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Frattanto la setta rivoluzionaria aveva fautori nella capitale, negli altri luoghi del Piemonte, e li aveva in tutte le classi della società, tranne i soldati ed i villici, dei quali gli affettuosi sentimenti verso la persona del Re erano costanti. Nella classe media e fra i nobili Vittorio Amedeo trovava il maggior numero di censori e di malcontenti. Il pericolo si faceva di dì in dì più stringente; e la stessa corte di Viennacominciava temere,che il Milanese fosse invaso fra non molto dai repubblicani. E si fu allora che non frappose indugi a mandare in Piemonte alcuni rinforzi, dei quali per altro i suoi generali non seppero far buon uso. Non ottennero, dopo un principio alquanto luminoso, nel 1795 fuorchè parziali ed insignificanti vantaggi, quantunque le loro forze superassero di un terzo quelle de' francesi. La campagna prolungavasi per tal modo con leggiere fazioni, quando addì 24 novembre il generale Scherer, il cui esercito s'era notevolmente accresciuto, prese l'offensiva su tutta la linea, guadagnò contro il barone Devins la battaglia di Loano, prese i quartieri d'inverno nella valle del Tanaro e nell'alta Bormida. Il barone Devins fu giustamente biasimato di aver terminata, toccando una fiera sconfitta, e con una ritirata vergognosa, una campagna che avea dato motivo a tante speranze, Quindi ogni fiducia d'essere salvati dall'Austria fu perduta, e lo spirito pubblico peggiorò in Torino sensibilmente. Apertamente dicevasi in questa città che al Re altro partito non rimaneva che quello di seguire l'esempio dato dalla Spagna, dalla Toscana e dalla Prussia, le quali avevano conchiusa con la repubblica francese la pace separatamente. Ma la vinsero i consiglieri del Re che volean la guerra dicendo, come il Macchiavelli, esser meglio cedere alla forza che alla paura della forza. Vittorio Amedeo spedì adunque ambasciatori a Vienna per chiedere soccorsi, e non trascurò di sollecitare l'assistenza de' piccoli potentati d'Italia. Il Papa promise ma non ebbe tempo di effettuar le promesse. Il re di Napoli promise ventimila uomini, e non mandò che due mila cavalli: ma grandi rinforzi giunsero dalla Germania, ed al generale Devins fu sostituito il barone di Beaulieu. Questi ed il barone Colli comandante delle truppe piemontesi si concertarono e formarono il disegno di tagliare la linea del nemico sul punto

di Savona. Ma tale disegno venne tosto attraversato dall'impeto del nuovo capo dell'esercito francese. Era questi Bonaparte, il quale mettendosi in sulle offese, espugnò il passaggio degli Appennini dopo varii combattimenti; separò gli austriaci dai sardi, e cacciando questi ultimi sulla strada di Ceva e Mondovì, arrivò alle porte di Cherasco e minacciò Torino. In quel momento di disordine e di confusione Cherasco, che aveva due mila uomini di guarnigione, sostenuti al di fuori da parecchi corpi di truppe, e che era un punto importante per rannodarsi e resistere, aprì le porte senza trar colpo. Beaulieu, che muoveva con gran fretta per riparare l'enorme fallo d'essersi disgiunto dal suo alleato, diede volta, abbandonando a se stesso il Piemonte.

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Allo avanzarsi delle truppe repubblicane la R. corte cadde. nell'abbattimento, e le contesse di Provenza e di Artois dipartitesi da Torino, ritiraronsi a Novara. Tuttavia il buon Vittorio non sapeva per anco togliersi la benda dagli occhi. Spaventato infine di veder presto invasa la sua capitale, acconsenti a chiedere una sospensione d'armi, a ciò indotto per altro dalle franche ed energiche parole del cardinal Costa, arcivescovo di Torino, personaggio sommamente riverito e stimato. Si stipulò adunque la tregua detta di Cherasco, che fu conseguitata ben tosto dalla pace conchiusa alli 15 maggio dello stesso anno 1796, tra la repubblica ed il sardo Re, il quale fra gli altri sacrifizii gravissimi, cui gli fu forza di soggiacere, dovette anche cedere la Savoja, la contea di Nizza, le tre piazze di Cuneo, Alessandria e Tortona ed il castello di Ceva. Frattanto in Torino ed in tutto il Piemonte la moltitudine era costernata: tutte le persone illuminate gemevano per le calamità presenti, e.tremavano per l'avvenire. Vittorio Amedeo III non sopravvisse che sei mesi al trattato di Parigi. Fu colpito d'apoplessia in Moncalieri addì 15 d'ottobre, e morì nella domane in età di anni 76.

LXXIII.

Carlo Emanuele IV: come dà principio al suo regno:

si collega colla Francia nella speranza di salvar lo stato ed il trono.

A Vittorio Amedeo III succedette il principe di Piemonte suo primogenito, che assunse il nome di Carlo Emanuele IV. Questo Re salendo al trono vide il totale discredito delle finanze e la rovina delle private famiglie: pensò che uno dei più efficaci rimedii ai mali prodotti dall'imprudenza della precedente amministrazione congiunta col vizioso modo di tenere l'esercito, fosse il pronto scemamento nella soldatesca; e volle perciò che l'esercito, il quale nel 1795 sommava a settantadue mila uomini, fosse a trenta mila ristretto.

