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Carlo Emannele, prima di adottare definitivamente le proferte del Della Torre, le sottomise all'esame del marchese di Pianezza, che, dopo aver percorso una carriera luminosissima, godeva di un onorato riposo nelle sue terre. Il progetto che mi vien proposto, disse il marchese, è ingiusto, e la guerra che ne seguirebbe è contraria agl'interessi dello stato. Invano questo novello Aristide dimostrò con ragioni convincenti la convenevolezza e la giustizia del suo avviso. Quelli che volevano l'eseguimento di una sì malaugurata spedizione, ottenevano sgraziatamente il loro scopo.

La cosa da principio non si tenne così nascosta, che non se ne buccinasse presto nella città, e che nei saloni di alcuni nobili torinesi non se ne parlasse apertamente con orrore, massime dalle più saggie matrone, a cui rifuggiva la mente pensando alla strage delle gentildonne e dei loro innocenti pargoletti nella capitale della Liguria.

Fatto è che Carlo Emanuele nella sua smisurata ambizione d'ingrandire i proprii stati, e nella speranza massimamente d'impadronirsi dell'immenso tesoro di s. Giorgio, diè principio a quella guerra ingiustissima. Delle sanguinose fazioni che ne seguirono abbiamo già steşamente parlato nella storia di Genova; qui diciam solamente che in fine l'intiera sconfitta dei piemontesi lasciò i figuri padroni della riviera occidentale; e che la valle di Oneglia si sottomise senza cimento. Genova, ricevuto l'avviso della splendida vittoria, si diede in preda ai tripudi ed all'ebbrezza. Il duca di Savoja fieramente irritato dalla sconfitta de' suoi, volle tosto risarcirne i gravi dapni ricevuti con la leva di nuove genti, e fece rinnovare le ostilità; e le avrebbe fatto proseguire, se il Papa ed il re di Spagna non s'intromettevano con tutto lo zelo ad aggiustare le differenze tra lui e la repubblica, per impedire che le fiamme della guerra si diffondessero nel rimanente dell'Italia: fu per opera del Gomont, inviato francese, che si pose l'ultima mano a quest'opera di riconciliazione.

Molte furono le triste conseguenze di questa sciaguratissima lotta. Il perfido Della Torre, della cui intimità il duca di Savoja avrebbe dovuto arrossire, allorchè scopertasi la sua iniqua congiura, sen ritornò a Torino, ritenne il grado di

capitano delle corazze, e fuvvi onorato di una generosa ospitalità onde soffermossi borioso in questa capitale, finchè vedendosi sprezzato da tutti i buoni, si recò a Venezia, ove commettendo ogni più nera turpitudine, cadde sotto il pugnale di un sicario.

LV.

Munificenza di Carlo Emanuele II:

i torinesi ne provano effetti, cospicui.

Carlo Emanuele II dopo la pace con Genova si ricondusse talmente ai principii della moderazione, che la corte di Francia gli concedette senza difficoltà di rassettare parecchie sue fortezze, e di gettare le fondamenta di alcune nuove. Nè tra le opere di questo genere il nostro Duca dimenticò di proteggere i buoni studi. Un'accademia letteraria e un'accademia di disegno nacquero a Torino sotto i suoi auspizii. Certo, a quei dì il gusto già era guasto, massime nelle lettere, perchè essendo venuto a schifo l'elegante semplicità degli antichi, si cercavano concetti astrusi e correlazioni sforzate; il che chiamavano profondità e novità, e andare a seconda del se-colo, come se i secoli non si dovessero tenere e sanare, quando si guastano e cadon nel brutto. Ma pure in Torino non era poco, che acceso si mantenesse quel fuoco negli animi, che li portava ad amare quanto gli solleva e consola, ed erudisce e migliora. Torbida era la fiamma, ma col tempo e col ministero di nuovi e più puri sacerdoti si andò poi purificando e rischiarando. I costumi soprattutto eleganti della corte di Torino, divenuta una delle più splendide di Europa, favorirono allora eziandio lo sviluppo delle belle arti. Ma in cima de' pensieri di Carlo Emanuele II era quello di segnalarsi mercè di splendide costruzioni. Questa capitale da lui riconosce considerevoli accrescimenti: egli fondovvi quasi tutta la parte che fu poi detta la città nuova; cominciò l'arsenale e il palazzo dell'accademia, allora collegio dei nobili; fece edificare il reale palazzo, che ancor oggi esiste, e di cui l'interno è ammirato dagli intelligenti. A lui e alla duchessa Gioanna Battista si debbono la sontuosa cappella del s. Su

dario, la chiesa di s. Lorenzo, la volta della chiesa di s. Tommaso, il convento e la chiesa della Visitazione di Torino. Oltre a ciò il medesimo Duca cedette ai filippini l'area del loro convento e della loro chiesa, che occupano in questa città un'isola intiera. La duchessa nel suo particolare fondò la congregazione dei preti teologi del Corpus Domini, che poscia fece parte della collegiata della SS. Trinità. Il palazzo di città fu costrutto all'epoca del maritaggio dello stesso principe con Francesca Maddalena d'Orleans. Egli creò, come per incantesimo, la villa reale della Veneria; riabbelli Moncalieri e il Valentino. Da lui si hanno a riconoscere, fra le altre opere, i portici della contrada di Po in Torino; i portici di s. Lorenzo sino alla contrada nuova, come pur quelli della stupenda piazza di s. Carlo.

Tuttavia, per riguardo alle costruzioni, con che il duca Carlo Emanuele II diè un grande sfogo al particolare suo genio, dobbiam dire che quelle, onde gli venne maggior fama, furono le aperture assai malagevoli di varie strade per rendere più ovvie le comunicazioni tra le provincie degli stati suoi. Di una di esse, che venne meritamente dichiarata come opera degna de' più bei tempi romani, facciam qui speciale menzione, perchè, come afferma il Botta, fu eseguita per dar l'adito da Torino a Lione.

