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e semplice dottrina del Filalete, parte prima e seconda, pubblicata da un dilettante di buone lettere.

L'anno dopo si stampò in Milano un altro scritto del Ceva col seguente titolo: il Converso del P. Ceva in difesa di alcuni sonetti del detto padre, dialoghi quattro copiati e pubblicati da un accademico Ercino: Nè qui ebbe fine la lite, la quale era occultamente fomentata dal professore di eloquenza Girolamo Tagliazucchi, avverso al Ceva, e valevasi per fomentarla di alcuni de' suoi allievi, e specialmente di Ignazio Somis torinese.

A malgrado degli sforzi fatti dal Quadrio e da Giampietro Zanotti per compor quella lite, gli spiriti si accesero ognora più, e si pubblicarono da ambe le parti parecchi altri opuscoli sullo stesso argomento, fra i quali uno del Ceva: lo Sehiavo solto la sferza... trattenimenti cinque pubblicati da un accademico Disunito di Pisa. Tanto inchiostro si versò, e tanto * tempo si gittò per mordere e difendere pochi sonetti! E sebbene questa disputa anzichè oscurare abbia fatto più chiaro il nome del Ceva, tuttavia non sapremmo dargli lode di essersi implicato in una di quelle cause, che il più delle volte non solo non fruttano alcun vantaggio alle lettere, ma trasfor mano il queto recesso delle Muse in un'arena di gladiatori.

Altre poesie del Ceva furono pubblicate separatamente in parecchie raccolte; tra le quali abbiamo una Corona di sonelli per le nozze di Carlo Emanuele di Savoja e di Elisabetta Teresa di Lorena. Oltre a ciò Ignazio Gajone da Casale di Monferrato diede poi alle stampe in Venezia l'anno 1756 una Scella di canzoni compilata ed accompagnata di varie critiche osservazioni e di una dissertazione intorno ai varii lirici componimenti del P. Teobaldo Ceva. Il manoscritto erane stato regalato dal Ceva al Gajone suo amico.

L'anno 1756 essendosi il Ceva recato a predicare la quaresima in Firenze, il granduca di Toscana volle affidargli una cattedra con abbondante stipendio nello studio di Pisa. Ma egli che non ambiva onori, nè cariche ricusò la generosa offerta, come aveva già fatto in Torino quando gli venne proposta la cattedra di eloquenza italiana. In questo modo, solo occupato ne' suoi diletti studi, visse insino all'anno 1746, in cui morì di quarantanove anni nella città di Che

rasco addì 8 di ottobre. Fu il Ceva facile parlatore, colto nello scrivere ed instancabile nello studio delle lettere sacre e profane. E queste egregie qualità congiunte con un'indole festiva e gioviale, gli procacciarono la stima e l'amore dei grandi e dei letterati, non che de' suoi confratelli, tra i quali lasciò di sè cara ed onorata memoria.

TERRANEO GIAN TOMMASO: questo illustre torinese è degnissimo di essere commendato alla memoria dei posteri, perocchè fu il primo che pigliasse ad illustrare con sana critica, e con finissimo giudizio gli antichi ed oscuri secoli della nostra storia; e tanto è più degno di lode, in quanto che ebbe a combattere assai coll'invidia e più ancora coll'ignoranza e con quella misera passione di occultare, che una volta prevaleva in fatto di biblioteche e di archivi: egli è il rinomatissimo autore dell'Adelaide illustrata ; opera in tre volumi, di cui due furono pubblicati, ed il terzo si conserva inedito nella biblioteca della R. università di Torino.

Celebre nei fasti della medicina, fu come già notammo superiormente il dottore Lorenzo padre del sommo nostro istorico.

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Nel coretto laterale di s. Dalmazzo allo scurolo della Madonna di Loreto dalla parte dell'Evangelio è sepolto Gian Tommaso Terraneo, morto nel 1771. Sulla sua tomba leggesi la seguente iscrizione, che riferiamo tanto più volentieri, in quanto che fu dettata dall'illustre barone Vernazza, il quale se gli dichiara discepolo ed amico.

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JOSEPHVS. VERNAZZA. ALBENS. POMPEIANVS

AMICO ET MAGISTRO

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CARISSIMO P

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ANTON MARIA DURANDO, conte di Villa, nacque il 9

d'agosto del 1760 di Nicolò e Teresa Valperga dei conti di

*

Rivara: figliuolo di padre letterato, e cresciuto in mezzo alla conversazione dei dotti, non lasciava luogo a dubitare che letterato anch'egli e dotto dovesse riuscire a suo tempo. Fu per tre anni convittore della R. accademia dei nobili e quivi si distinse negli esercizi cavallereschi. Entrato quindi nella milizia, salì per i varii gradi a quello di capitano-tenente. In età di ventitre anni sposò Pudenziana Gabriella Fauzone de' conti di Montalto, e l'anno prima concorse con sei amici a fondare una privata società letteraria, che nel suo cominciamento fu accolta in casa il conte Gioanni Felice Sanmartino altro dei fondatori. Infine, giovane di ventisette anni, dopo essere stato travagliato da lunga e crudel malattia, fu innanzi tempo rapito al padre, alla consorte che lasciò senza figliuoli, ed alle lettere il 26 di settembre 1787. E fu tanto più acerba questa perdita, quanto era meno da aspettare. Lo piansero gli amici, ed i suoi colleghi ne celebrarono il nome con poesie latine ed italiane. In lode di lui scrisse e pubblicò un'eloquente e forbita orazione il conte Prospero Balbo. E ben dovuti erano al conte di Villa questi encomi; chè essendo egli mancato a quell'età, in cui gli ingegni sogliono ancora lodarsi per le speranze, già la patria si pregiava di lui per i suoi componimenti che si erano poc'anzi pubblicati. Molte delle sue prose e poesie giaciono inedite, tra le quali alcune in dialetto piemontese. Si hanno alle stampe parecchie sue liriche produzioni nel primo volume degli Ozii letterarii; nel secondo furono inseriti tre suoi canti dell'Amazzone in versi sciolti, imitati dal tedesco di Weisse, e nel terzo due scherzi in forma di odi,

