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spavento di tutta la popolazione, ma con poco o niun danno delle opere di difesa. Tuttavia tornò ad infamia degli asse dianti l'inutile uccisione che si facea della popolazione.

I magistrati ed il consiglio civico, lasciando le solite residenze troppo soggette ai colpi delle nemiche artiglierie, trovavano altre sedi nella città nuova: il senato si stabilì nel palazzo Carignano: la camera erasi trasferita a Cherasco. Sul principio d'agosto cominciavano a scarseggiare i viveri e la polvere. Il consiglio di città provvide, per quanto potè, a prevenire la fame; e si cominciò a fabbricar polvere con ordigni di nuova invenzione, nella cavallerizza dietro la

zecca.

Gli assalitori, nell'impossibilità di accostarsi ov'era stato dai difensori acceso nei fossi un gran fuoco, stimarono di penetrarvi sotterra, impadronendosi della galleria delle contromine, il cui varco trovavasi alle fauci dell'opera. Un minuto drappello di granatieri, armati di tutto punto, procedeva tacitamente alla sfilata sulla mezzanotte lungo la contrascarpa, e perveniva a respingere la guardia della porta di entrata. In due mesi di sotterranea orrenda guerra eransi operati portentosi orrendi fatti d'arme, pari a cui non offre alcuna oppugnazione, dacchè fu inventata la polvere; ma egli è qui, dove la più insigne carità si palesava degna di eterna rimembranza. Lo scarso drappello addentrandosi audacemente nella galleria era già presso alla scala che dalla galleria superiore scendeva nella inferiore, la quale mettea capo all'interno della piazza, allorchè due minatori che ne stavano a guardia, ebbero soltanto il tempo di chiudersi alle spalle la porta che turava il varco: replicati colpi di scure fanno lor paventare che essa venga finalmente sfondata; uno dei due dice al compagno: salvati, raccomanda al Sovrano la mia famiglia, e lascia operare a me; e senza starsi in forse sul suo pericolo, non pensando che a quello che correva la piazza, appicca tosto il fuoco alla cassetta della mina, apprestata sotto quella scala, e lo scoppiar di essa seppellisce quel prode ed i nemici sotto le ruine.

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Questo eroe meritamente paragonato a Curzio ed a Scevola fu Pietro Micca di Sagliano d'Andorno: egli era' ammogliato e padre, avendo dalla consorte Maria un figliuolino

di due anni. Vittorio Amedeo ordinò poi che la famiglia di Pietro Micca avesse perpetuamente due pani ogni giorno. Per verità sembrerà sempre meschina una tal ricompensa alla famiglia d'un prode degno di essere paragonato co' maggieri eroi dell'antichità; alla famiglia di un generoso che col sacrifizio di sua vita salvò la patria ed il trono.

Il sinistro risultamento di quel tentativo consigliò all'aggressore di ritornar di primo slancio all'assalto delle opere contrastate: trenta compagnie di granatieri valicarono il fosso nell'istante in cui era quasi spento il fuoco, e giunsero a fermarvisi: già v'innalzavano zolle per costruire gli alloggiamenti; ma l'attività del presidio il contrastò loro, e le respinse dall'opera sorpresa: elleno, spalleggiate dalle batterie, rannodavansi di bel nuovo nelle piazze d'armi fiancheggianti il rivellino; ma lo scoppiar della mina, preparata sotto quella di destra, seppelli trecento granatieri, e sparse lo spavento fra gli altri, i quali non badarono che a fuggire velocemente da quel baratro di morte. Uno de' pezzi della batteria, dallo spaccarsi della mina rovesciato nel fosso, venne fra le grida di gioja entro la città trionfalmente trascinato. Questo crudel giuoco rinnovato, dopo qualche giorno, sotto la piazza d'arme di sinistra, e nel momento di un nuovo tentativo, fe' giungere talmente al colmo il timore degli oppugnatori coll'orribile spettacolo di cosi numerose vittime, che essi, paventando di scontrare ad ogni passo la tomba, più non osarono sboccare dalle loro parate, e lasciarono alle artiglierie il risultamento dell'impresa.

