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in questa cattedrale più sinodi, che fanno fede del suo zelo e della sua dottrina. Si fece a riparare la chiesa cattedrale che minacciava rovina; e a quest'effetto scrisse lettere di esortazione a tutti gli ecclesiastici di sua diocesi, raccomandando loro di voler contribuire colle proprie limosine a questo lavoro; e la desiderata riparazione realmente si fece non già di tutta la chiesa del duomo, come asserisce monsignor Della Chiesa, ma sibbene coine osserva il Meiranesio, di quella terza navata che propriamente chiamavasi di s. Giovanni. Già dicemmo altrove che il duomo di Torino era di tre parti composto, ossia di tre chiese unite, l'una dall'altra divisa e chiusa mediante un muro che sorgeva dal suolo sino alla volta; la navata, ossia la chiesa di mezzo, era dedicata al Salvatore; quella a destra era intitolata alla SS. Vergine; e la terza, in cui esisteva il fonte battesimale, portava il nome di s. Giovanni, e questa appunto fu ampiamente ristaurata dal vescovo Tommaso.

Il principe Giacomo suo fratello essendo stato quasi intieramente spogliato di quanto possedeva di qua delle alpi per una guerra suscitatagli dal conte Verde, fattasi poi la pace, ed essendosi deputati gli arbitri per la compensazione, sulle istanze di questo prelato, il principe suo fratello tornò al possedimento de' suoi antichi dominii. La sua morte avvenne nel 1362.

I PRELATI DELLA ROVERE. La torinese nobilissima famiglia Della Rovere diede varii pontefici alla chiesa di Torino, cioè Domenico cardinale, vescovo nel 1482; Gioanni Ludovico nel 1501; Gioanni Francesco, primo arcivescovo di Torino nel 1515; Gerolamo, cardinale ed arcivescovo nel 1564. Siccome questi prelati si resero tutti sommamente benemeriti di questa loro patria, così abbiam dovuto parlarne appositamente nella parte storica del presente lavoro ; nè occorre di qui darne particolari ragguagli.

GIULIO CESARE BERGERA, cittadino torinese, de' conti di Cavallerleone, laureato in ambe leggi, canonicopreposito di questa metropolitana, alla morte di monsignor Antonio Provana, fu eletto a vicario generale capitolare, e quindi, addì 7 marzo 1642, a successore di lui nell'arcivescovado. Fu prelato adorno di svariata dottrina; ed è certo che dei

suoi lumi valevasi il duca Vittorio Amedeo 1, ed eziandio la duchessa sua consorte Cristina di Francia, la quale volle crearlo suo limosiniere, e quando poi, rimasta vedova, diveniva reggente dello stato, continuava a preferire i consigli del Bergera a quelli di qualsivoglia ministro, perchè li sapeva dettati da uno spirito sommamente perspicace, e da un cuore rettissimo.

Il primo decreto che monsignor Bergera pubblicò il 25 febbrajo 1645, riguardava l'osservanza della quaresima: é con un altro decreto dello stesso anno rammentava a' suoi diocesani l'obbligo di santificare le feste, loro insegnando il modo di santificarle. Nel 1644 pubblicò un altro decreto in lingua latina, concernente alla personale residenza dei parroci e dei beneficiati, uel quale argomento riferì con molta erudizione tutto ciò che i concilii generali ed i sommi pontefici avevano stabilito, conchiudendo col proibire sì ai paroci che ai canonici lo assentarsi dal proprio luogo, senza espressa sua licenza scritta, sotto diverse pene. Dal dovere dei beneficiati passò monsignor Bergera a trattare (1645) delle disposizioni e delle qualità necessarie ai chierici per éssere promossi agli ordini sacri; richiedendo segnatamente dal paroco e vicario foraneo se l'ordinando nel giudizio del popolo di quella parrocchia erasi formata co' suoi costumi una buona opinione di se. Addì 15 maggio cominciò applicarsi alla celebrazione del suo sinodo nella chiesa metropolitana. Rinnovò molte costituzioni de' suoi predecessori in questo concilio, e ne fece alcune nuove, di cui le più importanti riguardavano il patrimonio ecclesiastico, di cui gli ordinandi in sacris dovevano essere provveduti. Mancava tuttavia nel capitolo della metropolitana l'uffizio della Penitenzieria; e monsignor Bergera lo eresse colla instituzione di un canonico, qui penitenziarii munus utiliter et indefesse obire possit, nominando a tale uffizio Gioanni Pietro Cocco, dottore in leggi ed in teologia, e protonotario apostolico, che già era provveduto di un canonicato in questa metropolitana. Gli ultimi anni di monsignor Bergera non furono inquietati da civili e politiche vicende. Egli vide finita nel 1648 la reggenza della duchessa Maria Cristina, che era stata pro-cellosa per colpa de' principi suoi cognati; vide la cittadella

