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Ivrea, ove in numero di trentasei mila furono venduti al→ l'incanto siccome schiavi. Augusto divise la valle a' suoi vecchi pretoriani, i quali nel luogo medesimo su cui Terenzio accampate avea le sue truppe edificarono una città, cui diedero il nome di Augusta Praetoria: i primi abitatori di essa furono tre mila degli stessi pretoriani, che all'ingresso della città novella innalzarono un superbo arco di riconoscenza, tuttora esistente, sebbene per un quarto di sua altezza si trovi sepolto nel terreno.

Frattanto Augusto ben vedendo l'importanza di aver libero il passo delle alpi taurine, procacciava di amicarsene il regolo Cozio, figliuolo di Donno. Non è chiaro se Donno sia stato il primo di questi regoli. Ovidio pare indicarcene degli anteriori, facendo discendere Vestalio o Vestale, che probabilmente fu uno dei figliuoli di Cozio dai Re delle alpi; ma venendo più al particolare, lo fa poi della schiatta di Donno, progenies alti fortissima Donni. Forse Donno già regnava sulle Taurine alpi insin dai primi tempi della guerra gallica; ma nè egli, nè altro capo de' popoli alpini era per anco favorevole a' Romani. Donno per altro lo divenne poscia, onde adottò il prenome di Giulio, ed in una sua moneta, rapportata nel Tesoro Brandebur ghese tom. 1, pag. 331, vedesi la testa galeata di Roma. Ora Augusto, amicatosi con Cozio 1 successore di Donno, ottenne, con suo grande vantaggio, che questo regolo rendesse i migliori servizi alle legioni che tragittavano le taurine alpi, ed anzi aprì loro una nuova comoda strada da Susa al Monginevro, praticata in appresso dai Romani, i quali per altro battevano eziandio l'antica via più breve per le valli di Pinerolo. Augusto per mostrarsi riconoscente a Cozio, gli estese il dominio nel lato occidentale da Susa al Monginevro, e quinci insino a Gap; glielo estese eziandio nella Moriana, e verso il Piemonte insino alla Chiusa ora di s. Michele, come pure nelle valli di Lanzo, del Malone e dell'Orco. Susa divenne la capitale di questo stato; e le alpi sottomesse al governo di Cozio, cessando di appellarsi Taurine, presero il nome di Cozie, come apparisce dalla seguente iscrizione: Praeses, et procurator Alpium Cottiamur. Cozio per riconoscenza innalzò in onore di Augusto

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Ottaviano un magnifico arco trionfale nel sito ove cominciò l'alpina sua strada, il quale tuttora sussiste, e su cui volle che fossero inscritte le genti delle alpi, domate da quel l'Imperatore, omesse però le già sottoposte al preside, procuratore delle alpi anzidette. Di quel famoso arco abbiam dato la descrizione nelle notizie storiche di Susa (vedi).

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Lo stato proprio di Cozio forse non comprendeva che dodici popolazioni situate nelle alpi Taurine; quanto si ag→ giunse allo stato Coziano verso le alpi marittime, e verso le Gallie, é gli Allobrogi, fu per concessione di Augusto a titolo di prefettura; distinzione necessaria a farsi per togliere le difficoltà intorno alla distanza tra i popoli sottoposti a Cozio, ed i suoi naturali sudditi. Questi ultimi per altro, quando egli diventò romano prefetto, ritennero le an◄ tiche leggi, e l'antico loro Sovrano; ma i sudditi novelli dovettero piegarsi alle leggi romane, ed alla giurisdizione di Cozio, la quale acquistò assai maggiore estensione che per l'addietro. Dai sudditi suoi naturali Cozio fu sempre considerato come Re, ma trattando coi Romani dovea lasciare il titolo regio, e godere di esser cittadino e magistrato romano. Non solo seppe Cozio conservare la benevolenza di Augusto, ma seppe ottenere poi quella dei primi Cesari che ad Augusto succedettero. Diffatto, il difficile, il sospettoso Tiberio gli affidò una rilevante e gelosa impresa, la quale fu di sedare un pericoloso popolare tumulto eccitatosi nella città di Pollenza; ed egli seppe colla forza e cogli accorgimenti ricondurre in quella città la calma ed il buon ordine.

