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maggio del 1814, quando rientrò fra le loro mura Vittorio Einanuele che fin dal 1802 era, per la rinunzia del fratello, asceso al trono. Il Piemonte ricuperava l'indipendenza e la dignità di nazione; e Torino ridiveniva sede de' suoi Sovrani. Ma durò pochi giorni l'ilarità ch'era nata nel cuore de' torinesi e degli altri subalpini per causa del ritorno dei Reali Sabaudi nei loro stati di terraferma. L'edifizio della monarchia di Savoja quantunque venerando per antichità, e specialmente per gli sforzi magnanimi dei principi che lo innalzarono, dovevasi tuttavia ricostrurre dalle fondamenta in modo conforme al progresso dei lumi e ai bisogni dei tempi. Il buon re Vittorio Emanuele reduce a Torino, fece tosto conoscere che, durante il suo lungo soggiorno in Cagliari, non aveva niente obliato e niente appreso. Non solamente non diede alcun indizio d'aver concepito quali fossero i bisogni e gli onesti desiderii de' suoi popoli, ma dimostrò apertamente che le sue sollecitudini erano rivolte a ricondurre tutta l'amministrazione del proprio regno alla sciagurata condizione in cui essa trovavasi nell'anno 1798: e diffatto, senza frapporre indugi, abrogò gli ordini e le leggi, frutto di un moderato progresso, dovuti a que' sommi uomini, di cui Napoleone sul principio del suo governo seppe assimilarsi la mente. Egli stesso, il buon Vittorio Emanuele, conobbe poscia l'errore in cui era caduto, e se ne penti finchè visse. A riparare ai mali che da quel suo infausto decreto erano provenuti, scelse il conte Prospero Balbo; ma i casi del 1821 resero inefficace l'opera di quel ministro.

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L'augusto suo fratello Carlo Felice, che gli succedette nel dominio, sebbene avesse anch'egli sortito dalla natura un'indole buona, pure imbevuto delle viete massime, e abbindolato dai furbi ignaziani non volle o non osò accingersi alla grande impresa di rigenerare i suoi popoli; alla sua munificenza per altro è dovuto il magnifico ponte sulla Dora presso Torino, opera stupenda ideata ed eseguita dal celebre cav. Mosca. L'intiera nazione se ne stette allora rassegnata e quieta, confortandosi della speranza che i suoi voti sarebbero stati coronati da Carlo Alberto, quando egli fosse salito al trono. Carlo Alberto, che per la morte di Carlo Felice salì al trono, pubblicò in sulle prime ordinamenti assai proficui, e

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sanci poscia nuovi codici, dei quali affidò la compilazione a personaggi dottissimi in ogni ramo della giurisprudenza. Diede a' suoi popoli lo statuto, ma sol quando il darlo era per lui divenuto una necessità. Egli amava in cuor suo l'assolutismo; accarezzava perciò i gesuiti, cui conosceva dispostissimi a sostenerlo, e lasciò ch'ei fossero espulsi dagli stati suoi, quando lo impedirlo più non era in sua balia. Si banno prove non dubbie del suo disamore verso i liberali; egli se ne valeva come di mezzo per ottenere la corona d'Italia, che era in cima de' suoi pensieri. Per pubblica confessione d'uno de' suoi più intimi e fidi consiglieri, ora è noto che Carlo Alberto avrebbe annullato o disperso i liberali 1ostochè si fosse cinto il capo della corona ferrea. Con tali sentimenti sembra potersi credere ch'egli avesse tutt'altro in mente che di mantenerci le concedute libere instituzioni. Sono universalmente conosciuti i fierissimi disastri che lo costrinsero ad abdicare il trono in favore del suo primogenito, e a condursi in volontario esiglio ad Oporto, ove cessò di vivere il 28 di luglio dell'anno 1849.

