Immagini della pagina
PDF
ePub

1

matematiche. Tra i maestri a lui subordinati nella direzione di quella scuola eravi Carlo Andrea Rana, di cui parlammo nell'articolo Susa, e questi ebbe per collega Luigi De-Lagrange, a cui Torino si gloria di aver dato i natali. Assisteva alle loro lezioni di matematica per proprio dovere, come officiale d'artiglieria, il conte Saluzzo, nelle camere del quale si adunavano il Lagrange, il Cigna, il Gaber, ed il cav. Davie di Foncénex. Da quelle camere sicuramente più filosofiche che magnifiche, quali averle poteva un giovine uffiziale secondogenito d'una famiglia nobile sì, ma non ricca, uscì al pubblico un volume contenente i frutti delle sperienze, delle ricerche di quattro o cinque piuttosto dilettanti che professori, col titolo modestissimo di Miscellanea d'una società privata torinese. Privata certamente, perchè i ministri di stato e chi presiedeva all'istruzione pubblica, ben lungi dall'animare con lodi o con ricompense e sussidi, od almeno con graziose accoglienze quella scientifica associazione, la contrariarono, e quasi la perseguitarono gli uni per gelosia o rivalità di potere, l'altro perchè la riguardava come cosa pregiudicievole alla torinese università degli studi, da cui la società mostrava di non voler dipendere. Il re Carlo ne fu appena informato come di cosa di poca importanza, e piuttosto pregiudicievole che utile al progresso dei pubblici studi. Ma ben si trovò chi informonne vantaggiosamente il principe reale duca di Savoja e facilmente lo dispose a proteggerla. Questi fu il cav. Giuseppe Vicardel che per la morte del suo fratello primogenito, chiamossi marchese di Fleury. Costantemente affezionato ad ogni persona dedita allo studio delle scienze, conobbe e raccomandò al suddetto Duca la nascente società scientifica, e confortollo a prenderne particolar patrocinio, accettando l'omaggio ch'essa gli fece del primo volume da lei pubblicato nell'anno 1759.

Gli applausi e gli elogi che quel volume incontrò in tutta Europa, l'opinione che si avea del real Principe, il quale se ne dichiarò proteggitore, valse grandemente ad incoraggiare tutti gli studiosi, e diede poi motivo alla signoria di Venezia ed alla corte di Napoli, di fondar nei loro stati società scientifiche come quella che si era stabilita in Torino. Ciò non

di meno il favore del Duca, ed i buoni uffizi del marchese di Fleury altro effetto non ebbero allora che d'ottenere a quella società la permissione di chiamarsi regia in vece di privata. Ad ogni modo, appena erano usciti i due primi volumi, questa privata o regia società torinese parve gareggiare non solamente con l'istituto di Bologna e con l'accademia del cimento di Firenze, ma eziandio con quelle di Parigi e di Berlino, di modo che i più distinti sozii di queste si recarono ad onore di corrispondere colla società torinese, e di aver parte nelle intraprese e nei successi della medesima; ed invero così fecero Euler e d'Alembert, e poi il sig. La place nella geometria sublime, ed i berlinesi Maquer, Achard ed altri nella fisica. La celebrità che acquistarono i giovani autori di quella società scientifica inspirò il desiderio di associarvisi a parecchi scienziati di età matura, e di riputazione, già stabilita, fra i quali il P. Gerdil, e l'abate Rofredi monaco benedittino. Molti giovani torinesi si sentirono allora animati a coltivare le scienze sperimentali e dimostrative ed anche la filosofia speculativa. Con buonissimo successo le naturali scienze si studiavano nelle scuole d'artiglieria. Il cav. di Robilant era mandato insieme con alcuni uffiziali nelle alpi del Tirolo, nei monti di Sassonia, dell'Annover, del Brunsvico per visitarvi in particolare le miniere, e conoscere i procedimenti dei lavori in esse praticati; ed egli al suo ritorno, ne istituiva l'insegnamento nell'arsenale di Torino, fondandovi gli acconci laboratoi,