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Dopo di questa l'istoria più non parla d'altre imprese di Cozio; ma supplisce ad un tale silenzio il sapersi, che il figliuolo di lui, ch'ebbe lo stesso nome del padre, e che noi chiamiamo Cozio II o Giuniore, meritò che Claudio gli accrescesse il dominio paterno, e lo salutasse Re. Sembra non potersi dubitare, che Torino allora abbia fatto parte del regno Coziano, ampliato dall'imperatore Claudio; perocchè Strabone afferma che i Taurini, nazione ligure, fecero parte del regno Coziano od Idonneo. Per poco tempo godè Cozio I del titolo regio; ed è probabile che siasi spenta in esso Jui la generosa prosapia di Donno; poichè le alpi Cozie furono ridotte in provincia romana da Nerone, e Torino ritornò sotto l'immediato impero de' Cesari.

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Notiamo di passo che Augusto emanava un decreto memorabile per l'antica geografia: con esso distribuiva l'Italia in Xl regioni, tre delle quali riguardano la nostra contrada; cioè fece una sola regione del Piemonte alla destra del Po, e delle liguri terre dalle alpi sino alla Trebbia, cui diede il semplice nome di Liguria: comprese la sinistra del Po dalle alpi Cozie infino al Serio, fiume che dai monti di Bergamo discende nell'Adda, e facendone una regione, chiamolla Transpadana o Cisalpina, rispetto a Roma; ed alle undici regioni italiche aggiunse pur quella delle Cozie alpi. Alcuni eruditi si mostrano persuasi che una tal divisione venisse fatta da quell'Imperatore unicamente per suo privato uso; ma certo è che essa fu in vigore per tutto l'impero, durante più di tre secoli, cioè sino alla nuova partizione ordinata da Costantino il Grande.

In onore di Augusto il romano senato faceva edificare un grandioso monumento nella Liguria occidentale a piè dell'Alpe Summa tra Monaco e Nizza colla iscrizione di quarantatre popoli alpini da lui sottomessi. Di questo monumento, che ebbe il nome di Trophaea Augusti parleremo all'articolo Turbia.

VI.

Torino sotto Augusto divenne molto splendida e forte: soggiacque
ad un gran disastro ai tempi dell'imperatore Vitellio.

In questo mezzo tempo la città di Torino ebbe il titolo ed i privilegii dei romani municipii, e venne presto in tanta riputazione, che Tacito lib. 2, la chiama firmissimum transpadanae regionis municipium. Essa tanto crebbe di lustro, di ricchezza e di possanza, che ben mostrossi degna del soprannome di Augusta. Dalla costante tradizione, e soprattutto dagli antichi monumenti che vi furono dissotterrati, possiam dedurre quanto la rendessero splendida, l'ampiezza del suo recinto, ed il numeroso presidio militare da cui era custodita, i pubblici uffiziali ed i magistrati che vi risiedevano, la floridezza del suo commercio, gli stabilimenti di pubblica utilità, i suoi maestosi edifizii, e principalmente i templi a parecchie divinità dedicati.

