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Venuti eglino da Novi si avanzarono sin presso a Marengo; ed il governatore di quella città spinse tosto incontro a loro una schiera di soldati che li pose in rotta e li perseguì fin sotto il cannone di Tortona.

Frattanto i francesi, padroni della cittadella di Torino, procuravano con ogni indegno mezzo d'inspirare negli abitanti di questa capitale il disprezzo contro tutti i Sovrani e specialmente contro Carlo Emanuele. In tutte le notti facevano i loro orribili saturnali, a cui assistevano i poco affetti al R. governo. Alle rimostranze che per questi disprezzi facevano il governatore di Torino ed il ministro Priocca, l'ambasciatore francese rispondeva con parole irrisorie, lasciava continuare i gravi disordini dei repubblicani: alle empie canzoni, onde insultavano il Re, questi ne aggiungevano altre in ispregio della torinese popolazione.

Oltre a tutto ciò, nella sera di un giorno specialmente consecrato al culto divino molti ufficiali francesi escono dalla cittadella in vetture scoperte per offerire uno spettacolo, travestiti in modo da beffarsi delle dame di corte, dei grandi della corona e dei primarii magistrati. Così impudenti maschere sono circondate da francesi a cavallo che minacciano i curiosi affollantisi in sul loro passaggio. La fila delle vetture giunge dirimpetto alla chiesa di s. Salvario nell'istante in che i villici de' luoghi vicini accorrono per assistervi alle sacre funzioni. I francesi a cavallo colla loro sciabola in mano fanno disperdere quella moltitudine di devoti. Si eccita un violento rumore, cresce l'effervescenza; il popolo si raccoglie e mostrasi pronto a respingere le offese. Tuttavia l'odiosa mascherata attraversa il passeggio favorito dei tori nesi, sotto le allee che mettono alla cittadella; cresce l'insolenza; si raddoppiano gl'insulti; una strepitosa, sinfonia si fa sentire dall'alto de' baluardi, come per celebrare il trionfo degli offensori. I soldati piemontesi ed i cittadini, testimonii di tanti eccessi, si accendono a vendicare gli oltraggi che son fatti ad essi ed al loro Monarca; già si vedono sguainare le loro armi; si traggono varii colpi di fucile; alcuni cadono spenti ed alcuni sono gravemente feriti. Il francese presidio della rocea esce armato per ingaggiare un combattimento; le R. truppe erano numerose; il furore della ven

detta apparisce su tutti i volti; ma nel difficile emergente il cielo fa che si trovino due uomini di pace e di coraggio atti a prevenire la spaventosa catastrofe che minacciava Torino sotto gli occhi dell'angosciato Re. 11 generale Menard si slancia in mezzo a'suoi militi, proibisce al Collin, ajutante generale, di fare alcun movimento ostile, e colle esortazioni e poi coll'autorità del proprio grado lo costringe a rientrare co' suoi nella cittadella. Dal suo canto il governatore di Torino mitiga l'esacerbazione del popolo e dei soldati subalpini. Il Collin per quella sua grande imprudenza fu poi surrogato nel comando della cittadella dal generale Menard, che mostravasi amico dell'ordine e della giustizia.

La calma sarebbesi ristabilita, se in tutti i cuori già non vi fosse un forte lievito d'odio e di vendetta. I soldati della Repubblica non potevano incontrarsi senza venire ad insulti ed a duelli. Il Ginguené, istigato dai novatori, nelle sfide individuali amava di vedere le prove di una cospirazione ordita dai torinesi per trucidare tutti i suoi nazionali; e ne faceva doglianze acerbe al Re, chiedendogli che allontanasse dagli alti impieghi i suoi più fedeli servitori.

