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valore, il quale fiorì e rese chiaro il suo nome e quello
della sua patria sotto tre diversi Imperatori, ci è traman-
data la memoria da sei lapidi scoperte in Torino, delle cui
iscrizioni, tutte difettose e mancanti, cinque sono nella
lingua del Lazio, e la sesta nella greca favella. Quest'illustre
personaggio è Quinto Glizio figliuolo di Publio della tribù
Stellatina, cognominato Agricola. Se questi marmi stessero
collocati in sei luoghi separati della città, oppure in un
luogo solo allo scopo di adornare qualche monumento stato
eretto in onor suo, come sarebbe un arco, i cui lati pre-
sentassero scolpite le lodi di Glizio Agricola, non è facile
il definire; quantunque alcuni frammenti architettonici,
dissotterrati, ed altri lavori d'ottimo artefice sembrino av-
valorare questa ipotesi e confermare la nostra opinione.
L'elogio che se ne fa con queste epigrafi essendo su tutte
quasi lo stesso, e la differenza non consistendo che nell'or-
dine delle parole, e nella figura
figura e periferia dei marmi,
stiamo contenti a riferirne soltanto due, eccole:

Q. GLITIO. P. F. STE

ATILIO AGRICOLA

II. VII . VIRO. EPVL

cioè: Quinto Glitio Publii filio Stellatina (ex tribu) Atilio Agricolae consuli secundum septumviro Epulonum.

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IMP NERVAE CAES. TRAJAN. Avg. ger. Dacici

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. LEG

PRETORI

DI

cioè: Publii filio Stellatina Agricolue Consuli secundum septumviro Epulonum sodali Augustali Claudiali legato proprio imperatoris Nervae Caesaris Trajani Augusti Germanici Dacici provinciae Pannoniae donato ab eodem bello Dacico donis militaribus corona murali vallari clussica aurea hastis puris quatuor vexillis quatuor legato proprio provinciae Belgicae Divi Nervae legato. Legionis sextae Ferratae legato Hispaniae praelori Divi.

Riuscirà senza dubbio cosa gradita ai nostri leggitori, e singolarmente ai torinesi, che da noi si possa, colla scorta degli anzidetti monumenti, fare un cenno sulla vita di questo nostro inclito concittadino.

Q. Glizio Agricola fu figliuolo di Publio della tribù Stellatina. I nomi del padre e della tribù aggiunti, secondo l'uso dei Romani, a quelli di Glizio ci dimostrano ch'egli era certamente ascritto fra i Romani cittadini, quantunque, il nome Glizio sia anzi celtico, che latino o greco. I provinciali, e gli stranieri, che godevano della romana cittadinanza, erano ascritti a qualche tribù Urbana o Rustica: ed il nostro Glizio fu probabilmente della Stellatina, la quale è frequentemente accennata nei nostri marmi subalpini, come lo è anche la Pollia; si vuole che amendue fossero tribù Rustiche. Non è ben noto donde la Pollia abbia derivato il nome: la Stellatina lo trasse dall'agro Stellate presso porta Capena, e non già da quello che sta nella Campania.

Il nostro Glizio visse sotto tre imperatori Vespasiano, Nerva e Trajano; s'ei già militava sotto Vespasiano, e prima dell'anno 78 dell'era nostra sostenue cariche onorifiche, già doveva essere innoltrato nella giovinezza, e forse in età dai trenta ai quarant'anni. Si distinse quindi in modo luminoso nella milizia, ed ebbe perciò parecchie onorificenze militari nella guerra Dacica combattuta nell'anno 105, perocchè, sempre quando si parla della guerra Dacica di Trajano, vuolsi intendere la seconda, siccome assai più micidiale, e per Trajano assai più gloriosa, avendo egli debellato i Daci e vinto Decebalo loro re, che per disperazione si diè la morte. Glizio morì verso il fine dell'impero di Trajano tra l'anno 60 e 70 dell'età sua. Chi pon mente all'età, ed alle geste di Glizio, non dilungasi dal vero, credendo ch'egli

fosse stato adottato, oppur fatto libero da Giulio Agricola, sebbene non abbia assunto il soprannome di Giulio.

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Le lapidi che ci sono di guida nel parlare di questo illustre Torinese, ricordano il suo secondo consolato: vero è che certuni fanno le meraviglie, perchè in qualche monumento leggasi il nome d'un console, che non s'incontra ne' fasti consolari; ma è vero altresì che da varie iscrizioni e da antiche memorie si può raccogliere un elenco non breve di consoli che nei fasti pubblici non sono rammentati: il perchè non si deve avere alcuna difficoltà di distinguere, come si fece da dotti archeologi, i consoli in tre classi; cioè in Ordinarios, Suffectos ed Honorarios. Il primo, che, dopo di avere ucciso insieme colla repubblica la libertà volle creare questi varii consoli, fu Cesare, seguito in ciò dagli altri imperatori; e li creò allorchè riserbando per se medesimo tutta la possanza dell'impero, e volendo tuttavia conservata un'apparenza di repubblica, chiamò per colleghi nel consolato coloro, che più gli erano devoti e ligii, oltrecchè designava talvolta nello stesso anno parecchi consoli d'onore per poter meglio gratificare gli amici suoi, ai quali commetteva di farne le veci in qualche mese dell'anno. Così nei fasti consolari si notava il nome dell'imperatore, o di quei consoli che alle calende di gennajo esercitavano il loro consolato di quegli altri poi, che solo per qualche mese dell'anno, siccome altrettanti vicarii di Cesare, erano investiti della consolar dignità, non si faceva menzione nei pubblici fasti. Trajano Cesare principalmente, sotto il quale fiorì il nostro Glizio, si valse di un tale spediente. A questo modo, Plinio fu console in settembre dell'anno di Roma 853, nel quale ringraziò Trajano, e fece in onore di lui quella orazione panegirica, la quale diede motivo al celebre Alfieri di farne un'altra piena di quei generosi sentimenti, coi quali, secondo lui, Plinio avrebbe dovuto parlare a quell'imperatore, da cui fu tanto beneficato. Plutarco al dir di Svetonio, fu pur console due volte; e tre volte il fu Silio Italico; nè di questi è fatta alcuna menzione ne' fasti consolari. Così anche il nostro Glizio fu consul secundum; vale a dire per ben due volte insignito dal principe d'onor consolare; e forse esercitava questo suo secondo consolato

