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l'audacia e lo spirito di ribellione in Savoja. La sollevazione scoppiò in agosto del 1791 in Tonone, capitale del Ciablese; ma gli autori e capi furono arrestati, processati e puniti di morte. Alcuni ebbero modo di fuggirsene, e ritirati nel Delfinato concorsero a fomentare con sediziosi scritti i mali umori de' loro paesani, e spargere opinioni e massime distruttive dell'antico ordine.

LXX.

I repubblicani di Francia cominciano le ostilità:
ai primi loro impeti mal resistono le truppe subalpine.

Dopo che Vittorio Amedeo ricusò di accettare l'ambasciatore francese Semonville, e trovossi perciò subito minacciato dall'assemblea nazionale, mandò rinforzi in Savoja ed a Nizza; e quando poi vide la rivoluzione farsi pericolosa e minacciare altamente le limitrofe sue provincie, vi spedì nella primavera del 1792 nuove genti, ma in numero troppo scarso per resistere ad un'aggressione; ma nè Vittorio Amedeo, nè gli altri Re che avevano da stringersi in alleanza, erano ap-. parecchiati a sostenere la guerra, e già stavano per essere prevenuti dai loro nemici. Verso la fine di settembre la Savoja e la contea di Nizza furono invase, e la città d'Oneglia posta a sacco ed a fiamme. La ritirata delle truppe sardé fu precipitosa, ed anzi vergognosa. Il Re ne fu addoloratissimo. Nel corso d'un mese avea perduto un quarto de' suoi stati. Nessun trattato gli prometteva l'assistenza dell'Austria, nè i sussidii dell'Inghilterra. Costretto a mendicare soccorsi da quelle due corti, era posto alla discrezione loro, con l'erario vuoto, e con truppe scoraggiate. Le parti del suo territorio occupate dal nemico, erano così travagliate dallo spirito rivoluzionario che sollecitarono di essere unite alla Francia, e tosto la repubblica francese fu cresciuta di due dipartimenti.

Deliberato avendo di salvare a qualunque costo quello che degli stati suoi rimanevagli ancora, Vittorio Amedeo si limitò sulle prime a difendere i monti, e strinse vivamente l'Austria perchè muovesse in suo ajuto; ma non potè averne che un corpo ausiliare di sei mila uomini. Non avendo egli

nè uffiziali, nè soldati veramente periti delle cose guerresche, si vide costretto ad affidare la direzione delle sue forze a generali austriaci, i quali n'ebbero quasi l'assoluta disposizione. Vero è che l'Inghilterra promise al nostro Re un annuo sussidio di duecento mila lire sterline finchè fosse durata la guerra; ma è vero altresì che gl'impose l'obbligo di aumentare l'esercito.

Vedendo che uopo gli era di provvedere da sè ai mezzi di difesa, Vittorio Amedeo si affrettò a mettere tutto il suo esercito in condizione di guerra. Levò nuovi reggimenti svizzeri, crebbe l'artiglieria sino a cinque mila uomini, ed alle sue milizie leggiere aggiunse tre mila e più soldati franchi. Formò con tutti questi elementi una forza nazionale di sessanta mila uomini. Si ristabilirono nelle alte alpi le trincee già state erette nella guerra del 1743. Le fortezze del Piemonte furono abbondantemente provvedute. L'arsenale di Torino pareva inesauribile. Sul principiare del 1793 Vittorio Amedeo contemplò con qualche sicurezza l'insieme de' suoi› mezzi di resistenza. Il triste risultato della spedizione francese inviata contro l'isola di Sardegna gli parve di buon augurio, tanto più che le circostanze generali gli sembravano propizie.

Se non che mentre il buon Vittorio apriva il cuore alla speranza di un avvenire assai prospero, in Torino, ed anzi in tutto il Piemonte gli animi non potevano a meno di contristarsi; perocchè le enormi spese di tanti guerreschi apparecchi non si poterono fare dal Re senza ricorrere a mezzi estremi, dai quali si presagiva, e nacque poscia in gran parte la rovina dello stato. Il R. governo mise in corso nuovi viglietti di credito in grande novero, per cui scapitarono gli antichi; coniò una gran quantità di nuove monete molto al dissotto del loro valore intrinseco; pigliò in prestito le argenterie delle chiese e delle doviziose famiglie. Si dovettero portare all'arsenale ed alla zecca persin le campane non rigorosamente necessarie al servizio divino. Sul che diciam di passata, che ai prestatori delle argenterie non se ne fece più mai la restituzione; che gli sforzati esibitori delle campane non mai più n'ebbero alcun compenso; e che i nuovi biglietti caddero, indi a non molto, in tanto discredito, che con uno

di cinquanta lire non si potea far compra d'un oggetto del valore di cinque.

LXXI.

Vittorio Amedeo si mette sull'offensiva con succedimento infelice.
Scuopresi in Torino un'orribile congiura

ordita per trucidare il Re e la reale famiglia.

