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lasciato opinione vantaggiosissima del suo ingegno e del suo vasto e svariato sapere non meno nell'animo di Federico II che di chiunque aveva avuto occasione di trattarlo. Il re di Prussia mandò con lo stesso carattere a Torino il barone di Keith, figliuolo di un suo antico favorito e della gran governante o cameriera maggiore della seconda moglie del principe ereditario Federico Guglielmo, nipote oltre a ciò del barone di Hertzberg, ministro di stato, che nel dipartimento degli affari esterni aveva la principale influenza, benchè non fosse il primo.

LXVII.

Il granduca di Russia viene a Torino, è vi è accolto con grandi
festeggiamenti. Mezzi di cui si vale Vittorio Amedeo III pel com-
piuto stabilimento della torinese accademia delle scienze.

Mentre il nostro Re era invitato dalla corte di Francia ad unirsi con lei e con la signoria di Berna per quietare i gi-, nevrini agitati più che mai dalle pretensioni di tre diversi partiti, viaggiava in Italia Paolo Pietrowitz granduca di Russia con la granduchessa Sofia Dorotea di Virtemberg, chiamata poi Maria Federowna sua consorte, e con un corteggio degno di quelle altezze imperiali. Niuno de' principi e de' monarchi che passarono in Torino non fu mai più splendidamente, e con più cordiale affezione accolto e trattato sì dal Re e dalla Regina, che dal principe e dalla principessa di Piemonte. Vittorio Amedeo era così lieto di aver ricevuto quell'ospite augusto, che, poco dopo la partenza di lui, disse al celebre nostro Denina queste parole: noi abbiamo acquistato un buon amico. Il buon Vittorio poteva sibbene sperare che nei tempi avvenire la Russia potesse coll'interposizione sua procurargli qualche vantaggio e proteggerlo contro l'ambizione di altre potenze; ma nè egli, nè il suo figliuolo Carlo Emanuele potevan presagire che diciott'anni dopo, l'augusto Paolo Pietrowitz manderebbe il più illustre de' suoi generali alla testa; di un poderoso esercito per liberare il Piemonte, dal giogo straniero.

Un altro affare più di famiglia che di stato occupava al

lora l'animo del nostro Sovrano. Già compiti aveva i ventidue anni dell'età sua il duca d'Aosta, secondogenito, e non essendovi speranza di veder nascer prole dalla principessa di Piemonte, nè dalla duchessa del Ciablese, ne proveniva giusta premura di dar moglie ai fratelli del Principe erede presuntivo della corona, per assicurare la successione. In conse guenza bisognò provvederlo d'un conveniente appannaggio. Per formarlo col minore scemamento possibile delle R. entrate necessarie alla difesa e amministrazione dello stato, si pensò facilmente a comprendervi beni ecclesiastici, e secolarizzare per tal effetto qualche ricca abazia, di quelle massimamente che non avevano giurisdizione vescovile, nè formavano diocesi indipendenti.

Nel trattare con la corte di Roma la secolarizzazione che si desiderava, conveniva rappresentarla come destinata a qualche fondazione di pubblica utilità, cioè all'educazione, ail'istruzione della gioventù e all'avanzamento delle scienze. Uno specioso titolo per tale effetto era lo stabilimento pubblico e legale dell'accademia delle scienze, progettato già da dieci anni, dacchè Vittorio Amedeo regnava. Conveniva con la buona intenzione del Re la disposizione favorevole del ministro conte Corte di Buonvicino, personaggio assai dotto che era stato pubblico professore nella torinese università, e non aveva nell'attuale grado alcun timore che l'accademia recasse verun pregiudizio agli altri stabilimenti letterarii dello stato, nè diminuzione alcuna della sua influenza in quelli. Il R. diploma che legalmente la stabilisse sul fondamento della società privata e poi regia, come narrammo più sopra, uscì al pubblico nel mese di luglio dell'anno 1783. Vi erano uniti i regolamenti presentati all'approvazione sovrana dei primi membri della società, conte Saluzzo, dottor Cigna, ed Allioni. Insieme col presidente costituito in quell'atto, ch'era lo stesso conte Saluzzo, fu nominato presidente onorario il celebre Lagrange, che coi predetti Saluzzo e Cigna avean formata la prima società. Le fu assegnata la dote sopra le rendite delle abazie che vennero allora secolarizzate, e per sede e luogo proprio delle assemblee le furono date le camere del collegio de' nobili retto altre volte dai gesuiti. Fu nominato segretario perpetuo l'abate Tommaso Valperga 53 Dizion. Geogr. cc. Vol. XXIL

di Caluso, ch'era allora da pochi anni membro della società primitiva, ed il più ragguardevole de' letterati componenti la letteraria conversazione detta Sampaolina dal nome del conte di s. Paolo, in casa di cui si adunava. La massima parte delle entrate delle abazie in allora secolarizzate, concorse due anni dopo a formare l'appannaggio del duca d'Aosta, che quindi sposò Maria Teresa di Lorena arciduchessa d'Austria, figlia dell'arciduca Ferdinando fratello dell'imperatore allora regnante Giuseppe II. Ebbe parimente in quell'anno esistenza pubblica e legale la società agraria, della quale il Re nominò presidente il marchese di Caluso, nipote del soprallodato abate Valperga.

LXVIII.

Scoppia uel 1789 la rivoluzione in Francia. Il conte d'Artois rifugge
a Torino. Il nostro Re non vuol ricevere il francese ambasciatore
Semonville. Per un tal rifiuto gli è dichiarata la guerra dall'as-
semblea nazionale.

