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istituto, e si risolvette in cuor suo di abbassarne il credito e l'influenza. Vide poscia ch'egli potea colorire questo suo disegno quando fu creato papa Benedetto XIII, il quale, come domenicano di professione, non poteva aver predilezione particolare per gli ignaziani, nè voler gran male a chi avesse il coraggio di abbassarne l'eccessivo potere. Il sardo Re per mandar ad effetto il suo pensiero si valse dei sopralodati siciliani Pensa bene e Daguirre ; ed il procurator generale e; Carlo Luigi Caissotti, affezionato personalmente ai domenicani, vedea senza dispiacere l'abbassamento della gesuitica società. L'editto che toglieva la facoltà di scuole pubbliche di scienze e buone lettere ai regolari, volea dire specialissimamente ai gesuiti, poichè altri istituti di simil genere non vi erano in Piemonte, fuorchè due soli conventi di barnabiti, che non avevano però scuole, e due piccoli collegi di somaschi in Fossano ed in Casale di Monferrato.

In Torino il cattivo gusto in fatto di letteratura era giunto all'ultimo segno per opera del gesuita Giuglaris e di un amico di lui, che fu il conte Emanuele Tesauro fossanese. Per rimediare e guarire la corruzione e rimenar la bella letteratura allo stato in cui erasi portata un secolo avanti, Vittorio Amedeo si valse dei mezzi più opportuni, e troviamo che a quest'uopo giovò assai la cooperazione del cavaliere Coardi torinese, che fu de' primi riformatori dell'università degli studii. A questo tempo l'università di Pavia non era certamente in florido stato, ma sussistevano i collegii fondati da s. Carlo Borromeo e da papa Pio V, che davano ad un numero considerabile d'allievi, e proporzionatamente d'insegnatori, la facoltà di coltivare oltre agli studii sacri, per cui erano istituiti, anche le umane lettere e la filosofia. Niente di comparabile vi era in tutto il Piemonte. Per supplire a tal mancanza e dare attività ed anima all'università ristabilita, mancava in Torino uno stabilimento, dove la gioventù poco agiata di beni di fortuna, ma dotata di buoni talenti avesse alloggio e tavola ed istruzione a seconda delle pubbliche lezioni dell'università per proseguire sino al dovuto termine che è il dottorato. Vi pensò e vi provvide Vittorio Amedeo II colla fondazione del collegio, dove a pubbliche spese si avesse a nudrire ed istruire un

competente novero di studenti, eletti a concorso da ciascuna provincia; e chiamossi il collegio delle provincie. Crebbe presto in fama l'utile instituto: allievi nominati dal Re, allievi mandativi da famiglie ricche vi concorsero; quelli a spese del R. erario, questi mantenuti dai parenti; vi si aggiunsero alunni stativi ammessi in virtù di fondazioni particolari: l'emulazione e l'ardore per gli studii a proporzione del numero si accrescevano: da quella eletta casa uscirono i primi intelletti di cui d'allora in poi si vantasse il Piemonte. Dapprima questo benefico instituto fu posto sotto lo special patrocinio del conte di Salmorre, cui succedette in così nobile ufficio, con titolo di governatore, l'abate Pistone nel 1783, e cinque anni dappoi la stessa carica si diede all'abate Beccaria d'Incisa. Delle posteriori vicende del collegio delle provincie e del ristabilimento di esso, che avvenne per la munificenza del re Carlo Alberto, abbiam parlato distesamente nella corografia di questa capitale.

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Vittorio Amedeo ristabili eziandio in Torino a vantaggio delle alte classi della società il collegio dei nobili, ed ebbe cura di scegliere valenti professori, attissimi a darvi agli alunni una letteraria e scientifica educazione.

