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per una grave imprudenza di suo padre, aveva avuto per ajo e governatore il marchese Giuseppe Solaro di Breglio, il quale per educare l'augusto suo allievo, adottato aveva massime piuttosto atte a formarne un monaco, che un principe destinato a regnare: avevalo avvezzato a spogliarsi della propria volontà, e a non avere nessuna cura del danaro con lo specioso pretesto che un principe dee mostrarsi liberale: oltrecchè gl'inspirava un'eccessiva diffidenza di se medesimo; lo disponeva a cedere sempre agli altrui consigli, e a lasciare ad altri la cura dei proprii interessi. Il marchese ajo ottenne in tutto il suo intento; e gli riuscì anche troppo d'inspirare nell'animo del suo alunno una svantaggiosa opinione del Re suo padre, e per conseguenza anche dei talenti politici del Re stesso.

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Per buona sorte i cattivi insegnamenti del Breglio non produssero nella loro pienezza le conseguenze a cui miravano; perchè a dirigere gli studi di Vittorio Amedeo erano stati scelti personaggi ben degni del delicato incarico.

Tuttavia questo Principe salì al trono, mentre era pieno di rancore verso i ministri di cui il suo padre valevasi con particolare fiducia; e il primo atto del suo regno fu di rimuovere dal ministero della guerra l'ottimo conte Bogino, ed anche l'avvocato Canova, primo ufficiale di quella segreteria: nè guari andò che tra i ministri di stato, che fiorivano in Piemonte sotto Carlo Emanuele III, più non rimaneva in carica se non il cavaliere Morozzo, che da molti anni reggeva la R. segreteria degli affari interni: erasi questi mostrato avverso al conte Bogino, epperciò non venne rimosso dall'eminente suo impiego.

In cima de' pensieri di Vittorio Amedeo era quello di riordinare tutte le sue truppe. L'esercito subalpino si era cinto di gloria nei primi tempi di Carlo Emanuele III col bellico valore del sovrano, che ne fu costantemente il condottiere, col militare entusiasmo inspirato nella nazione dai trionfi di lui, e collo splendore ond'egli aveva avuto l'arte di vestire il mestiere delle armi; ma dacchè questo Monarca ebbe ammesso lo stabilimento di pace, satisfatto degli ultimi regolamenti che aveva dettato sull'amministrazione, sul servigio, sull'arte d'indrappellar gli eserciti, sull'ordine militare, lasciò,

nel rimanente del suo regno, languire nell'uso stesso l'esercito, a malgrado de' progressi che la milizia d'Europa faceva ogni giorno.

Impaziente adunque di mandare ad effetto i suoi disegni, per riguardo all'esercito, diede nel 1773, con grandi dispendi, una nuova organizzazione alle sue truppe; ma dopo tredici anni di esperimento, non badando a spese, la cangiò ancora nel 1786. Nulladimeno, tale esercito che agevolmente polevasi far ascendere a quarantacinque mila uomini in tempo di guerra, non aveva per anco nè regole fisse di disciplina, nè principii di tattica, nè abitudine dei grandi movimenti strategici. Per verità Vittorio Amedeo avea fatto (1745) la sua prima campagna a lato al padre suo, ed era intervenuto alle battaglie di Cuneo e di Bassignana; ma quando, divenuto Re, volle riordinare il suo esercito, non diè prove di essersi bene addentrato nell'arte di sostenere una guerra.

Vittorio intanto fece erigere la fortezza di s. Vittore di Tortona sui fondamenti posti da Carlo V, e terminare la cittadella di Alessandria. La città di Nizza, della quale fece riparare e scavare il porto, crebbe del doppio, mercè delle sue cure, in estensione e popolazione, come pure Carouge alle porte di Ginevra; e per tal modo vantavasi di aver fondato nelle due estremità degli stati suoi due nuove città e due floride colonie. A Ciamberì fece riedificare il vecchio palazzo ducale, e costrurre un teatro. Abbellì i bagni d'Aix; innalzò, con gravissimi dispendi, varie dighe per rattenere nel loro letto l'Arco ed il Rodano. Nello stesso tempo occupavasi pure a vantaggio dei torinesi. Fondò definitivamente la reale accademia delle scienze di Torino; fondò eziandio l'accademia di scultura e pittura; fece costruire l'osservatorio di Torino, illuminare con magnificenza le vie di questa capitale, e disporre fuori del suo recinto pubbliche sepolture col nome di cenotafi.

LXV.

Viaggio di Vittorio Amedeo III in Savoja:

si alzano in Torino molte doglianze su la prodigalità di questo Re,
e la sua troppo stretta unione colla corte di Parigi.