Un'antica via romana che da Ciamberi metteva in Francia pel luogo di Echelles, erasi in epoche di barbarie sommamente digradata; onde le salite dell'alta rupe soprastantele a tramontana, ivano serpeggiando in erti e brevi giri, e parevano a chi le riguardava, altrettante scale anzi che vie per camminarvi. A fianchi della rupe si aprivano voragini senza ripari, e in alcuni giri della medesima pendenti massi atterrivano il viandante. Il sentiero era così stretto fra le alte rupi e precipitoso, l'iniquità del sito tanta e così pericolosa, che i muli carichi non vi potevano passare, ed era d'uopo scaricarli e trasportare per via di macchine le balle delle merci da una roccia all'altra; ma dappoichè per la provvidenza di Carlo Emanuele II il fianco delle quasi intrattabili alpi era stato in questo luogo rotto, aperto e ridotto ad uso comodo de' viandanti, non solo con sicurezza, ma con più facilità che in altre più piane parti si valicava. Soló un se

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greto orrore prendeva chi trapassava, non già di paura, ma di maraviglia all'alto spettacolo di quei macigni rotti, di quelle rupi pendenti, di quel gemito e mormorio d'acque gelide di quel rumor cupo dei passi del viandante: là dilettavasi G. Giacomo Rousseau in lasciarsi venire il capogiro, guardando dall'alto in giù il misterioso Gujer, che cupo e profondo si sente, e poco si vede. La volontà di Carlo Emanuele si travagliava in luoghi stupendi. Il gran conquistatore Napoleone I esaminando attentamente così maravigliosa strada, disse quello che andò poi ripetendo alcuna volta: « avere i duchi di Savoja nel loro piccolo stato fatto più che nella loro grandezza i re di Francia ». E intanto diede ordine che questa via fosse prontamente restaurata; ordine che fu eseguito nel 1803.

LVI.

Morte di Carlo Emanuele II:

Reggenza della duchessa Giovauna Battista:

Breve cenno del regno di Vittorio Amedeo II fino al 1706.

Sgraziatamente Carlo Emanuele II fu tolto troppo presto all'amore de' suoi popoli. Egli non ebbe la soddisfazione di veder condotti a termine tutti i lavori da lui saggiamente cominciati. Nella sua età di anni 41, sentendosi colpito da una malattia mortale, volle che si aprissero le porte del suo palazzo, e che vi si lasciasse entrare la folla dei torinesi, dicendo che il suo buon popolo lo vedesse morire, come avevalo veduto vivere; ed è questa una prova ch'egli amava sinceramente i torinesi, e ch'eglino erano a lui sinceramente affezionati. Questo principe rese l'anima a Dio il 12 giugno 1675, lasciando l'unico suo figlio, Vittorio Amedeo, in età di undici anni, sotto la tutela di sua genitrice Gioanna Battista Maria di Savoja-Nemours, ultimo rampollo del ramo che avea formato Filippo di Savoja conte di Geneva, quartogenito di Filippo senza Terra, creato duca di Nemours dal re Francesco I.

Carlo Emanuele II fu accusato di aver fatto venali i titoli di nobiltà, le cariche dello stato, e perfin quelle dell'alta

magistratura; nè noi intendiamo di scusarnelo perchè altri principi a quell'età facevano lo stesso vituperoso mercimonio: egli è certo che i dominatori delle nazioni hanno sempre ad imitare non già chi le snerva ed opprime, ma chi cerca di renderle fiorenti ed avventurose.

Si volle instituire un confronto fra Carlo Emanuele II e Luigi XIV, e si osservò che questi due sovrani si rassomigliarono per un'ammirevole splendidezza, pel gusto delle opere architettoniche, per un grande novero di donne che l'uno e l'altro amarono con illecito amore, e per un genere di pietà, che allora presso i regnanti non escludeva la sregolatezza della condotta, e univasi poscia, ma tardi, alla severità dei costumi.

Siccome Vittorio Amedeo II, alla morte di suo padre, trovavasi ancora in età minore costituito, così Gioanna sua genitrice assunse la reggenza, alla quale con sommo consentimento aderirono i magistrati ed i popoli. Bene si temeva da alcuni che Gioanna si voltasse con affezione soverchia dalla parte di Francia, dal che sarebbe avvenuto che non lungo tempo il Piemonte avrebbe potuto riposarsi in pace per la natura facilmente corriva al guerreggiare del re Luigi; ma per gli effetti ella dimostrò che più amava la quiete dei popoli che il mescolarsi in controversie sanguinose, e più allevare il figliuolo fra il sereno che fra le tempeste. E bello il dire che i nove anni dell'amministrazione di Madama Reale Gioanna Battista di Nemours furono un tempo avventuroso. Lo stato sabaudo vi aveva goduto di una pace profonda al di fuori, e le agitazioni tra i grandi e i depositarii del favore sovrano non erano state che semplici intrighi, che rimpiazzavano allora, nella più parte delle corti d'Europa, lo spirito di partito, come questo spirito vi era già prevaluto sul terribile genio delle fazioni.

Vero è per altro che la duchessa Gioanna, temendo eccessivamente di veder troppo presto finire la sua autorità, avea tenuto, per quanto gli era stato possibile, lontano dagli affari il duca suo figliuolo, che poi nel corso quasi intiero della sua luminosa carriera, mostrò un carattere così maschio e così fermo. Forse per potere ancor dominare aveva Giovanna negoziato, nel 1677, il matrimonio del suo figliuolo

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