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quasi che fosse un segreto suo avversario, meritevole di essere disperso e punito: rispondeva l'arcivescovo che metteva sopra di sè ogni qualunque disordine che i sacerdoti di sua diocesi avessero commesso contro il governo; e così li salvò da ogni molestia ; e potè inoltre ordinarne altri molti, ottenendo che i chierici andassero esenti dalla coscrizione militare. Moltissimi beni ecclesiastici, in case, censi e possessioni, non eransi ancora venduti dal governo, quando monsignor Giacinto della Torre fu assunto a questa sede` arcivescovile; e uomini ingordi si raggiravano da ogni parte presso i ministri di Napoleone, per farli vendere al pubblico incanto ed impadronirsene a vil prezzo. A si iniqua usurpazione il prelato virilmente si oppose e fu vittorioso; cosicchè rientrando poscia i principi Sabaudi nei loro stati di terraferma, trovarono beni di chiese, di conventi e di monasteri in una quantità rilevantissima. Se in oggi sussistono ancora i terreni pingui e ricchissimi di alcune antiche abazie; se posteriormente si fecero utili ecclesiastiche assegnazioni; se si sono potuti rifornire i capitoli ed i seminarii del Piemonte; il tutto debbesi particolarmente attribuire all'autorevole ed assidua interposizione di monsignor Giacinto; e la diocesi torinese anche per ciò solo gli avrà una eterna riconoscenza.

Irrefragabile prova della sua carità ferventissima verso i propri diocesani si è l'esser morto povero quantunque l'arcivescovado di Torino coll'unione del vescovato d'Ivrea gli fornisse pinguissime entrate, e la sua dignità di senatore, e le altre eminenti sue cariche gli fruttassero non meno di ottanta mila franchi. Viveva sobriamente, senza lusso; e così avea la consolazione di poter provvedere ai bisogni di molti. I chierici esenti, come già dicemmo, dalla coscrizione militare; molti parroci che nel Piemonte erano scarsamente provvisti ed ottennero annui stipendi a titolo di congrue, furono benefatti che mercè de' buoni uffizi di monsignor della Torre presso l'imperatore Napoleone si conseguirono a vantaggio del clero e delle popolazioni subalpine.

LXXXI.

Sorti di Torino

dacchè il principe Borghese fuvvi stabilito governator generale sino al 1814.

Vero è che Napoleone rivolgeva al Piemonte uno sguardo di compiacenza, considerandolo come la porta de' suoi trionfi e che aveva perciò in animo di favoreggiarlo. Non ignorando come i torinesi e tutti gli altri subalpini erano stanchi del generale Menou, cui essi disprezzavano per la notissima sua passata condotta e odiavano per le presenti vessazioni oud'erano tribolati, chiamollo ad altre funzioni ed in suo luogo nominò qui a governatore generale il principe Borghese suo cognato, che essendo d'indole buona e pacifica si conciliò presto l'animo della più parte de' suoi amministrati, che se non risorgevano a felici destini, potevano almeno godere di una quiete, di cui erano stati privi a cagione della prepotenza militare austriaca e dei soprusi delle galliche repubblicane schiere, ond'erane conseguitata la penuria dei viveri e la discordia dei cittadini. Oltre a ciò il novello Imperatore ad occupare le cariche stabilite in questa città ed in tutti gli altri luoghi più distinti della nostra contrada trasceglieva personaggi che ai talenti per sostenerle degnamente accoppiassero la rettitudine. I tribunali di fresco instituiti alla foggia di quelli di Francia, si conciliavano riverenza ed onore; tanto più che ad amministrar la giustizia Napoleone qui eleggeva i più riputati uomini di legge che tra noi fiorissero a quel tempo; ed i procesși così civili come criminali spedivansi con grande celerità e con pubblica soddisfazione a norma del novello codice che omai era da tutti letto e studiato. La polizia generale stabilita in Torino ed eziandio quella dei particolari municipi erano attivissime a perseguire i ribaldi. La solerzia e l'esattezza con che i gendarmi compievano i loro doveri, mantenevano la tranquillità nei luoghi abitati e la sicurezza in sulle pubbliche strade che per l'addietro erano infestate dai masnadieri. Le persone di qualche merito non rimanevano dimenticate; si cercava anzi con particolare studio di collocarle

in impieghi di loro convenienza; ed eran pingui gli stipendi che si davano ai pubblici uffiziali proporzionatamente alle loro attribuzioni, onde assai più che per l'addietro circolava il danaro, massime dacchè Napoleone stabiliva che quello proveniente dalle imposte dirette ed indirette, che pagavansi nel nostro paese, rimanesse qui tutto, e s'impiegasse a compiervi le opere da lui progettate; grandiose opere di strade, di ponti, di edifizi pubblici e di canali per le più facili comunicazioni interne. Il bello e solido ponte sul Po presso Torino fu allora costrutto; ed anche allora fu aperta e sistemata con grandi dispendii la prodigiosa strada del Moncenisio, per cui la città di Torino ebbe facili le sue comunicazioni colla capitale della Francia.

Splendida era la corte che teneva in Torino il principe Borghese, dal quale si spendevano in ogni anno quattro milioni di franchi che li provenivano in parte dai possessi di sua illustre famiglia ed in parte dagli assegnamenti sul tesoro di Francia; e ciò egli faceva sì perchè era di animo generoso, sì per rappresentare in qualche guisa in Torino la maestà dell'Imperatore suo cognato, e sì ancora perchè questi glielo suggeriva nel divisamento di attenuare, e poco a poco spegnere le rimembranze della splendidezza che si ammirava nella reggia de' principi Sabaudi.