Frattanto a malgrado delle replicate promesse di restituire la cittadella alle genti di Carlo Emanuele e di lasciare in pace il buon Monarca, si cercava in ogni modo di cacciarlo via: questa era l'intenzione del direttorio parigino: i fran'cesi già avendo in poter loro le fortezze di Alessandria e di Tortona, poterono senza trovare resistenza occupare al settentrione Vercelli, Chivasso, Crescentino, Verrua, Ivrea e tutti i luoghi essenzialmente militari, e si avanzarono a gran passi verso Torino: mentre altre colonne vennero dalla parte meridionale, dove avevano in loro mano la forte piazza di Cuneo, ed occuparono Carmagnola, Carignano, Moncalieri sino alle porte della stessa capitale. Invano un ordine del cavaliere Priocca, principal ministro, tentò di risvegliare gli spiriti istupiditi, ed animare i torinesi a fare qualche resi❤ stenza. Tutto era costernazione e fremito d'un popolo che d'altronde era in parte disposto a favorir l'invasione. All'avvicinarsi della truppa che di Milano veniva condotta dal generale Joubert, si videro sventolare vessilli delle due repubbliche francese e cisalpina, il che era segno che To

rino e l'intiero Piemonte cangiavano padrone. Incontamente il ministro di Francia Aymar, ed i generali Brassis e Grouchy andarono ad annunziare al Re, che gli era d'uopo cedere alla repubblica francese il possesso di quanto gli si era lasciato de' suoi stati in Italia, e partir prontamente per ritirarsi in Sardegna. Fu forza obbedire e sottoscrivere l'atto di rinunzia che gli fu presentato: furono costretti a sottoscriverlo il balio Raimondo di s. Germano, considerato come il più intimo consigliere dell'infelice Monarca ed il duca di Aosta come successore presuntivo del Re suo fratello. Segnato e trasmesso l'alto autentico al generale Joubert, venne ordine per la partenza, e poche ore si lasciarono al Re, alla Regina, a tutta la R. famiglia, ai cavalieri, alle dame, ed alle altre persone di servizio, che si risolvettero di seguitarla, per mettere insieme ciò che fu loro permesso di prendere e portar seco. È da notarsi che nel giorno medesimo in cui Carlo Emanuele era espulso da Torino, che fu il 9 dicembre 1798, veniva arrestato e ritenuto prigioniero nel suo palazzo il conte Prospero Balbo ambasciadore a Parigi.

LXXV.

Il generale Joubert costituisce in Piemonte un governo provvisorio.

I francesi per giustificare agli occhi del pubblico il solenne torto e la grande ingiustizia, con che trattarono il buon Re Carlo Emanuele IV, pubblicarono lettere che si dicevano del principe Pignatelli primo ministro del Re di Napoli al cav. Priocca ministro del re di Sardegna, e da un ministro austriaco, e da altri ministri, le quali lettere erano state inventate a fine di mostrare esistente un accordo fra le tre corti per sottrarre l'Italia dalla soggezione e dal giogo dei repubblicani di Francia. Quelle lettere furono tutte chiarite' supposte, e quella massimamente del principe Pignatelli al ministro Priocca. Tuttavia con tale pretesto l'ambasciatore francese Aymar ed i generali Brassis e Grouchy, dettando' al Re l'atto di rinunzia, obbligarono per un articolo particolare il ministro Priocca a costituirsi prigione nella cittadella.

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Il generale Joubert, rimasto padrone del Piemonte, costitui un governo provvisorio, composto subito di diciannove, poi di ventiquattro personaggi trascelti da diverse classi, i quali tutti avevano avuto occasione di mostrarsi inclinati al sistema francese. Questi si divisero fra loro le funzioni e le cariche. Al modo di Francia tutto il paese venne diviso in dipartimenti che presero il nome dal fiume che li traversa vicino al capo luogo di ciascuno di essi. Il primo fu chiamato del Po, che bagna a levante le mura di Torino che ne fu naturalmente la capitale.

