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il suo trattato di alleanza colle corti di Austria, e che gli spagnuoli, di presidio nel Milanese, s'innoltrarono in Pie

monte.

Il giovine duca di Savoja volle annunziare egli stesso al fiore della torinese nobiltà raccolto nella sua anticamera la presa risoluzione; gli palesò con voce alta e fiera i modi indegnissimi con cui la Francia volea calpestare la sua corona, e trarre il Piemonte in durissima schiavitù; e non gli tacque le generose offerte fattegli da lunga pezza dalla casa d'Austria; finì per dire che avevale accettate, affidandosi allo zelo dei valorosi patrizi e di tutti i prodi suoi militi nel sostenere una guerra così giusta e così necessaria. Le slesse cose egli fece palesi alle sue popolazioni con un manifesto, il quale produsse un entusiasmo così generale, massimamente tra i popolari, che fu d'uopo, nei primi momenti, disarmar tutti quelli che non facevano ancor parte dell'esercito, per impedire che questa lotta principiasse coi vespri siciliani, cioè per provvedere alla salvezza di ben molti francesi, per lo più negozianti, che dimoravano in Torino, ed in altre città subalpine.

L'esaltazione era veramente nazionale: tutti i conventi, i monasteri, offerirono al Duca, pei dispendii della guerra, gli argenti e gli ori lavorati delle loro chiese. Quest'esempio delle case religiose, che allora in Piemonte erano in grande numero, fu subito imitato dalle famiglie de' gentiluomini, e de' più ricchi popolani. Frattanto settemila torinesi si armarono per occupar la collina ed i posti fortificati nella vicinanza di Torino. Questa capitale e la sua cittadella furono abbondantemente provvedute di viveri. L'ambasciadore di Francia venne arrestato e condotto nel castello d'Ivrea in rappresaglia di ciò che il marchese Dogliani, ambasciadore di nostra corte a Parigi, era stato ivi pure rinchiuso in una prigione.

Or mentre Vittorio Amedeo nulla trascurava per porre Torino in un ragguardevole stato di difesa, e faceva scudo a questa capitale con un accampamento a Moncalieri, giungono ventimila uomini di Lamagna sotto il comando del principe Eugenio di Savoja-Carignano, che poi levò tanto grido di sè e fu dichiarato l'eroe del suo secolo. Immanti

nenti questi vennero destinati al riacquisto di Carmagnola, la cui propinquità teneva in soggezione Torino: era forza operare in guisa da allontanare l'oste nemica da Carignano, ove era attendata: Saluzzo, divenuta la sua piazza d'arme, era per lei un importante oggetto. Quarantasette mila collegati guerrieri, varcato il Po, s'innoltrarono sotto Revello, minacciando Saluzzo: i francesi affrettaronsi a tragittar questo fiume a Villafranca per andare in sua difesa; Carmagnola, lasciata così a se stessa, venne tostamente assalita da una grossa banda a ciò destinata, e dopo quattr'ore di cannona mento calò agli accordi.

La inopinata caduta di Carmagnola, lasciando scoperta Pinerolo, destò una viva inquietezza nei francesi, per rispetto a questa piazza, una delle precipue chiavi d'Italia, che stava loro a cuore di conservarsi.

Ciò non pertanto i primi successi di questa lotta, di cui narramno stesamente le particolarità nella storia del Piemonte, non risposero al valore delle truppe subalpine, ed ai grandi sacrifizi fatti dalla nazione per sostenerla. È però bello il dire che infine il duca di Savoja mostrò sì gran cuore, sì gran mente, tanta attività, tanta fermezza, che l'arbitrio delle sorti italiane più non rimase nè presso Francia, nè presso Spagna.