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nell'anno, in cui vi furono eretti in Torino questi pubblici monumenti da' suoi concittadini. Dunque il secondo consolato di Glizio vuolsi credere onorario, ed esercitato in Roma, e non già in Torino sua patria, come pensano taluni avvisando che i duumviri nelle colonie usurpassero il nome di console; alla cui opinione non abbiamo motivi per accostarci.

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Glizio, come valentissimo, nell'arte della guerra, capitano due legioni, che dai sopraddetti monumenti sono chiamate Prima Italica, e Sexta Ferrata. Per riguardo a questi e ad altri nomi, che di frequente sono dati alle legioni nelle vetuste lapidi, i critici non vanno, sempre d'accordo, e non pronunziano per lo più senza qualche esitazione; ma si può francamente asserire, che i veri e proprii nomi delle legioni sono sempre stati i seguenti: prima, seconda, terza sino alla 23, o 24, e talvolta anche sino alla 50. I vocaboli poi Italica, Ferrata, ed altri di simil genere sono quasi cognomi imposti alle legioni, o per distinguerle, o per commendarne il valore con qualche preclara denominazione, Questa nostra opinione vien chiarita e confermata da un esempio, che ci offre l'enumerazione delle legioni, che militavano sotto Severo, tratta da Dione Cassio.

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Che Glizio abbia militato per lungo tempo, e siasi molte volte affrontato col nemico, sempre segnalandosi col, suo valore, ne fanno certissima testimonianza quei tanti premii militari, che da lui furono conseguiti: di fatto per aver egli superato il primo le mura del nemico nell'espugnazione di qualche avversa città, meritò la corona murale; per aver difeso gli accampamenti dall'impeto ostile, ebbe la corona vallare; per aver pugnato da forte in un combattimento navale, fu insignito della corona classica; e per essere uscito vincitore in battaglia ottenne la corona aurea; oltrecchè in premii del suo valore ebbe hastas et vexilla. Nell'iscrizione da noi riferita qui sopra si legge la parola puris aggiunta ad hastis, la quale non vuolsi già interpretare, come si fa da taluni, quasi fossero laste senza ferro; ma ben piuttosto aste non ancora usate ne' combattimenti; ed in vero dicevansi pura le armi fabbricate non a mero uso di guerra, ma con maggior maestria adornate, affinchè fossero più testi7 Dizion. Geogr, ec. Vol. XXII.

monii di valore, che istrumenti per combattere; erano insomma, come si direbbe in oggi, spade d'onore: lo stesso dicasi di Vexillis puris.

Nè fu minore la sapienza civile del nostro inclito concittadino; imperciocchè gl'Imperatori si valsero della sua ben rara abilità in molti negozii importanti, affidandogli or questa or quell'altra provincia, se qualcuna ve n'era per gravi pericoli difficile a governare. Così in tempi diversi, fu a capo di tre provincie le une distanti dalle altre. È verosimile, che sotto l'impero di Vespasiano abbia governato la Spagna, sotto quello di Nerva il Belgio, e sotto Trajano la Pannonia, Quest'ultima provincia fu da lui retta con grande sua lode probabilmente nell'ultima guerra Dacica, che si combatteva ne' suoi confini; perocchè la Pannonia comprendeva l'odierna Polonia e l'Ungheria; la Dacia poi comprendeva la Valachia, la Servia, la Bulgaria, la Boemia, ed altre provincie confinanti col regno Ungarico.

Il nostro Glizio ebbe parecchie dignità sommamente onorifiche dalle sopracitate lapidi egli è detto Septumvir Epulonum, Sodalis Augustalis et Claudialis; cioè uno dei settemviri, ai quali era affidato il carico di far preparare i banchetti nei giuochi soliti a celebrarsi ogni anno in onore degli im peratori Augusto e Claudio. Fu Quaestor di Vespasiano, Curator, cioè curatore ed amministratore del danaro necessario pel mantenimento dell'esercito. Propractor dell'imperatore Nerva, cioè, come or si direbbe, luogotenente generale sotto l'imperatore Nerva: Legatus Proprius, quasi supremo comandante dell'esercito a nome di Trajano: fu inoltre Praefectus Urbi et Aedilis Curulis; magistrati assai noti: fu eziandio Legatus della legione prima Italica e della Sesta Ferrata; cioè comandante or di questa, or di quella degione: finalmente Judex fors'anche Secundae Decuriae, come sembrano persuadere le lettere Judic. Se, che vedonsi in uno de' sei indicati marmi.

Non arrecherebbe adunque meraviglia, che ad uomo così grande come vedianro essere stato Glizio, dato si fosse l'onorificentissimo titolo di Romanorum Patronus, come sembra indicare una delle ridette iscrizioni, che termina colla parola Roma. Locchè pare più chiaramente confermato dall'epigrafe

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