di Torino evacuata dai francesi, e restituita al duca di Savoja, Vide il Piemonte sgombro dalle truppe nemiche, e cominciarsi in Torino la fabbrica di nuove chiese pel decoro della religione, e finalmente nascere e formarsi, mediante il suo patrocinio, due illustri congregazioni in Torino, quella dell'oratorio di s. Filippo nel 1649, e quella de' signori della Missione di s. Vincenzo de Paoli nel 1654. Dopo aver retto pel corso di diciott'anni la chiesa torinese con ammirata saggezza e pietà, ed aver grandemente cooperato alla pace dello stato, cessò di vivere l'anno 1660 nella sua età di anni 67.

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MICHELE ANTONIO VIBO', figliuolo di Pietro che fu cancelliere del duca Vittorio Amedeo II, nacque in Torino circa l'anno 1630. Vestito nella sua prima giovinezza l'abito clericale, fu mandato agli studii in Roma nel romano collegio, che era in grande riputazione, ed ivi fece nelle lettere e nelle scienze mirabili progressi. Ritornato in patria si laureò in ambe leggi, fu eletto a professore di teologia, quindi abate commendatario di s. Pietro di Rivalta, primo segretario dell'ordine de' ss. Maurizio e Lazzaro, e consigliere del consiglio ducale.

Le molte sue cognizioni e le sue preclare virtù furono specialmente apprezzate in Roma. Per due volte fu mandato internunzio in Francia; e reduce a Roma fu spedito a Ravenna in qualità di vicario amministratore. Adempiuto quest'uffizio con integrità e prudenza, papa Innocenzo XI mandavalo in Francia a governatore di Carpentras e del contado Venosino. Dieci anni sostenne questa carica con grande soddisfazione di quel sommo Pontefice e del re Luigi XIV. I suo regime era temperato dalla soavità delle maniere, e dalla fermezza nell'esercitar la giustizia: usciva irreprensibile e vittorioso da certe difficilissime emergenze, che un ingegno poco più che mediocre avrebbe giudicato inestricabili.

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Intanto gli preparava Iddio un'altra luminosa promozione, l'arcivescovado di Torino, ed a questa sede, sulla proposta del duca Vittorio Amedeo, venne effettivamente instituito addì 21 novembre del 1690, dell'età sua l'anno sessagesimo: età certamente di maturo giudizio e di lunga, esperienza: e seppe ben egli far uso di queste sue ottime qualità per so

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stenere il peso del pontificato in circostanze soprammodo difficili. Il duca Vittorio Amedeo discordava dalla Santa Sede per certi diritti d'immunità personale é reale; e questi dispareri erano già molto acerbamente inoltrati. In mezzo di questo conflitto stava afflittissimo monsignor Vibò, nè potea muo. vere un passo verso di una parte senza incontrare nell'altra, nè approvare le scritture che uscivano da Roma senza opporsi a quelle che frequentemente erano pubblicate dai magistrati di Torino. In tali angustie la sapienza del Vibò era tale che sapea dare a Cesare ciò che a Cesare apparteneva, e dare al romano Pontefice ciò che gli conveniva. Non usando mai di una falsa politica, esortava il Sovrano alla riconciliazione con la s. Sede, ed astenevasi dal proferire un giudizio, di accordo in tutto ciò col P. Sebastiano Valfrè, il quale, pur amareggiato profondamente, diceva ogni verità al Principe con tale saggezza, e ad un tempo con tali riguardi, che non mai offendeva la dignità del trono.

