevano fedelmente e con molto zelo servita nelle passate contese, e coi principi cognati e con la corte di Francia..

Per tal motivo, incontanente dopo i due principi del sangue, ricevettero le insegne dell'ordine supremo il marchese di Pianezza, tre della famiglia e del suddetto ramo di s. Martino d'Agliè, e il marchese di s. Damiano e Rivarolo; inoltre il marchese di Trivier signor di Fleury, il marchese Pallavicini di Frabosa, il conte Solaro di Moretta, il conte Scaglia di Verrua. Qualche giorno dopo ricevettero eziandio il colJare altri personaggi affezionati alla duchessa, cioè il marchese Tana, il conte Provana di Leynì, il figlio del marchese Guido Villa, e il conte Ponte di Scarnafigi.

Per riguardo al nuovo consiglio di stato venne stabilito che tutte le deliberazioni avessero la firma del Duca, fossero controsignate dal primo segretario di stato, il quale ne avesse la risponsabilità; che Madama Reale dovesse controfirmare le corrispondenze politiche, ed anche i brevetti di grazie e di pensioni soggetti ad essere registrati; che il cancelliere non apponesse il sigillo ad alcun brevetto o decreto che non fosse prima stato registrato; che alcun suddito del Principe non potesse, senza espressa permissione, passare ad un servizio straniero: che finalmente, chiunque ricevesse dal Principe qualche assegnamento o qualche pensione, dovesse prestargli un particolar giuramento di fedeltà.

Arreca meraviglia il vedere che siffatti regolamenti fossero creduti necessarii; ma sgraziatamente tali precauzioni non erano superflue in un'epoca, in cui lo spirito di partito avea confuso le idee più comuni per riguardo all'onore ed al dovere.

LIII.

Ulteriori fatti di Carlo Emanuele II.

Seguendo i consigli di sua madre, Carlo Emanuele II rinnovò subito gl'impegni che i suoi congiunti di sangue avevano contratto colla Francia, ed ingrossò il suo esercito di quattro nuove legioni. La guerra non avea cessato in Italia tra gli spagnuoli e i francesi; essa non ebbe termine che undici anni più tardi per la pace de' Pirenei; ma dopo il 1648 più non produsse avvenimenti considerabili. Alcune piazze prese e riprese sulle frontiere del Piemonte e del Mi-. lanese ne furono i soli evenimenti degni di osservazione. Durante quel tempo il duca di Modena alleato di Francia e il nuovo duca di Mantova, che non esisteva se non per quella, poteron fare la loro pace particolare con la Spagna; ma ciò non potevasi ottenere dal governo di Savoja, tuttora dominato dalle cittadelle di Pinerolo e di Torino, e massimamente dagli eserciti francesi, che attraversavano il nostro paese in tutti i sensi, vi vivevano a discrezione, e vi mettevano ogni cosa a soqquadro. Per buonà sorte gli eserciti scemarono di numero per un seguito delle turbolenze interne del reame di Francia; ed il Mazzarino succeduto al Richelieu nel ministero, più occupandosi della Fronda che dell'Italia, lasciò riposare la nostra infelice contrada; d'altro canto gli spagnuoli stanchi d'una guerra che durava da più di ottant'anni, e costretti a reprimere le sollevazioni dei regni di Napoli e di Sicilia, non erano in grado di profittare in Lombardia. degl'imbarazzi del loro nemico, Durante quel tempo, si può ben vedere che il consiglio di Torino non ebbe altro divisamento tranne quello di allontanare, quanto fosse possibile, il flagello della guerra, che da tanti anni desolava il Piemonte.

L'alleanza conchiusa nel 1651 con gli svizzeri cattolici migliorò ancora la condizione del torinese consiglio. Carlo Emanuele potè reprimere i protestanti delle valli di Luserna e di San Martino, che secondo il loro costume usavano l'occasione delle difficili circostanze in cui si trovava il nostro governo, e ch'eransi mostrati più indocili e più audaci di prima. I francesi che nel loro proprio paese mostravansi intolleranti sino alla barbarie, facevano ogni sforzo, quando loro se ne presentava l'opportunità, per sollevare i valdesi contro il loro governo legittimo.