Appena scoppiò la terribile rivoluzione francese del 1789, uno dei fratelli di Luigi XVI, fuggendo dai popolari furori, riparò con sua moglie nella corte di Torino. Tal principe fu seguito indi a poco dai suoi figli, da suo fratello e da un numero grande di francesi gentiluomini. Vittorio Amedeo detestava i principii e spezialmente i primi effetti della sopraccennata rivoluzione tremenda; laonde non senza difficoltà quegli emigrati lo persuasero che era interesse comune di tutti i Sovrani l'opporsi a quello che si tentava dai francesi sollevati contro il loro Monarca. Vittorio Amedeo che al pari di ogni altro principe amava di regnar da Re assoluto, vi dava orecchio, e la tenerezza paterna verso le sue figlie, i due generi e le due nipoti non potevano lasciarlo indifferente in quella occorrenza. Vi si aggiunse probabilmente a risolverlo un motivo di proprio interesse, la speranza di fare qualche acquisto al di là dall'alpi. In tal disposizione d'animo non volle accettare per ambasciatore il Semonville che gli era stato inviato dai primi motori della predetta rivoluzione, ed ingiunse al governatore d'Alessandria

d'intimare a suo nome al Semonvillé di uscire dagli stati suoi. Allora la Convenzione Nazionale dichiarò la guerra al re di Sardegna (15 settembre 1792), ed ordinò al generale di Montesquieu di assaltar la Savoja.

LXIX.

Tumulto scolaresco in Torino. Conseguenze di esso.

Quasi negli stessi giorni che Luigi XVI tentò di salvarsi a Metz, ed arrestato a Varennes fu ricondotto a Parigi in più stretta prigionia che non fosse prima di quella sventurata fuga, accadde in Torino per lieve cagione un tumulto assai grave. Un giovane chirurgo, ancora studente in questa università, era stato insultato e fatto imprigionare dall'assessore del vicariato, ufficiale della polizia urbana, di lui rivale appresso qualche femmina di mondo. I compagni del chirurgo per liberarlo e vendicarlo suscitarono nella numerosa moltitudine degli studenti una sollevazione, che si comunicò alle scuole inferiori di tutta la città, e ne nacque un fiero tumulto simile ad un altro che vent'otto anni addietro si era veduto, quando il primo presidente capo del magistrato sopra gli studii avea dato scioccamente la permissione di far ballare un orso nel cortile di quel santuario delle scienze.

La scolaresca composta in gran parte di gioventù torinese si vide piuttosto incoraggiata che ritenuta dai parenti, per ☛ lo più male affetti agli officiali della polizia. Il perchè prese la sollevazione un aspetto così imponente, che il conte Graneri ministro di stato per gli affari interni, ed il conte di Salmour governatore di questa capitale stimarono necessario di opporre all'ammutinamento scolaresco la forza militare, e particolarmente un reggimento di tedeschi al soldo di nostro Re che qui era di presidio. E fu anche messo in armi qualche squadrone di cavalleria. Tuttavia gli studenti, vieppiù infiammati di sdegno, si mostrarono risoluti di resistere alla pubblica forza, e di ottenere il loro intento: si fu allora che personaggi autorevoli tentarono di ridurli a senno, ma i loro consigli furono sprezzati; ed allora solamente si calmò la

scolaresca, quando a lei si presentò il celebre professore Pavesio, e lo udì con calma, sebbene le abbia rimproverato i suoi trascorsi, ed abbiale mostrato di qual taccia vergognosa cuoprivasi nel sottrarsi alla pubblica autorità, e fatto vedere che il tempio augusto delle scienze e delle arti pacifiche non si potea da lei senza infamia contaminare: ed alle energiche parole del Pavesio i giovani ardenti si andar on calmando, e facendo intorno a lui denso cerchio, lo appellarono a mediatore, e gridando evviva il Re, promisero cessare da ogni violenza. Vero è che india poco di bel nuovo scoppiarono le ire giovanili; ma ciò venne perchè d'altra parte i consigli del Pavesio per tenerle in calma furono posti in non cale.

Gli ammutinati furono fatti consapevoli che il ministro dell'interno e il governatore di Torino avevano bensì opposto alla loro sollevazione la forza militare, ma che questa avea l'ordine di non far fuoco. Eglino perciò presero più ardire, ed insultarono a sassate la cavalleria che correva per le strade; ed infine fu d'uopo che il governo cedesse. La scolaresca non solamente fece liberar di prigione lo studente di chirurgia, ma si fece anche dar nelle mani l'assessore del vicariato, e lo costrinse ad una pubblica emenda sopra d'un palco a ciò elevato davanti la porta dell'università.

Il successo di questa sollevazione fece sì che seguinne un'altra non meno inquietante in Savoja, la quale per altro venne sopita di tutt'altra maniera. La cittadinanza savoina, oltre l'avversione abituale verso i piemontesi, era da alcuni anni particolarmente irritata contro gli ufficiali del reggimento d'Aosta di cavalleria, per la memoria delle bastonate che un ufficiale avea date ad un avvocato Bornio. Il reggimento diviso in piccoli distaccamenti che si alloggiarono in diversi borghi e villaggi, si trovò esposto agli insulti dei terrazzani, specialmente in Monmelliano. Con la punizione di qualche individuo e col richiamare in Piemonte l'odiato reggimento d'Aosta si quietò allora il tumulto; ma l'anno appresso molti cittadini o borghesi della Savoja, prendendo animo dal vantaggio che il terzo stato riportava in Francia, volean tentare l'istessa sorte nel loro paese. Si accerta che il predetto tumulto scandaloso di Torino servì ad accrescere

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