Intanto lo stesso supremo generale si accinse ad ordinare le squadre piemontesi alla foggia dell'oste repubblicana e ad introdurvi la stessa amministrazione, Sotto la nuova sembianza furono esse inviate in varii spartimenti a Ferrara, a Verona, in Toscana, e meritarono dappertutto gli elogi dei francesi,

Ma il Piemonte era subissato dai debiti; si spogliavano i suoi musei, le sue librerie e se ne trasportavano i tolti preziosi oggetti a Parigi: il governo temporaneo stabilito a Torino riduceva di due terzi il valore dei viglietti monetati ; portava al suo giusto valore la moneta eroso-mista ed annullava ogni sorta di decime: il direttorio parigino unì questo paese alla Francia, quando ebbe la notizia che a danno di essa già muovevasi tutta l'Europa; ed intanto vieppiù fortificava la cittadella di Torino, la provvedeva di munizioni e moltiplicava le artiglierie sulla fronte che guarda la città.

Mentre queste cose accadevano in Torino, il re Carlo Emanuele, giunto nel porto di Cagliari, aveva con un bando reso nota a tutta Europa la ingiusta violenza, che costretto lo aveva ad aderire ad un atto, così opposto ai propri interessi, ed aveva fatto protesta contro tutti quegli avvenimenti. In vigore di questo bando, l'obbligo dal Monarca imposto alle soldatesche piemontesi di guerreggiare sotto le galliche insegne, si trovò disciolto. Allora le subalpine schiere, per la più parte animate dall'antico spirito, che gli affezionava ai principi di Savoja, e commossi dalla infausta sorte del loro adorato Monarca, si sparpagliarono per non vedersi in punto di combattere contro la loro patria ed il loro Sovrano..

In quel mezzo tempo l'Austria spedito aveva un esercito capitanato da Bellegarde nei Grigioni, ed un altro condotto da Melas e da Kray nell'Italia: dalle rive del Volga e del Tanai si muovevano già per congiungersi cogli austriaci le schiere russe, poste sotto il comando del principe Suwarow; e le forze marittime dell'Inghilterra, della Russia e della Turchia dominando il Mediterraneo e l'Adriatico tentavano di effettuare sulle coste dell'Italia subiti trasporti.

In questo mezzo tempo a Torino sommamente si contristavano non solo il zelante arcivescovo Buronzo del Signore, e tutte le persone dell'uno e dell'altro clero, ma eziandio tutte le buone famiglie davvero amanti dell'ordine, della moralità pubblica e della purezza della fede cattolica: si contristavano ed ergevano fervide preci all'Altissimo, perchè cessassero in questa capitale i più gravi disordini. Chè in tutti i decreti del governo provvisorio si parlava sibbene con pompa di libertà e di virtù, ma pubblicamente ed impunemente trionfavano la più sfrenata licenza, il vizio e l'irreligione. La dignità ecclesiastica era avvilita e conculcata: libereoli ripieni di empietà grossolane, romanzi osceni, fogli ripieni d'impudenti sarcasmi contro il trono ed il sacerdozio inondavano per ogni angolo. Si tenevano pubbliche adunanze o clubs patriottici, come dicevasi, in una sala dell'Università, e qui ad alta voce declamavasi or contro la religione, or contro la R. casa di Savoja, e si declamava da alcuni più particolarmente contro l'autorità della chiesa e del supremo capo di essa, e contro i consigli evangelici. Ranza di Vercelli e Morardo di Oneglia, notissimi pei loro nefandi scritti, ed altri di simil tempra, erano gli applauditi oracoli di queste conventicole e dalla loro scuola cento altri uscivano imperversando. A queste indicibili amarezze dei torinesi che si conservavano nei principii della religione dei loro padri si aggiunse ancora l'infausta notizia della prigionia di papa Pio VI, il quale, mentre conducevasi in Francia sotto la scorta di gente armata, passando intorno le mura di Torino, il 24 di aprile del 1799, fu fatto pernottare nella cittadella, ove a stento potè entrare l'arcivescovo Buronzo a prestargli un alto di ossequio e piangere sulla sventura di lui, ed insieme di tutta la chiesa. Il governo provvisorio cominciava infie

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