La corte di Parigi omai stanca de' suoi medesimi trionfi, che le avevano già costato ducento milioni di franchi per dispendi straordinari, volgeva proposizioni di aggiustamento alla gran lega, corroborandole per altro con gagliardi apprestamenti ; e siccome i confederati per la più parte mostravano di voler continuare le ostilità, Luigi XIV persuaso che Vittorio Amedeo, dopo la disfatta della Marsaglia (Vedi Vol. X, pag. 200 e segg.), sarebbe stato più pieghevole, gli fece utili offerte di pace. Il Duca trovavasi allora in condizione di dover porgere orecchio agli inviti che gli erano fatti da quel Re: i suoi alleati non gli somministravano fra tutti un sufficiente ajuto contro alle poderose galliche truppe che gli avevano invaso il contado di Nizza, i ducati di Savoja e di Aosta, non che varie piazze del Piemonte: si compiace frattanto che il re di Francia gli offre di rinunziare le sue pretensioni sulla Lombardia; e lo assicura di cedergli Pinerolo e

la Perosa, sotto la condizione di smantellare queste fortezze; si compiace che gli si prometta la restituzione di quanto gli era stato tolto, e la ricognizione dell'indipendenza della sua sovranità nei propri stati; gode infine sommamente che Luigi accertandolo di ricondurre la Francia ne' primi limiti naturali delle alpi, si obbliga di sancire la neutralità della nostra penisola, tanto desiderata dal Papa, dalla repubblica di Venezia e da tutti i principi italiani.

Per tutto ciò s'induce Vittorio Amedeo a sottoscrivere in secreto una tregua col re di Francia, la quale fu seguita da un trattato definitivo di pace, che fu stipulato in Torino nel dì 29 d'agosto del 1696, e pubblicato addì 10 del seguente settembre. Gli articoli principali ne furono, che Pinerolo, i baluardi di questa piazza, il castello della Perosa fossero smantellati, come già eralo stata la fortezza di Casale, ed il suolo ne fosse restituito al duca di Savoja; che questo Duca rientrerebbe in possesso di tutto ciò che la Francia gli aveva preso durante questa guerra; che il duca di Borgogna sposerebbe Adelaide di Savoja, figliuola primogenita di Vittorio Amedeo; che gli ambasciadori di Savoja riceverebbero per l'avvenire in Francia un trattamento pari a quello dei ministri del Re; che infine il Duca unirebbe le sue truppe a quelle di Luigi XIV, ed entrerebbe immediatamente nel Milanese, a fine di costringere l'Imperatore e la Spagna a riconoscere la neutralità d'Italia, la quale sarebbe riconosciuta dalla Francia.

Così Vittorio Amedeo ottenne quanto bramava, e l'assedio di Valenza sul Po, intrapreso dal suo esercito riunito a quello di Calinat, rese necessarii i famosi trattati di Vigevano e di Pavia, per cui la Francia, l'Imperatore e la Spagna convennero finalmente che l'Italia non prenderebbe più parte alle loro querele. Il che accrebbe mirabilmente la stima del duca di Savoja in Italia.

Voltaire, di cui troppo sovente sono ingiusti i giudizi sopra uomini di alta e bella rinomanza, dice in tuon beffardo che Vittorio Amedeo in men di un mese fu generalissimo dell'Imperatore', e generalissimo di Luigi XIV: sog. giunge ancora che nessun principe al suo tempo abbracciava più presto un partito, quando trattavasi di rompere