Oltre a questi mali monsignor Vibò sentiva il peso dei gravissimi infortunii che provenivano dalle lunghe e sanguinose guerre; vedeva con grande suo cordoglio l'immoralità de' costumi, la profanazione delle cose sacre, l'insegnamento di perverse dottrine per parte de' molti soldati eretici, il disertamento delle campagne, la dispersione di molte famiglie, la carestia, per cui la città di Torino fu inondata da mendici; e pel colmo della desolazione si aggiunse lo strettissimo ed ostinato assedio di questa città, l'anno 1706. Fra tante angustie adoperavasi l'egregio prelato ad animare il coraggio de' pusillanimi, a sollecitare poderoso soccorso alla patria, a provvedere di pane, vestimenta e denaro i bisognosi, con magnanimo zelo e carità senza limiti.

Non tralasciava frattanto di attendere seriamente e con ammirata sollecitudine ai doveri del proprio ministero, e ai bisogni di sua chiesa e di tutta la diocesi. Grandi furono le sue beneficenze a questa chiesa metropolitana: vi fece costruire nel coro un nobile sepolcro agli arcivescovi; eresse un nuovo altar maggiore in finissimo marino di nero colore, e molte sacre suppellettili egli donò alla sacrestia; suppellettili di gran prezzo. Pieno di meriti passò a miglior vita, colpito da morte repentina il 13 marzo del 1713, nella sua

grave età d'anni 83. 11 Meiranesio conchiude il racconto delle gesta di lui con queste parole: obiit pastor iste vigilantissimus, atque officiorum suorum exactissimus, dierum plenus atque meritorum, repentina morte correptus, die etc.

CARLO TOMMASO MAILLARD DI TOURNON, vera gloria torinese, nacque in questa capitale il 20 dicembre 1668, ove gli avi suoi di antichissima e nobilissima famiglia, orionda di Rumilly in Savoja, eransi da lungo tempo stabiliti. Vittorio Amedeo suo padre era cavaliere dell'ordine supremo della Nunziata, chiarissimo ancora per altre dignità, e più per i meriti suoi personali.

Sin dall'infanzia Carlo Tommaso manifestò una grande inclinazione allo studio, ed anche più a tutti gli esercizii della religione. Fu affidato ai PP. gesuiti del collegio di Ciamberi nel 1681, per lo studio delle umane lettere, e dimorò tre anni in quel collegio. Ritornato a Torino, si fece a studiare la sacra teologia in questa università, e ne ottenne la laurea nel 1688. Condottosi indi a poco a Nizza Marittima, ove suo padre era governatore, continuò i diletti suoi studii; onde, per un particolare indulto, e dopo le solite prove, fu laureato in ambe leggi (1690) in quella città. Fece ivi conoscenza con Baldassarre Cenci, prolegato della Santa Sede in Avignone, il quale partito da quella sua residenza, erasi ricoverato in Nizza, a cagione delle differenze insorte tra il re di Francia ed il romano Pontefice. Il prolegato conobbe l'egregia indole del giovine Tournon, e lo favorì di sua grazia, nè cessò di amarlo, anche quando richiamato a Roma fu creato cardinale di s. Chiesa da papa Innocenzo XH.

Avendo inteso la eminente promozione di Baldassare Cenci, il giovine abate di Tournon spinto dal desiderio di rivederlo ed onorarlo, e particolarmente bramoso di meglio perfezionarsi nelle scienze ecclesiastiche, partì da Nizza il 17d'aprile del 1690 e giunse a Roma il 1.o del seguente maggio. Non si tosto il cardinale Cenci lo rivide, deliberò di ritenerlo presso di sè in qualità di suo auditore e lo fece promuovere al sacerdozio. Corrispose l'ottimo abate torinese alle speranze del cardinale suo proteggitore ed anzi ben presto le sorpassò. Essendosi ascritto a varie fiorenti accademie, e segnatamente al collegio Urbano di Propaganda

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