Il suo figlio e successore Vittorio Emanuele II prese le redini dello stato ridotto all'estrema sciagura; ma il senno e la fermezza d'animo, di cui sinora si mostrò fornito, inspirano la fiducia che sia Re capace di rimarginare le immense piaghe di questo paese. La lealtà, di cui già diede cospicue, prove, e le sue iterate solenni promesse ci rendono certi che lo statuto, di cui già godiamo i benefici effetti, per lui starà, e lo sviluppo di esso vieppiù sempre riuscirà importante ed utile alla nostra nazione, divenuta scopo alla bella invidia di tutti gli altri stati d'Italia; e ciò a malgrado delle nubi che di tempo in tempo il gesuitismo e la tedescheria coi loro soffi maligni cercano sollevare sul nostro orizzonte. Quanto i Sabaudi sovrani dopo il loro ritorno in Piemonte fecero, e quanto sotto i loro auspizii fu fatto per ingrandire, dare maggior lustro a questa capitale, ed arrecare sempre maggiori comodi e vantaggi agli abitanti della medesima, già per noi fu detto ai luoghi opportuni sufficientemente nel vol. XXI, che contiene la torinese corografia.

Ci astenemmo dall'entrare minutamente nelle particolarità degli evenimenti che si succedettero nel nostro paese dopo

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l'ultima pace universale d'Europa; perchè già osservammo. ed osserviamo qui pure essere noi convinti che tali particolarità non sono ancora del dominio della storia, e il giudicarne appartiene al tribunale inesorabile della posterità; e cresce tanto più la nostra convinzione a questo riguardo, in quanto che, le cagioni di alcuni di quegli evenimenti stanno e staranno lungamente ravvolte fra dense tenebre.

BIOGRAFIA TORINESE

Accingendoci a fare onorevol cenno dei torinesi che nel corso delle età si resero chiari nelle scienze, nelle lettere e nelle belle arti, cominciamo commendare alla memoria dei posteri quelli fra loro, che datisi allo studio delle divine cose meritarono pei loro talenti e per le loro virtù di essere innalzati ad alte dignità della chiesa: nel novero di questi ci gode l'animo di trovarne parecchi, che furono degni successori del grande san Massimo, primo pontefice della chiesa di Torino. Eccoli:

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AMIZONE: l'eruditissimo Terraneo avvisa che questo insigne prelato fu figliuolo di Arduino III, detto Glabrione conte di Torino. Reggeva la chiesa torinese l'anno 966, cioè nel tempo in cui Ugone, nobile gentiluomo dell'Alvernia ritornando da Roma con sua moglie Isengarda, fondò il celebre monastero della Chiusa. Non solamente diede Amizone il suo pieno assentimento a questa monastica fondazione, ma di più prestovvi l'opera e il danaro, avendo egli fatto fabbricare sul monte Pirchiriano la chiesa di s. Michele, che dopo tante vicende sussiste ancora con notevoli ingrandimenti e ristauri, e sin dall'anno 1836 fu assegnata alla congregazione dell'illustre abate Rosmini.

Il nome del vescovo Amizone divenne pure assai chiaro, perchè a' suoi tempi il giovane imperatore Ottone III, con suo diploma dato l'anno 998, diede all'episcopio di s. Giovanni di Torino la proprietà ed il possedimento della valle di Stura e di quella di Varaita, unitamente a varie terre e castella, fra cui sono nominate Chieri, Canova, Celle, Testona, Rivoli e Carignano.

TEDISIO: alla morte del vescovo Goffredo i canonici di

Torino, secondo l'antica disciplina radunaroǹsi iu` una sala posta nel chiostro della chiesa cattedrale, per l'elezione del successore; ma discordando i pareri, vennero ad un compromesso fatto in Lantelmo prevosto di Oulx, e nel supe⚫ riore della congregazione di Rivo-Inverso, ambedue del collegio canonicale. Questo compromesso erasi limitato al tempo di ventiquattr'ore, e prevalendosi di questo brevissimo intervallo, nominarono alla episcopal sede di Torino Tommaso di Savoja, fratello del conte Filippo, distinto per esimia coltura di spirito, per onestà di costumi, capace per la nobiltà di sua famiglia, e per le molte sue aderenze a riacquistare alla chiesa di Torino i molti beni dei quali era stata spogliata, e che possedevansi da uomini prepotenti.