Con tale scopo Napoleone desiderava che i nobili piemontesi di più antica nobiltà prendessero servizio alla sua corte în Parigi, e à quella del principe Borghese in Torino: questo suo desiderio fu prontamente soddisfatto.

Ammirevole fu lo zelo con cui il novello Imperatore si fece a promuovere nel nostro paese l'istruzione pubblica, e a rendere più proficui gli ordini che a questo medesimo scopo eransi già dati dai governi provvisorii stabiliti in Torino, dacchè il Piemonte cadde sotto la dominazione di Francia. Ire Carlo Emanuele IV per l'avversione inspiratagli da' suoi più intimi consiglieri contro la moderna filosofia e contro tutto ciò che paresse tendere a propagarla, avea fatto chiudere in Torino l'università degli studii e il collegio delle provincie. Ma ciò poco valse a rallentare il corso che avean preso gli studii indipendentemente dalle pubbliche scuole; perocchè molti chiari ingegni si diedero

con fervore alle scienze e ad ogni arte liberale. Durante il governo provvisorio straordinario e la commissione esecutiva sotto il consolato di Bonaparte, la torinese università, che si era chiusa, fu riaperta ed anche cresciuta notevolmente con l'erezione di nuove cattedre che vi mancavano. Le scuole primarie e secondarie ricevettero miglior forma e più utile metodo d'insegnamento. Si aprirono in questa metropoli ad uso della studiosa gioventù e de' letterati eziandio provetti nuove biblioteche, e tutti gli stabilimenti scientifici antichi é moderni migliorarono. La torinese accademia delle scienze, restaurata ed accresciuta ancor essa, rianimò lo studio e l'emulazione; promosse le ricerche, gli utili tentativi e la necessaria esattezza nelle sperienze fisiche e nelle matematiche dimostrazioni. Compagna e quasi coadiutrice dell'accademia delle scienze divenne la società agraria già fondata sotto Vittorio Amedeo III, e ciò per l'influenza della commissione esecutiva. Fioriva sotto il dominio francese l'accademia detta Colonia dei Pastori della Dora, che venne fondata in Torino, e teneva le sue pubbliche adunanze in un'aula della R. università. Essa rendevasi grandemente benemerita, procacciando di giungere al suo scopo generoso, ch'era quello di conservare in questo paese il buon gusto delle lettere italiane, e la purezza dell'italica lingua in un tempo in cui essa fra noi non poteva a meno d'infranciosarsi per l'obbligo di scrivere nel gallico idioma tutti gli atti pubblici, tutte le allegazioni e le dispute forensi.

L'università degli studii e il collegio delle provincie acquistavano vie maggiore chiarità, perocchè eccellenti professori furono prescelti ad occupare cattedre universitarie; alcuni dei quali già godevano fama europea, e gli altri si chiarirono poi degnissimi delle loro cariche si pel raro sapere di cui erano adorni, come per lo zelo di formare distinti allievi. Alle cattedre già esistenti il conte Prospero Balbo, chiamato da Napoleone a sopraintendere a tutte le pubbliche scuole del nostro stato, ottenne che ne fossero aggiunte parecchie altre, tra cui rammenteremo specialmente quelle di storia naturale, di archeologia, di storia ecclesiastica e di anatomia comparata.

La quiete che nasceva in Torino da sì belle cagioni, e

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per cui i più avversi al giogo straniero cominciavano avvezzarsi a comportarlo, non poteva essere di lunga durata: era come la calma che precede la bufera devastatrice. Non tardarono a scoppiare lotte fierissime, per cui il nostro paese ebbe a soffrire gravi disagi. Nacque la desolazione dei ministri dell'altare e di tutti i veri credenti per la nera ingratitudine di Bonaparte, che nei delirii dell'ambizione sognando la monarchia universale proponevasi di tribolare, come di fatto tribolò con ogni maniera d'inganni e di violenze il supremo capo della chiesa, e di gettare nel fango tutti i sovrani dell'Europa e dell'Asia. Ma il superbo, nella cecità in cui era caduto, non avvedevasi che già l'astro suo cominciava ecclissarsi, e che lo smisurato colosso dell'impero da lui fondato, come la grande statua di Nabucco, non era sorretto che da piè di fragile argilla. Sì, presto egli cadde con gran rumore, dimostrando che non evvi forza veramente solida, tranne quella che è fondata sulla giustizia e la moderazione. Questa inaudita catastrofe colpì tutti gli spiriti di una specie di stupore. I Principi spogliati dei loro dominii ricuperarono gli uni la propria indipendenza, gli altri i proprii stati.

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LXXXII.

Torino riacquista la dignità d'inclita capitale,
e ridiviene la sede de' naturali suoi Principi.

La città di Torino, che da tre lustri era spogliata del titolo di capitale, lo ripigliò con orgoglio, e la monarchia Sabaudo-Piemontese ricomparve sulla scena dell'Europa con un novello splendore. In seguito ad una convenzione, conchiusa in questa metropoli col principe Borghese, il feldmaresciallo di Bellegarde prese possesso del Piemonte a nome delare Vittorio Emanuele. Questi, prima di allontanarsi dalla Sardegna, conferì la sua reale autorità su quell'isola all'augusta sua consorte Maria Teresa, la quale durante la sua reggenza provò che non erale sconosciuta la difficil arte di regnare.

Giorno di grande universale giubilo fu ai torinesi il 21

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