Ma le amene lettere, in questa capitale, ebbero allora ben poco favore. Il conte Caissotti non le degnava di un suo sguardo benigno. La poesia fu a quel tempo tanto lontana dal, trovare possenti mecenati in questo paese, che chiunque dava in essa un qualche saggio del suo talento, veniva escluso dai pubblici impieghi e non aveva parte alla beneficenza di Carlo Emanuele. Ciò nondimeno la letteratura tra noi cominciava fare alcuni progressi, a dispetto della noncuranza per parte di chi la doveva promuovere; perocchè i fervidi ingegni non si lasciano così di leggieri invilire dai contrasti che si oppongono ai loro sforzi. Anche l'istoria che doveva in generale trovare fra noi patrocinio e favore, come cosa incontestabilmente utilissima, non fu, per rispetti

particolari, se non più tardi coltivata dagli ingegni ́ subalpini. La storia moderna e quella eziandio de' mezzi tempi trovava ostacoli insuperabili di più sorta. Il governo vietava rigorosamente di pubblicare cosa alcuna che dispiacer potesse a straniere potenze, e sopratutto alla corte di Roma. L'infelicissimo caso del famoso autore della storia civile del regno di Napoli, sgomentava chiunque avesse talento di scrivere istorie, dove o poco o molto si avesse a toccar fatti o far riflessioni concernenti in qualche modo affari ecclesiastici. Il ridetto presidente Caissotti capo del magistrato sopra gli studi, e poi gran cancelliere, mostravasi grandemente avverso ad ogni letteraria intrapresa di genere istorico; a tal che conveniva ridursi a far ricerche sovra i pochi avanzi di monumenti romani, e sopra la geografia antica e del medio evo: e così fecero con buon succedimento Angelo Carena, il celebre Durandi ed il Terraneo. Tuttavia la sorte volle dappoi che non ostante la rigida pedanteria, e la estrema riserva del magistrato e dei ministri, Carlo Denina prendesse animo d'intraprendere un'opera istorica senza dubbio importante, la conducesse con pertinace sollecitudine e fatica a giusto termine, e la mettesse alla luce con universale approvazione.

[ocr errors]

Le belle arti furono da Carlo Emanuele protette. Al pittore Beaumont egli fornì i mezzi di perfezionare i suoi talenti, ed impiegatolo ad ornare la galleria del suo palazzo mostrossi talmente satisfatto de' suoi lavori, che gli diede preinii ed onori. I fratelli Collini, scultori, come anche il Bernero furono a spese dello stesso Re mantenuti agli studi di Roma. Il Boucheron, scultore in oro ed in argento, il Lodetti in bronzo, e l'intagliatore Porporati recarono tal perfezione nei loro lavori da pareggiar quelli che esercitando le arti medesime si distinguevano in Parigi ed in Londra. La torinese scuola di pittura non vedevasi ancor giunta a tal vigoria da poter agguagliare nè la lombarba, nè la veneta, nè la romana; ma ben si può dire, che la pittura scenica per opera dei fratelli Galliari salì ad una grande rinomanza. L'architettura fu in grande onore durante il regno di Carlo Emanuele III, il quale nella sua giovinezza se ne dilettò assaissimo. Anche lo studio della musica fu

incoraggiato da quel Sovrano; e provò gli effetti della di lui munificenza il famoso Pugnani, divenuto il fondatore della più rinomata italiana scuola di violino, onde uscirono abilissimi allievi.