L'estremo supplizio di Luigi XVI aveva sollevata la maggior parte dell'Europa; e la Convenzione Nazionale essendosi affrettata a pubblicare l'indipendenza dei popoli, l'loghilterra, la Spagna, Napoli, l'Olanda e la Germania erano in procinto di unire le loro armi a quelle della Prussia e dell'Austria per reprimere l'audace provocazione. Incoraggiato da una tal colleganza, in apparenza così formidabile, Vittorio Amedeo più non istette in forse sul partito che avesse a prendere, e deliberò di operare offensivamente. Già le truppe sarde eransi segnalate per animosa resistenza in parecchie occasioni, massime a Raus ed a Lauthion, dove i generali francesi erano stati respinti. Ma il disegno offensivo per riconquistare ad un tempo il ducato di Savoja e la contea di Nizza, non corrispose al bel principio della campagna. Il generale in capo austriaco, barone Devins, non si mise in movimento che nel mese d'agosto. Nizza o Superga, cioè vittoria o morte, sclamò Vittorio Amedeo partendo per l'esercito, ancor pieno d'ardore a malgrado dell'età avanzata; ma gli mancavano i ta◄ lenti militari e la politica energia de' suoi antenati. In balìa ai generali austriaci, che mal dirigevano le faccende della guerra nel Piemonte, perchè così il voleva il governo di Vienna, li vide lasciare che prevalessero da ultimo, del pari che in Fiandra e sul Reno, le armi della nuova repubblica.

Le invasioni in Savoja e nella contea di Nizza non essendo nè sostenute nè spinte con vigore, Lione e Tolone ricaddero sotto il giogo del potere rivoluzionario; e Vittorio Amedeo ebbe a pentirsi d'avere troppo ciecamente dato retta ai consigli d'un generale prosuntuoso qual era il barone Devins. Non era da porsi in dubbio, secondo avvisi certi, che i francesi non avessero intenzione di prendere in ricambio l'offen

aiva affine d'introdursi in Piemonte per le montagne di Nizza e per le sorgenti del Tanaro. Assalendo alle spalle le positure ebe Vittorio Amedeo difendeva da due anni, potevano render inutili in un istante mezzi di resistenza ch'erano affatto illusorii pel vano motivo della neutralità di Genova. In vece di provvedere a pericolo così stringente, si giudicò a Torino che il miglior partito fosse di riposare sulla prefata neutralità, e sulla linea di Saorgio, che guernita di sette mila uomini, muniva la convalle di Tenda. Diremo quale sia stato l'esito di così cieca fiducia, dopo aver riferito come in quei giorni si scuoprì in Torino una congiura d'uomini scellerati che miravano a nulla meno che a trucidare il Re e tutta la reale famiglia. Capo di quella insensata cospirazione fu un medico chiamato Barolo, figliuolo di un altro medico dei più accreditati della città e di una donna di camera delle reali principesse. Quest'uomo di pessima indole, che nella sua gioventù avea forzato il padre a farlo chiudere in una casa di correzione, e che poi rimesso in libertà e laureatosi in medicina, avea cercato fortuna in Africa, esercitando con gran franchezza la sua professione ne' serragli barbareschi, era di là tornato a Torino, e coll'appoggio de' suoi parenti era divenuto medico della corte, se non per le persone stesse de' Principi, almeno della gente di lor servizio. Non si potè mai sapere qual motivo lo portasse ad ordire l'esecrabile trama; ma troppo è certo ch'egli stesso nell'esecuzione di essa erasi assunto il carico di uccidere il Re e la principessa Felicita di lui sorella, unica sopravvivente delle tre figlie di Carlo Emanuele III. Scoperto, arrestato e convinto ottenne che gli fosse salva la vita, dichiarandosi pronto a manifestare i congiurati suoi complici, de' quali alcuni furono presi, condannati a morte e mandati alle forche; altri ritenuti in carcere, trovarono poi modo di fuggire; il Barolo fu chiuso allora in una fortezza, donde riebbe la libertà nella rivoluzione che seguì qualche anno dopo.

LXXII.

Continua la succinta narrazione dei tristi evenimenti della guerra
da Vittorio sostenuta contro la Francia repubblicana.

I francesi, addì 6 d'aprile del 1794, diedero un assalto generale su tutta la fronte della linea di Saorgio, ed innumerevoli colpi di cannone si udirono. Tal fragore però non aveva altro oggetto che di cuoprire un grande movimento che facevasi da tergo, lungo la riva del mare, alla volta di Genova. La maggior parte dell'esercito repubblicano piegò a sinistra verso il ponte di Novi, pel quale si entra nella valle del Tanaro, e da questa nel cuore del Piemonte. Tali notizie sparsero in breve lo spavento a Torino; e già, dietro ai primi assalimenti, tutta la valle del Tanaro era stata abbandonata dagli austro-sardi, i quali s'erano raccolti sotto il forte di Ceva. La resa di Saorgio, che aprì le porte alla prima intimazione, crebbe il terrore del governo di Torino, Cento mila francesi cuoprivano già le cime de' monti; poichè nel tempo stesso che s'erano impadroniti del colle di Tenda e delle valli del Tanaro, avevano occupata la più parte dei gioghi delle alpi occidentali. Gli austro-sardi non avevano da opporgli che venticinque mila uomini, postati fra Ceva e Demonte, i quali per altro vennero rinforzati da dieci mila austriaci. A tale attività dei francesi per rendersi padroni di tutte le sommità, succedette una repentina immobilità. Si pensò che aspettassero, per precipitarsi nella subalpina pianura, ii segnale dei traditori loro aderenti in Piemonte, sconcertati dalla fermezza della corte di Torino, la quale fece moschettare i due comandanti dei forti di Saorgio e di Mirabocco, che ne avevano aperte le porte al nemico. La notizia della caduta di Robespierre sopravvenne a diradare il nembo: il colpo fatale che minacciava il Piemonte rimase sospeso. I repubblicani, dopo alcune fazioni senza effetto, sebbene vivissime, si limitavano ad allontanare gli austro-sardi da Savona, e ad assicurarsi il possedimento di tutte le vie che mettevano a Nizza, Savona e Genova. Il cader delle nevi più presto dell'usato costrinse ambe le parti a mettersi per tempo a quartieri d'inverno.

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