Il saggio Re bramando che nel novello santuario delle ottime discipline gli studiosi potessero arricchirsi di ogni utile cognizione, volle fondarvi una biblioteca, in cui fece trasportare la raccolta dei libri che già esisteva in una delle camere dello studio generale avanti s, Rocco, e a quella raccolta egli aggiunse dieci mila volumi della sua privata libreria. Di libri rari e di preziosi manoscritti andò poi sempre crescendo questa biblioteca universitaria, e la direzione funne successivamente commessa a letterati forniti di cognizioni bibliografiche, e ad alcuni eziandio che si resero chiari per la loro dottrina: più di tutti fu benemerito di questo utilissimo stabilimento l'illustre abate Pavesio, come per noi si dimostrò nella biografia che ne abbiam dato nell'articolo Montaldo, luoghetto che si onora di avergli dato i natali. Ma dopo il benemerito Pavesio si andò sempre a rilento nel fornire la biblioteca universitaria delle opere onde i più chiari ingegni del mondo incivilito accrebbero il patrimonio delle scienze e della sublime letteratura. Per buona sorta il ch.

cavaliere Cibrario cuoprendo ora degnamente la carica di ministro dell'istruzione pubblica, scrisse a' presidi delle diverse facoltà per sapere anche da essi e dai professori quali siano i libri antichi e moderni veramente buoni e proficui di cui abbia difetto questa biblioteca, loro manifestando il suo fermo proponimento di provvedernela il più presto che sia possibile. Così questo illustre storico e letterato diede una prova non dubbia di amar con ardore e sincerità il civile progresso che dipende essenzialmente da quella profonda e squisita dottrina, di cui ogni dì più si mostran avidi i feraci intelletti subalpini; e ne lo rimeriti largamente Iddio che promette pace agli uomini di buona volontà.

Osserviam di passata che il provvido Monarca commise la superior direzione dell'insegnamento pubblico ad un magistrato ch'ebbe in allora il carico di esaminare tutti i professori prima di approvarli. I gesuiti, quantunque in virtù del sopraccennato editto non potessero più tenere pubbliche scuole, pure a nessuno di loro in particolare era vietato di aspirare alle cattedre della torinese università; ma non trovossi alcuno della società ignaziana che abbia osato sottomettersi all'esame stabilito.

LXII.

Il papa Benedetto XIII manda a Torino un religioso francescano
per vedere di por termine a lunghe controversie

tra la corte di Savoja e la s. Sede.

Premeva al saggio Re di terminare a condizioni il più che si potesse vantaggiose le controversie con la curia romana, nate già prima del suo avvenimento al trono di Sicilia. Clemente XI che si era con lui già mostrato sommamente rigido ed inflessibile nel sostenere i diritti della sua sede, era morto nel 1721. Innocenzo III che gli succedette, fu più trattabile; e molti contenziosi affari, poco diversi da quelli che erano vertenti tra le corti di Torino e di Roma, si terminarono nel suo breve pontificato; ma quelli di Piemonte trovaronsi talmente implicati, che il buon Papa non ebbe animo d'intraprendere la risoluzione. Narrasi che essendo

egli un dì occupato con un suo segretario a mettere in ordine le carte che aveva nel suo gabinetto, il segretario gliene presentò alcune concernenti gli affari di Piemonte. Il santo Padre le pigliò, e incontanente le rimise al ridetto segretario, dicendogli, mettetevi púre l'indirizzo al Papa venturo. Il successore non tardò a venire; e fu Benedetto XIII di casa Orsini. La bontà, la pietà e il vivo zelo di questo Pontefice lo disposero facilmente non solo a dar orecchio ai ministri del re di Sardegna presso lui residenti, ma a prevenire il Re stesso della sua disposizione, e del desiderio che aveva di terminar le differenze che da molti anni eran vertenti fra lui e la santa Sede.