Molte investiture si leggono nelle carte antiche fatte da Tedisio nei primi anni del suo pontificato a favore di diverse illustri famiglie, riservandosi il diritto delle decime, od un'annua pensione; trovansi ancora di lui diverse transazioni, da cui apparisce la sua grande moderazione d'animo, il suo disinteresse e il suo amore a conservare la pace. 11 marchese di Saluzzo Manfredo avendo cercato di essere investito delle decime dei novali per le terre del marchesato esistenti nella diocesi di Torino, Tedisio nel 1308 gli concedette la richiesta investitura con l'obbligo per altro al marchese di essere mai sempre fedele ai vescovi e alla chiesa di Torino.

Un'altra notevole convenzione fece Tedisio con Amedeo V conte di Savoja, intorno al feudo della valle di Lanzo. Federico Barbarossa, in odio della Sabauda casa, avea conceduto alla mensa vescovile di Torino la conferma del diritto sulle terre di Mattigo, Matti, con tutta la valle di Mallignasca (Lanzo). Con questa carta imperiale i conti di Savoja ripu tandosi lesi e spogliati di una loro proprietà, avevano cercato in diversi tempi di ottenere il possesso di tutte quelle terre e proprietà. Il litigio coi vescovi di Torino fu assai lungo; má finalmente Tedisio volendolo terminare, rinunziò al conte Amedeo, da cui avea ricevuto molti favori, il dominio sopra Lanzo, e sui borghi di sue valli, riservandosi solo il diritto delle decime, cui Amedeo V, trovandosi in Ciriè, volle confermare nel dicembre del 1310.

Ai tempi del Tedisio erano notevolmente diminuite le rendite della mensa vescovile di Torino; ed egli ottenne che fosse meglio provveduta. La chiesa di Rivoli riconosce da questo vescovo la fondazione di sua collegiata nel 1310. I chieresi tenevano ancora nel 1312 la castellata di Montosolo. Ma Tedisio con solenni formole dichiarò, il 29 di luglio 1311, doversi restituire alla sua chiesa, da cui era stata ingiustamente tolta. In Torino il capitolo del duomo volendo provvedere all'assistenza del coro e ai bisogni della propria chiesa, formò alcuni statuti, i quali furono provati dal vescovo Tedisio, il dì 8 maggio 1518. Nel mese d'ottobre del 1319 cessò di vivere questo insigne prelato, che per la lunga residenza fatta in questa città, e pel singolare suo affetto verso gli abitanti di essa, voleva essere riguardato come torinese. GUIDO II: era arciprete della cattedrale di Torino, vicario generale di questa diocesi, quando fu eletto al vescovado dai canonici suoi colleghi, il 16 maggio del 1319. Gli storici che scrissero di questo prelato, concordemente asserirono ch'egli era fornito di tutte le virtù cui richiede l'apostolo delle genti in un pastore delle anime. Dall'Ughelli fu chiamato vir pius et doctus. E Ferrero di Lavriano, niente sospetto di lodare soverchiamente i vescovi, lasciò di lui il seguente elogio: a L'ascendente di Guido fu la liberalità in grado eminente verso i poveri, e com'ebbe la mano pietosa molto nel distribuire limosine, così seppe averla rigorosa nell'estirpare le usure ». Ai tempi di questo vescovo la peste infieri in Torino e in tutto il Piemonte: è certo ch'egli in tempi così calamitosi diede mirabili prove della sua ardentissima carità.

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TOMMASO DI SAVOJA: aveva questo figliuolo di Filippo principe d'Acaja e della Morea l'età d'anni 25, quando papa Clemente VI lo elesse alla sede vescovile di Torino l'anno 1348. La città di Torino si mostrò soprammodo contenta dell'elezione di un tal personaggio, cui riguardava come suo figliuolo. Il vescovo Tommaso intraprese la visita di sua diocesi, ed essendosi inoltrato in quelle alpestri parrocchie che confinano, col Delfinato, riparò con rara fermezza a molti abusi che vi si erano introdotti nell'esercizio del culto divino. Frenò la prepotenza dei marchesi di Saluzzo. Tenne 36 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

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