6 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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Spaziosissimo era il giro di questo municipio, che dai campi superiori estendevasi insino al Po, dove non è gran tempo si videro vetuste costruzioni simili alle romane: nè all'ampiezza del luogo mancavano genti armate per la difesa : aveva le ale de' cavalli taurini; e diffatto Cornelio Tacito hist. lib. 4, dice che Giunio Bleso governator della Gallia, con la legione italica e l'ala torinese passò a Lione. Aveva per sua difesa a piè delle alpi le coorti e le legioni. Risiedevano in essa la curia, dove si tenevano i consigli e i pubblici giudizii; dove un proconsole esercitava l'importante suo ufficio; vi risiedevano un protettore della città, un prefetto con due coorti, un presidente della provincia deputato dal prefetto del pretorio; il censore per la militar disciplina; i decurioni e questori per la custodia dell'erario; i duumviri edili per sopraintendere alle vie pubbliche, ai teatri, all'anfiteatro, che secondo alcuni scrittori esisteva pure in Torino sin dai tempi di Giulio Cesare, il quale procurava di ricreare i popoli con gli spettacoli: gli stessi scrittori credono che a grandissimo stento siasi demolito quest'anfiteatro, quando si volle ampliare la città nuova. Inoltre erano in Torino il coragiario, il cui uffizio era di somministrare le cose necessarie ai guochi scenici, il prefetto de' fabbri, il collegio delle arti meccaniche ed altri collegi. Vi erano il tempio di Giove preside e custode della città; il tempio di Venere Ericina, creduta madre de' Cesari; quelli di Pallade Attica e di Mercurio; e fra varii altri luoghi destinati al culto del gentilesimo eranvi il tempio d'Iside co' suoi temuti arcani, e quello dedicato a Diana, il quale, secondo la tradizione, fu dopo che s'introdusse la fede cattolica in questa città, consecrato dai torinesi allo Spirito Santo. Vi esistevano inoltre archi di trionfo, e cospicui trofei militari: vi risiedevano i Flamini Diali, i decurioni del collegio Augurale, e i settemviri che presiedevano a' funerali, ed alle cene funebri.

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Or giova il rapportare alcune delle antiche lapidi di questa città, che si trovano nell'opera intitolata Marmora Taurinensia, e presso il Grutero, e nel Nuovo Tesoro Muratoriano d'Iscrizioni. Tanto più giova il riferirle, in quanto che valgono a chiarire parecchie delle cose anzidette; e servono,

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all'istruzione degli studiosi delle cose patrie, di cui vediam crescere ogni dì più il novero, e a molti dei quali manca l'agio di conoscere quei monumenti, rapportati in opere, le quali essendo fuori di commercio, non son possedute se non da pochissimi eruditi.

Mentre si abbattevano gli antichi baluardi di porta susina, vi fu scoperta una tavola votiva in marmo, rappresentante Giove ritto in piè, di giovanili sembianze, e del tutto ignudo; colla destra ei s'appoggia ad un'asta; per l'edacità del tempo non si può ben sapere ciò che tenga nella sinistra; ma da un altro somigliante marmo torinese, si può congetturare ch'egli impugna il fulmine. Questa tavola nella sua parte superiore ha quest'epigrafe:

J. O. M

M. MEMMIVS. GRA. L

HERMES

V. S. L. M

cioè: Jovi Optimo Maximo Marcus Memmius Granius Libertus Hermes votum solvit libens merito.

Jovi Optimo Maximo. Così trovasi in quasi tutte le are consecrate a Giove. Marcus, pronome certamente romano, che Sigonio e Panvinio vogliono da prima imposto a qualcuno. Memmius, della gente Memmia. Granius; se debbasi leggere Granius o Gratus o Gratius è più facile indovinarlo che il saperlo. Reinesio da per tutto legge Granius. Libertus, uomo che da servo era stato manumesso. Hermes dal greco Esuns che significa messaggiero; questo titolo fu dato a Mercurio. Molti ermeti si trovano nelle iscrizioni presso Grutero, Donio e Fabreto, ove per lo più sono chiamati o servi o liberti. Il Guichenon rammenta due antiche lapidi da lui vedute una in Susa, e l'altra in Alba, che sembrano far menzione di due famiglie di ermeti; da una delle quali è probabile che l'ermete di questa lapide abbia tratto l'origine. Votum solvit libens merito; secondo l'antica formola dello scrivere e del parlar de' Romani.

Da questa epigrafe si deduce che Giove in Torino era venerato con culto speciale, e che perciò M. Memmio abbia voluto dargli un segno di sua riconoscenza per l'ottenuta

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