F

Il Papa mandò a Torino senza formalità diplomatiche, ma pur con lettere del cardinal Paolucci segretario di stato, il P. Tommaso da Spoleto francescano, che trovò facile accesso presso Vittorio Amedeo e suoi ministri, ed ebbe in iscritto gli articoli di quanto era in contesa, e che per parte del Re. si avea da negoziare. Il frate negoziatore li presentò al santo, Padre che mostrossi disposto ad accordarli. Per profittare: delle disposizioni favorevoli del supremo gerarca che gli furono da P. Tommaso e da altri significate, Vittorio mandò a Roma per sollecitare il negozio il marchese d'Ormea, che appena giunto alla città eterna, facilmente conobbe il carattere così del Pontefice, come dei cardinali e prelati che avevano parte negli affari più delicati ch'egli trattare dovea. Per mettersi in buon concetto nell'animo del santo Padre, si diede con molta sollecitudine a frequentar le chiese per farvisi trovare in atto e contegno di persona divota nelle ore che il Papa andar vi doveva. Con altro spediente che di recitar corone, come solea fare davanti al Pontefice, impegnò i prelati Coscia e Fini, ch'erano in credito appresso Benedetto XIII, a secondarlo e servirlo; ottenne, per mezzo: loro, che l'affare suo non si trattasse nelle congregazioni, a cui per la natura sua, avrebbe dovuto trattarsi. Il ministro piemontese sapeva benissimo che diversi membri delle congregazioni, cardinali, prelati e frati consultori vi avrebbero messo dilazioni e ritardi per fini diversi. I maneggi dell'accorto ministro furono accompagnati da donativi che era autorizzato a fare, disponendo a genio suo dell'erario pub

blico, in virtù dell'uffizio, di cui in allora era capo, come intendente generale delle R. finanze.

Si venne pertanto senza lungo indugio a conclusione, e si convenne sopra i tre articoli principali proposti al padre Tommaso da Spoleto, che portavano, 1.o la nomina de' vescovi e degli abati, conforme all'indulto di Nicolò V in favore del duca Ludovico, figlio e successore di Amedeo VIII, 2.o Che la curia romana non imporrebbe pensioni sopra i benefizii, di cui si lascierebbe al Re la nomina. 3.o Che le rendite dei benefizii concistoriali, vacanti, sarebbero amministrate da un economo destinato dal Re. Pel 4.o articolo si lasciava alla disposizione del Papa una pensione di mila cinquecento scudi a carico dell'abazia di Lucedio.

Si trattò poi un articolo più importante pel buon governo e pel vantaggio delle finanze, qual era l'immunità, ossia l'asilo delle chiese, che favoriva i ladri, i frodatori, i diser-` tori, i masnadieri e ogni sorta di malfattori; ed inoltre l'immunità od esenzione degli ecclesiastici dai pubblici carichi, dai dazii, dalle gabelle e da qualunque imposizione. Fu segnato ancora dal cardinal Fini e dal marchese d'Ormea un progetto di convenzione, concernente il Monferrato, che non poteva essere compreso nel primitivo indulto di Nicolò V. Si venne quindi a trattare de' feudi ecclesiastici compresi nelle diocesi di Torino, Asti, Vercelli, e dell'abazia immediata di s. Benigno in Canavese. Ma prima che si venisse a perfetta conclusione Benedetto XIII cessò di vivere; e non solo questa parte di negoziato, ma quello ancora che erasi conchiuso sopra i primi articoli convenuti e concordati, restarono soggetti a nuovo esame.

Or mentre Vittorio Amedeo era tutto intento ad aggiustare le sue differenze colla s. Sede, a risanare le molte ferite prodotte al nostro paese dalle lunghe sterminatrici guerre, ed a riaprire i fonti della nazionale prosperità, seppe che erano in grande agitazione le principali corti europee, e che si moltiplicavano i pretesti di una nuova orribilissima lotta. Tutti i politici stavano a vedere qual partito prenderebbe il nostro Re nella grande querela che destavasi massimamente fra l'Austria e i Borboni; ed egli ne prese uno, a cui essi non pensavano, e per cui le corti di Madrid e di 51 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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