Frattanto quattro mesi per, valorosissima resistenza famosi, avevano somministrato al principe Eugenio l'agio di svolgere il suo ingegno, e di condurre dal fondo dell'Alemagna soccorsi a questa desolata città, omai priva del primo mezzo di difesa, cioè della polvere d'artiglieria, che Vittorio Amedeo aveva immaginato di farle passare, chiusa in otri galleggianti sul Po, ma cui il vigile oppugnatore in breve arrestò col mezzo di reti, tese attraverso della corrente; e già il presidio era da due mila disertori svigorito, non compresivi quelli mietuti dal ferro, dal fuoco e dalle malattie.

Or si vedrà come i fervorosi voti de' torinesi salendo accetti innanzi al trono del Dio degli eserciti furono esauditi

oltre ogni loro speranza. Trentacinque mila tedeschi, deluso con simulate mosse l'esercito francese che stava sulle sponde dell'Adige, valicarono il Po, e giunsero rapidamente senza ostacolo a Villastellone in Piemonte: erano essi guidati dal predetto principe Eugenio che venne ad unirsi a Vittorio Amedeo, il quale erasi avanzato per incontrarlo verso Carmagnola. Di là si recarono ambedue al quartier generale, quando ebbero la notizia che eravi giunto il principe di Anhalt con tutte le truppe brandeburghesi e prussiane in assai buono stato. Tutto l'esercito che si accampò tra Moncalieri, Carmagnola e Chieri contava oltre ventiquattro mila uomini d'infanteria e dieci mila di cavalleria, senza noverare mille uomini a cavallo che Vittorio aveva tuttora con se, e nove mila prodi delle bande paesane che egli avea poc'anzi levate nelle provincie dal nemico non occupate, e cui aveva nel volteggiantesi campo di Carmagnola raggranellate.

I due principi di Savoja con numeroso seguito di uffiziali, e preceduti da un distaccamento cui fecero avanzare a Chieri, salirono sulla montagna per vedere da quell'altura la posizione dei nemici sotto Torino. Ne diedero avviso alla città con certi segni, di cui il conte di Thaun era stato prevenuto, e ritornarono al campo di Villastellone. Risoluti di assaltare il nemico a tramontana della capitale ́assediata, diedero l'ordine della via che si dovea prendere, voltando a ponente al villaggio di Grugliasco, tre miglia discosto dalla città; mentre le truppe traversavano la grande strada di Rivoli per accamparsi fra questa strada e Pianezza, lungo la riva della Dora, si ebbe notizia che verso il campo della Feuillade si avanzava a gran passi un grosso convoglio di settecento tra muli e cavalli carichi di polvere, di farina e d'altre munizioni che venivano di Francia per la valle di Susa, scortati dal marchese di Richebonne e dal marchese Bonelli, militare italiano che aveva preso servizio nell'eser cito di Francia. Il duca di Savoja, osservando da un'eminenza ciò che avveniva, trovò modo di far pigliare la più gran parte de' muli e cavalli coi carichi loro: la qual cosa quantunque per se di poco momento, giovò tuttavia ad ispirare nuovo coraggio agli assediati che n'ebbero avviso.

L'assedio continuavasi nulladimeno vivamente. Il duca Fi

lippo d'Orleans, nipote del re Luigi XIV, venuto era in Italia accompagnato dal maresciallo Marsin per prendere il comando supremo dell'esercito delle due corone in luogo del Vandomo destinato all'esercito di Fiandra: nè avendo potuto impedire i progressi del principe Eugenio in Lombardia, erasi impegnato di prevenirlo arrivando a Torino prima che le truppe alemanne potessero cosa alcuna intraprendere contro gli assedianti. Vi giunse di fatto verso il fine di agosto, ed allora fu che si diede alla cittadella quell'assalto generale che nel principio sembrò favorevole agli assalitori, e che fini con loro gran danno.

LVIII.

Gran disfatta de' francesi sotto Torino:
liberazione di questa città.