gli obblighi da lui contratti, se nel consigliavano i propri interessi. Ma è ben facile il rispondere che quel Duca, dopo aver chiaramente dimostrato che sapeva essere fedele ad un partito infelice, usava del diritto che hanno tutti i principi di stipulare la loro pace separata, quando il bene dei loro popoli ed il vantaggio della loro corona lo richiedono, e che non sarebbe stato un Sovrano se avesse agito altramente. E diffatto allora ciascuno degli alleati si fece a trattare a parte e pel suo proprio conto; ciò che diede luogo al trattato di Riswik, e indi a quello di Carlowitz, e ad una di quelle epoche troppo rare e troppo brevi in cui tutta la terra è in pace. Fu ben glorioso per un duca di Savojà di essere stato la primiera causa di questa pacificazione universale. Il suo ministero acquistò allora un gran credito, e la di lui persona un'altissima stima. La Francia restituì alla Spagna tutto ciò che le aveva tolto; altre restituzioni vennero fatte all'imperio ed alla casa di Lorena, e Guglielmo di Nassau, cui la corte di Parigi ostinavasi a non riconoscere che come principe d'Orange, fu riconosciuto re d'Inghilterra. Sembrava che di comune accordo tutte le potenze armate d'Europa volessero riposare; pareva massimamente che Luigi XIV volesse dare agli occhi del mondo la sua prima prova di moderazione, nel momento in cui egli stava per far cadere nella sua famiglia tutte le corone di Spagna. Si prevedeva come vicina la morte di Carlo II, colpito da una malattia di languore che lo strascinava alla tomba sul fiore dell'età sua. Questo monarca non lasciava figli, ed in lui si doveva estinguere il ramo primogenito della casa d'Austria. Tutti gli occhi erano aperti sul vasto reditaggio di cui egli avrebbe disposto. Vittorio Amedeo II era pronipote di Catterina, figlia di Filippo II, re delle Spagne e consorte del duca Carlo Emanuele I. Filippo IV, padre del regnante in Ispagna Carlo II, che non dava veruna speranza di prole, lo nominò nel suo testamento a successore de' suoi stati in difetto dell'austriaca progenie; e ciò contro le ispane costituzioni che abilitavano le donne al retaggio prima de' collaterali. Carlo II, privo di discendenza, usando lo stesso diritto di far testamento, nominò a suo erede, conformemente alle leggi del regno, il duca di Angiò, nipote di sua sorella

primogenita, e lo stesso duca di Savoja in mancanza dei posteri delle famiglie di Francia e di Germania. L'austriaco ramo di questa opponeva antiche convenzioni di famiglia a siffatte disposizioni, e segnatamente la rinunzia che la infanta Maria Teresa avola del designato erede, aveva fatta in occasione del suo maritaggio con Luigi XIV. I marittimi potentati, temendo di veder cadere quell'ampia eredità sovra un capo già coronato, avevano da prima diversamente stabilito per l'equilibrio dell'Europa; d'altronde l'imperatore Carlo V, conquistatore del Milanese, aveva, nel suo testamento, destinato la successione di quel ducato alla sopraccennata Catterina, figliuola di Filippo II, e a' discendenti di lei, se difettava di viril prosapia.

Vittorio Amedeo era sagace abbastanza per comprendere che, fra contrasti delle rivali monarchie, rinvenir potrebbe la via di mandar ad effetto i suoi diritti sul Milanese. La città di Torino vide presto formati da lui due reggimenti stranieri; uno di cinquecento alemanni sotto l'obbedienza del colonnello Sciolemburgo, e l'altro di vallesani sotto quella del colonnello Reding, a cui vennero innestate le reliquie di un altro reggimento della stessa nazione: con queste nuove forze il Duca si procacciò una lega coi principi d'ltalia.

La promulgazione del duca di Angiò a re di Spagna, dopo la morte di Carlo II, accese la guerra. Vittorio Amedeo congiunto di sangue coi Borbonidi pel maritaggio delle sue figliuole, la cui minore Maria Luigia era destinata in isposa al novello ispano Monarca, e più ancora avendo la promessa di ottenere, in mercede della sua alleanza, il rimanente del Monferrato, s'impegnò a seguir per due anni la parte delle due corone.

Siccome Luigi XIV era stato pronto ad accettare la successione di Spagna, così l'Imperatore sul finir dell'inverno del 1701 avea spedito un esercito austriaco in Italia. Vittorio Amedeo, conformemente agli impegni che aveva dovuto prendere, marciò contr'esso colle proprie sue truppe, riunite a quelle di Francia e di Spagna; le prime comandate dal maresciallo Catinat, le seconde dal principe di Vaudemont; ma Vittorio, tuttochè eletto a generalissimo della

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