In quel mezzo i repubblicani, scorti dal valore di Bonaparte, eransi addentrati nelle viscere dell'Italia. L'indipendenza del Piemonte neutro non poteva non dar soggezione, onde il direttorio parigino bramando di stringere i nodi dell'amicizia col re di Sardegna, principalmente a motivo degli affari di Genova, che si trovava nella necessità di dichiararsi o per Francia o per Inghilterra, lo richiese subito dell'alleanza, e gli offerì per ottenerla di sciogliere il Piemonte dalle imposte contribuzioni, e di essere mallevadore al Re de' suoi diritti e della tranquillità de' suoi stati. Carlo Emanuele, dopo aver fatto le più serie riflessioni su tali offerte, diede l'assenso ad un'alleanza di offesa contro l'Austria la cui condotta nella cessata guerra gli aveva somministrato motivi assai gravi di malcontento; e tanto più volontieri strinse una siffatta lega, in quanto che pensò ch'ei poteva così rassodare l'interna calma, riordinare il suo tesoro e sventar le trame dei sediziosi.

Per uno degli articoli di siffatto accordo egli pose alla volontà del supremo condottiero dell'esercito francese e d'ltalia nove mila fanti, mille cavalli, e quaranta pezzi di artiglieria col traino e con doppio corredo. Questo piccolo esercito, secondo gli ordini ricevuti, andò ad appostarsi lungo la sponda del Ticino; ma non dovette oltrepassare quel fiume, perchè i rapidi trionfi di Bonaparte costrinsero

presto l'Imperatore a sottoscrivere la pace di Campoformio. Sommamente occupato a sollevare, per quanto si potesse, il diletto suo popolo, ed anche ad appagarne per certi riguardi le brame, Carlo Emanuele IV pubblicava regolamenti amministrativi, atti a prevenire il monopolio dei cereali; impegnava per cento milioni di beni spettanti agli ordini di Malta, dei ss. Morizio e Lazzaro; impegnava eziandio benefizii semplici per sostenere il credito dei viglietti monetati; ravvicinava al suo valore intrinseco la moneta eroso-mista; creava nuove rendite per ispegnere il pubblico debito; sopperiva alle spese straordinarie cagionate dalla presenza delle truppe repubblicane, imponendo una tassa di cinquanta milioni sul clero; aboliva le collegiate ed eziandio i conventi che non avevano se non se pochi religiosi; alienava le abazie e i benefizi di R. nomina coll'autorizzazione del sommo Pontefice. Oltre a tutto ciò, ritoglieva ai nobili la facoltà di nominare i giudici, faceva dappertutto amministrar la giustizia in suo nome, ordinando che le spese ne fossero a carico del regio tesoro; aboliva i privilegi di caccia, di forno, di molino, i diritti di primogenitura ed i fidecommissi; sottometteva infine ad ogni maniera di contribuzioni i beni feudali. Questi ed alcuni altri decreti di quel Re non produssero per verità i frutti ch'egli sperava, giacchè le cose andarono egualmente a dirotto; ma dimostrano almeno la bontà dell'animo suo ed il vivo desiderio così di calmare gli spiriti esagitati, come di raffermare il crollante stato.

Una trama ordita per opera di non pochi faziosi, era scoppiata in varie città ed in varie terre subalpine, come in Revello, Sanfront, Moncalieri, Biella, Asti e Novara. I ribelli di tutti questi paesi vennero repressi, ed i loro capi furono di funesto esempio ai favoreggiatori di simili imprese. Appena cessate quelle sommosse, due masnade di ribelli si ordinarono una sulla frontiera dell'alto Novarese, e l'altra su quella della Liguria. Il Priocca ministro di Carlo Emanuele scriveva a Ginguené, ambasciatore di Francia a Torino, acciò dichiarasse quale nelle presenti circostanze fosse l'animo del francese governo; ed egli rispondeva che il direttorio non fomentava quei movimenti popolari, i quali nascevano dall'angustia delle finanze dall'insopportabile gra

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vezza delle imposizioni: intanto chiedeva che si proibissero sotto pena di morte gli stiletti e le coltella.

In mezzo a queste contese di parole era cosa di grau pondo che il nostro governo spegnesse in sul principio un fuoco distruggitore. Due colonne furono senza indugi destinate a scombujare quei due raccozzamenti: i ribelli di Domo in parte caddero spenti ed in parte stretti fra catene ebbero il malfine. La torma ch'erasi raccolta all'altra estremità del Piemonte cioè a Carosio si sostenne più a lungo per la sagacità di avere scelto a stanza quel borgo, racchiuso nel ligure territorio: per varii accidenti fu allora di chiarata la guerra tra la Repubblica Ligure ed il nostro Stato. Trentadue terre caddero in potere de' subalpini, e tutta la riviera di ponente fu sul punto di piegare il collo al giogo. Carlo Emanuele, a malgrado di sì rapide vittorie, anteponendo ad ogni altra cosa la pace, trasmise l'ordine alle sue truppe di sospendere le ostilità, e rammentò intanto al governo di Francia l'obbligo ch'esso erasi assunto di concorrere alla tranquillità degli stati suoi. Il cangiamento del ministro dell'interno favoreggiò la richiesta di Carlo Emanuele, e il francese governo fe'cessare le ostilità fra le repubbliche Ligure e Cisalpina e la corte di Torino.

LXXIV.

Un presidio francese occupa la cittadella di Torino:

gli ufficiali di tal presidio fanno una mascherata con un perfido scopo.

A Bonaparte, passato in Egitto, succedeva nel reggimento dei paesi conquistati in Italia un condottiero che non nutriva i medesimi sentimenti verso il nostro Sovrano. Questi credè fausta l'occasione di porre il piede nella cittadella di Torino, unico sostegno della corte, e sotto colore di essere maggiormente in grado di adempiere gli obblighi del Direttorio, volle che essa per due mesi, com'ei diceva, fosse nelle sue mani consegnata: le truppe repubblicane la occuparono nel dì 4 di luglio del 1798 con grande satisfazione dei sediziosi, i quali presagendone il compimento dei loro disegni tentarono un'ultima fazione sopra la città di Alessandria.

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