I francesi dovevano disporsi al combattimento che il principe Eugenio e il duca di Savoja stavano per ingaggiare. Il duca d'Orleans raunò il consiglio di guerra sotto di un albero presso Altessano. Eranvi tre partiti da prendere: il primo era di dividere l'esercito, lasciarne una parte nelle trincee per continuar l'assedio, e coll'altra parte uscir fuori a combattere in aperta campagna. Questo partito fu rigettato: l'altro era di abbandonar le linee, che si trovavano di un'estensione immensa, prendendo lo spazio di dodici miglia dal Po sin presso a Chieri. Il duca della Feuillade ed il maresciallo Marsin pro→ posero di ritirarsi con tutto l'esercito nelle linee, e di ricevere la battaglia dentro quelle, che dovevano rendere molto più difficile l'assalimento. Dopo alcuni contrasti fu risoluto che anche l'esercito d'osservazione, cioè quello condotto dal duca d'Orleans, entrerebbe nelle linee, e si aspetterebbe di piè fermo l'assalto. I due principi di Savoja, lasciatasi addietro Pianezza, presero campo alla Veneria il di 6 di settembre, appoggiando la destra alla Dora e la sinistra al Ceronda, torrentello che scorre tra la Veneria ed Altessano, distante poco più d'una lega da Torino. Diedero la stessa sera in iscritto l'ordine che si dovea tenere nell'assalto. La mattina seguente si stette alquanto ad osservare se il nemico usciva

dalle sue linee, e poi si avviarono: si guadagnò la pianura della Madonna di Campagna, e l'esercito fu disposto secondo l'ordine prescritto. Alla testa vi erano sei battaglioni di granatieri. La destra veniva condotta dal principe di SassoniaGota, e dai generali di battaglia Coning-Feck e Harach: la sinistra dal principe di Wirtemberg. Il principe Leopoldo d'Anhal Dessau comandava tutta l'infanteria. I generali Iselbach, Stillen e Kriechbaum erano alla testa della prima linea di cavalleria; ei generali Visconti d'Armstate Roccavione guidavano la seconda. Il signor di Langalleria comandava la riserva. Tosto che giunsero al predetto villaggio d'Altessano, il duca di Savoja fece avanzare la cavalleria della sinistra delle prime linee avanti l'infanteria, ed il resto proseguì il cammino secondo l'ordine che avevano tenuto partendo dalla Veneria.

Mentre l'esercito alleato tedesco e piemontese si disponeva in battaglia, Vittorio Amedeo col principe Eugenio scorreva le linee dallo Stura sino alla Dora, esaminava la situazione de' nemici, e dava gli ordini opportuni per l'assalimento.

Il duca d'Orleans e il maresciallo di Marsin fatti di ciò consapevoli, passarono da quella parte, fecero mettere le loro genti in battaglia lungo i loro trincieramenti, e postare, dove parve convenire, l'artiglieria che trovavasi colà dappresso. Dopo che i due eserciti si scambiarono alcuni colpi di cannone, i nostri granatieri che erano tutti sotto gli ordini del colonnello Salmut, cominciarono l'assalto, seguitati dalla fanteria prussiana, cui comandavano il principe d'Anhalt e i generali Stillen e Haghen. Or mentre la nostra cavalleria eseguiva quanto erale stato ordinato, i due principi di Savoja mossero lungo le linee, dallo Stura insino alla Dora. Dopo ciò, si cessa per breve tempo dal far fuoco dalle nostre schiere, le quali marciano con molta intrepidezza e con gioja incredibile. I nemici non tardano un quarto d'ora à raddoppiare i colpi de' loro cannoni, e a fare un grosso fuoco di moschetteria. Uno dei nostri colonnelli che facea l'uffizio di ajutante generale, trovandosi presso il duca di Savoja, ricevette nel braccio destro un colpo di cannone. Tuttavia le nostre truppe marciano fieramente fino a dieci passi dalle trincee; ma il fuoco che si fa sovr'esse è così terribile, e ne

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