La guerra continuava in Lombardia tra gli spagnuoli capitanati dal Caracena, e i francesi sotto il comando generale del duca di Mantova, che per la seconda volta avea lasciato il partito di Spagna per tornare a quello di Francia. Il duca di Savoja vi concorreva come alleato di Francia, e mandava all'esercito francese che stringeva d'assedio la fortezza di Verrua il marchese Villa, che vi perdea la vita per un colpo di cannone. Il principe Tommaso, a cui mancò d'effetto l'impresa di Napoli, venne a Torino, riconciliossi pienamente con la duchessa madre non più tutrice, ma disponitrice assoluta della volontà del regnante suo figlio; e le cose passarono nel nostro paese con maggior quiete che da molti anni non si fosse provata; tranquillità tanto più invidiabile, quanto meno ne godevano gli altri paesi d'Europa. In Inghilterra l'orribil catastrofe che sbalzò dal trono e fe' cadere su d'un feral palco la testa dell'infelice Stuardo, avvenne in que' mesi appunto che Carlo Emanuele II uscì di minor età e di tutela. In Ispagna uno de' primi grandi del regno insieme con altri personaggi di alto affare cospirarono contro il re Filippo IV per portar al trono il figlio della duchessa di Braganza, mentre Filippo si travagliava per ritogliere alla casa di Braganza il Portogallo.

I francesi tenevano intanto in poter loro, oltre Pinerolo, la cittadella di Torino e la città di Chivasso: non mancò chi consigliasse il duca e la duchessa a prevalersi di favorevoli circostanze per riavere queste piazze; il che sarebbe stato facilissimo quando si fosse contratta nuova alleanza con Ispagna. Ma ciò non potea farsi, senza incontrare il biasimo d'infedeltà e d'incostanza; e non si volle perciò por mente ai rischiosi consigli.

Il principe Tommaso mentre stava guerreggiando intorno a Pavia, fu preso da febbre terzana doppia, venne a Torino, dove peggiorando di salute, finì i suoi giorni nell'anno sessantesimo dell'età sua. La Francia per la sua morte perdette un capitano più valoroso che felice. Ma nè alla duchessa Cristina, nè al Duca potè rincrescere il perdere un cognato ed uno zio che dava loro più soggezione che ajuto o consiglio. Un anno dopo morì il principe Maurizio, che lasciò. anche più libera la corte di Torino nelle sue disposizioni per riguardo al contado di Nizza e a quei distretti dove egli aveva entrate e governo.

LIV.

La duchessa Cristina accoglie in questa capitale
la regina Cristina di Svezia:

paragone tra queste due principesse :

restituzione della torinese cittadella.

Tra i protettori della causa dei ribelli valdesi trovavasi la famosa Cristina di Svezia, la quale reduce dalla Francia, passò a Torino per condursi a Roma. Per ordine della duchessa di Savoja le furono prodigati i più grandi onori negli stati Sabaudi dalle frontiere del Delfinato sino a quelle del Milanese: Madama Reale le fece in Torino la più splendida accoglienza, considerandola non già come la patrona degli spiriti forti del suo tempo, non come una neofita che dava prove di equivoci sentimenti, ma come la figliuola del gran Gustavo, principe ammirato in tutti i luoghi e da tutti i partiti.

Gli uomini saggi poterono fare un singolar paragone tra Cristina regina di Svezia e Cristina duchessa di Savoja. La prima, incoronata nelle più favorevoli circostanze, circondata dal rispetto e dall'amore, con cui gli svedesi riguardavano l'illustre suo padre, aveva abbandonato per capriccio il posto glorioso in cui era stata collocata dalla provvidenza; aveva disprezzato il nobile incarico di render felici milioni d'uomini; si era sottratta, come da incomodi pesi, dai sacri doveri di consorte e di madre. Le vane lodi de' suoi protetti la indennizzarono assai male dei grandi sacrifizii da essa fatti:

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