Ma ciò che più giova osservare si è che a quei tempi fra lo strepito delle nuove scoperte cresceva il numero dei giovani che ogni dì più si accendevano dell'amor delle scienze, e che non pochi di loro uscivano dal torinese collegio delle provincie forniti di belle e preziose cognizioni, onde facean presagire che il Piemonte avrebbe presto avuta una fiorente schiera di dotti e letterati. La più parte di essi per altro non ebbe qui l'accoglienza ed il favore con cui si hanno a confortare gl'ingegni: i ministri del Re parea che si adombrassero della fama di quelli che si distinguevano sopra gli altri loro condiscepoli, é gli abbandonavano a se stessi; e si fu per questo che parecchi nobili ingegni furono costretti, come dimostrammo altrove, ad abbandonare la sconoscente patria, e recarono allo straniero i preclari frutti delle loro veglie. La non curanza con cui furono riguardati in patria non pochi valenti piemontesi, non può non essere una macchia al regno di Carlo Emanuele III, il quale nel rimanente ben meritossi il titolo di grande che gli fu dato. Le molte cose egregiamente fatte da quest'ottimo Sovrano già da noi a sufficienza narrate, ne rendono glorioso il nome. A compimento delle medesime, negli ultimi anni della sua vita egli si occupò a dar leggi e costituzioni a' suoi popoli, le quali si pubblicarono nel 1770, e vennero allora considerate come un modello di saggezza e di previdenza. Tuttavia egli sapeva bene che le migliori leggi sono insufficienti a reprimere l'umana perversità, e che i freni della religione, della 'decenza e dell'onore molto giovano a mantener l'ordine nella società; sapeva eziandio quanto in uno stato assoluto, qual 'era divenuto il suo, l'esempio del Sovrano ha una grande influenza sopra i suoi sudditi. Laonde ben più per obbedire agli impulsi del suo cuore, che ai consigli della sua politica, egli si mostrò il principe più morale e più religioso del suo tempo.

Volgevano prospere le sorti di tutti i reali dominii, quando si ebbe l'infausta notizia che l'ottimo Sovrano era stato as

salito da un idropisia di petto che ne minacciava i giorni preziosi ; e di fatto, dopo diciotto mesi di patimenti, da lui comportati con quella costante fermezza d'animo e con quella dolce rassegnazione, cui la sola religione può inspirare, egli dopo quarantadue anni di regno amministrato con grande saggezza rese l'anima a Dio nel dì 20 di febbrajo del 1773. Tutti i suoi sudditi lamentarono acerbamente la morte di un Re cotanto provvido e generoso.

LXIV.

Vittorio Amedeo III: con quali auspici ei sale al trono: suoi primi atti: alcuni suoi provvedimenti a pro dei torinesi.

Vittorio Amedeo II era in età di quarantasette anni quando salì al trono. L'Europa in allora godeva di una pace profonda, che sembrava stabilita sopra solide basi. Al novello Monarca sommamente giovava l'alta stima in cui il suo padre era venuto al di fuori. Un miglioramento sensibile in tutti i rami del pubblico servizio, un'amministrazione ad un tempo risoluta e paterna eransi conciliato al di dentro il rispetto, la gratitudine e l'amore dei sudditi. Alleanze di famiglie in singolar modo illustri, accrescevano viemmeglio le speranze di un regno felice e tranquillo. Vittorio Amedeo II era cognato di Carlo III re di Spagna, zio del duca di Parma Ferdinando Maria e del re di Napoli Ferdinando; era cugino germano del re di Francia Luigi XV, e suocero del conte di Provenza, poi Luigi XVIII: il duca del Ciablese era cugino germano dell'imperatore Giuseppe II.

Oltre i legami del sangue, esisteva una lega politica offensiva e difensiva tra le corti di Madrid e di Torino pei loro interessi politici in Italia. L'Inghilterra serbavasi costante alleata della casa di Savoja, che sempre trovò nel gabinetto di Londra il più solido appoggio per mantenere l'equilibrio nell'Italiana penisola. Le altre potenze dell'Europa mantenevano con la nostra relazioni di amicizia; e pareva che quelle benevole corrispondenze non si sarebbero alterate. L'astro della Sabauda casa non era mai apparito così splendido come a questo tempo. Se non che Vittorio Amedeo III,

« IndietroContinua »