Vittorio Amedeo fermava specialmente l'attenzione sua sopra la Savoja, culla dell'augusta sua famiglia. Vi fece adunque un viaggio nel 1775 con la Regina ed i figli suoi, nell'occasione del matrimonio del principe di Piemonte, erede del trono. Aveva di fresco maritate due delle sue figlie coi fratelli di Luigi XVI, ed il principe di Piemonte con una sorella di quel Monarca. Nel visitare il più antico patrimonio della sua famiglia Vittorio Amedeo sentì echeggiare intornoa sè le benedizioni del popolo, e ne fu vivamente commosso. Ma in Torino, e negli altri luoghi del Piemonte, i cuori non, solo erano meno aperti ai sentimenti affettuosi, ma presagivano dolorosi eventi. I più assennati torinesi non vedevano senza pena il loro Re gettarsi senza cautela nelle braccia, di un potentato che tante volte aveva messa la sua casa sull'orlo del precipizio. Qui dicevasi altamente che le somme di danaro profuse in Savoja ed a Nizza non avrebbero fatto, in caso di rottura, che eccitare i francesi maggiormente ad impadronirsene; che quanto vi si seminava sarebbe stato mietuto da altre mani. Biasima vansi pure le eccessive pro digalità del Re: dicevasi che nulla più rimaneva dei considerabilissimi risparmi lasciati dall'economo suo padre: ed osservavasi che i due milioni di dote, dati dalla Francia alla principessa di Piemonte, non erano bastati per le spese di nozze; ed invero Vittorio Amedeo vi aveva aggiunti altr due milioni, ricavati dalla vendita del palagio dei Celestii a Lione, che era un'antica proprietà della casa di Savga. Sul che è da notarsi che quel maritaggio, quantunque embrasse conveniente per alcuni riguardi, tuttavia Caro Emanuele III, il quale considerava più il vero ben dello stato, che un lustro apparente di sua famiglia, nor v'inclinava, e non credeva opportuno di stringersi, cor replicati vincoli alla casa di Francia, massimamente sapendo che la

principessa Clotilde, del rimanente adorna di tutte le più belle doti dell'animo, dava per la pinguedine sua ben poca speranza di fecondità; ma subito dopo la morte del Re suo padre, Vittorio Amedeo trattò sollecitamente il desideratissimo parentado, ed erano appena trascorsi dieci mesi dal suo avvenimento al trono, che già effettuavasi il matrimonio di sua figlia Teresa Maria con Carlo Filippo di Francia conte d'Artois, colla promessa di dare al principe di Piemonte Maria Adelaide Clotilde, sorella del Delfino, e de' conti di Provenza e di Artois. Osserva vasi che tutto il trattamento fattosi alla corte di Francia per l'occasione delle nozze della principessa Clotilde col principe di Piemonte, trattamento che pure fu splendidissimo, tutto fu trovato men ricco e meno elegante di quanto si vide allora risplendere alla corte Sabauda. Eran frattanto in Torino cagione di pubblico rincrescimento le somme ragguardevolissime che furono impiegate per accrescere le fortificazioni di Cuneo e per innalzare il castello di Tortona; opera non richiesta dalle circostanze d'allora, intorno alla quale si dovettero prodigare quindici milioni. Così il malumore sorto nel popolo andò crescendo, e propagossi anche all'esercito. Cominciò regnar sordamente nelle soldatesche una scontentezza grandissima così per le riforme militari e i nuovi regolamenti, come per le molte promozioni, procurate dal conte Chiavarina, che reggeva il ministero della guerra; promozioni che generalmente venivano disapprovate. Uno degli ufficiali cui dispia cevano i nuovi decreti e le provvisioni della segreteria di guerra, fu il cavaliere Garetti di Ferrere, capitano allora nel reggimento de' dragoni. Questi in odio del Chiavarina, compose un modello delle riforme che stimava doversi fare nel militar sistema, e lo comunicò ad alcuni altri ufficiali, invitandoli ad unirsi a lui per domandare rispettosamente al Re nuovi ordini e nuovi provvedimenti. Il conte Chiavarina," che si trovava in gran credito presso Vittorio Amedeo, avuta notizia di quello scritto, lo dichiarò come un progetto di cospirazione contro il governo; di leggieri conseguì che il Ferrere fosse arrestato, e si formasse un processo criminale contro lure i complici suoi. Per complici furon presi tutti coloro cui era stato comunicato quello scritto, e che non ne

avevano fatto consapevole il Chiavarina. Alle informazioni del supposto capital delitto si stabilì in Torino un consiglio di guerra, e il processo sommamente rumoroso fu istrutto. 11 Ferrere, mercè dell'eloquenza del suo difensore, evitò la pena di morte, ma fu condannato a far pubblica emenda, e deposto dal suo grado venne confinato nel castello, feudo di sua famiglia. Per questo spiacevole fatto il conte Chiavarina incontrò la disapprovazione di tutte le persone assennate; ed indi a non molto perdè anche il favore del Re, e dovette lasciare un impiego lucroso ed importante...

LXVI.

Il re di Prussia

per la prima volta manda un suo ambasciatore a Torino.

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Mentre con novelli vincoli la parentela e l'alleanza con la casa di Francia diveniva più stretta, Vittorio Amedeo desiderò di contrarre ancora altre relazioni politiche massimamente con una delle potenze del settentrione, di cui la riputazione e l'influenza ne' sommi affari d'Europa erano grandissime. Egli aveva, essendo ancor principe ereditario, mantenuto corrispondenza indiretta con Federico H re di Prussia, mediante il colonnello, poi generale Rogier, che na tivo del paese di Vaud si riguardava come savoino, e che era al seguito del re in Potzdam, e per mezzo di alcuni ufficiali piemontesi che andavano in Germania o per commissione della corte a far compra di cavalli o per acquistar cognizioni. Sapeva altresì che quel gran Re avea mostrato desiderio di avere un suo ministro presso il re Carlo Emanuele, e uno della corte di Sardegna in Berlino.

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Federico II, benchè non facesse la medesima stima del figlio, che fatto avea del padre, poichè gli era stato rappre sentato da Parigi come principe di animo poco elevato, non poteva però essere alieno da entrare in questa corrispondenza. Vittorio Amedeo III mandò inviato straordinario a Berlino il marchese Grisella di Rosignano, uomo d'illustri natali e de' più ricchi gentiluomini del Monferrato, che prima come viaggiatore era stato nella capitale della Prussia, e aveva

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