Era il conte Durando di difficile contentatura nel comporre, e mai si stancava di rimare e ripulire i suoi letterarii lavori. Nelle sue poesie mostrò nobiltà di pensare, magnificenza di stile, eleganza di lingua, e sovratulto una felicissima tempra di fantasia, che molto rassomiglia a quella dei greci. Un tal pregio, notato dal predetto conte Prospero Balbo, si ravvisa nel suo vaghissimo quadro d'Amore, che tinge d'ambrosia una bella inferma, sicchè Morte sopravvenendo la crede una dea, e si ritrae dal ferirla. Greca pure è l'enumerazione dei varii effetti di Amore contrapposti alle qualità che comunemente si attribuiscono a quel nume. In

generale poi le sue produzioni poetiche sono affettuose, piene di anima, di movimento e di vita..

Fu ancora il Durando intendente in musica ed in pittura ; e visse caro a chiunque lo conobbe. Uno de' suoi più stretti. amici fu:

LOYA GAETANO, nato in questa città verso il 1755. Applicatosi per compiacere i genitori allo studio delle leggi, ilLoya conservò nondimeno un grande amore per l'amena letteratura. Cosicchè quando per la cagionevole sua salute egli abbandonò il posto di sostituito procuratore del Re, tutto si diede a coltivare le amene lettere, e. specialmente la poesia. Gravi, castigati, e per lo più di sacro argomento. sono i suoi componimenti poetici, dei quali alcuni si stamparono in Nizza nel 1796.

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Nell'occasione delle nozze dell'amico, conte di Villa pubblicò pure una parafrasi dei libri di Giobbe, che non tiene l'ultimo luogo fra le tante versioni che abbiamo di questo, libro. Ma pregevole oltre ogni altra sua scrittura, è il poemetto di Jefte in versi sciolti, stampato in Torino nel 1797, nella raccolta de' poemetti italiani. In esso i pensieri attinti alle sacre carte risplendono di tutta la doro maestà. Vive ne sono le immagini, armonioso il verso, accurato lo stile.

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CARLO BOSSI, nacque il 15 novembre del 1758 dal conte Bossi di sant'Agata. Fu questi uno dei torinesi, i quali, benchè implicati nei civili rivolgimenti, onde fu travagliata Petà dei nostri padri, nondimeno si acquistarono fama coltivando le scienze e l'amena letteratura. Giovane di ventidue anni si addottorò in leggi nella nostra università, e strinse amicizia col Denina, che era in allora direttore degli studii di storia e di belle lettere nell'accademia dei nobili. La famigliarità ed i conforti dell'illustre storico piemontese giovarono maravigliosamente ad accendere nel cuore del Bossi l'amore dello studio; e siccome quegli che aveva sortito fervida immaginativa, si volse principalmente alla poesia. I primi suoi componimenti furono due tragedie, i Circassi e Rea Silvia, stampate in Torino, le quali però non furono coronate di felice successo; o ne fosse cagione la scelta dell'argomento, o l'immatura età dell'autore, ovvero, ciò che è più verosimile, l'animo del poeta non temprato da natura

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per questo genere di scritture. Imperciocchè i generosi pensieri che per entro vi risplendono, e la nobile veste che quasi sempre gli adorna, non bastano a riempiere il difetto dell'orditura e della verità dei caratteri..

E ben se ne avvide il giovane autore, il quale lasciato il coturno appigliossi con miglior consiglio alla fira; ed i poemetti a Giuseppe II imperatore e al pontefice Pio VI da lui pubblicati nel 1781-82 e l'altro in due canti sulla Olanda pacificata, stampato in Londra nel 1788, furono un chiaro saggio del suo valore poetico. In essi apparve l'impronta delle nuove opinioni politiche, che già dominavano in Francia. Quindi è che il Bossi dovette abbandonare la carriera dei pubblici uffizi, per cui erasi messo già da qualche anno. Svanita però di lì a breve tempo la mala impressione cagionata da' suoi versi nell'animo di chi amministrava allora le cose del Piemonte, fu nominato segretario di legazione á Genova, quindi incaricato d'affari presso quella repubblica ed infine segretario di stato nel ministero degli affari esteri. Intanto era giunto l'ottobre del 1792, in cui venne al Bossi affidata una missione presso il Congresso, che dovevasi radunare in Luxemburgo per mettere un termine alla guerra che ardeva tra il re di Prussia e, la repubblica francese. Di là passò a Venezia in qualità di ministro residente; ma per le mutazioni avvenute in quella repubblica, egli dovette poco di poi ricondursi a Torino. Breve fu il soggiorno del Bossi in patria; perchè nominato dal Re suo deputato presso il generale in capo delle armi francesi in Italia, fu dopo la conchiusione del trattato di Campoformio eletto ministro residente presso la repubblica batava. Egli era all'Aja, quando venuto il Piemonte nella signoria di Francia, invitato dal suo amico il generale Joubert a ritornare in patria per cooperare allo stabilimento di un nuovo ordine di cose, che provvisoriamente doveva reggere il Piemonte; ed alloraquando le genti francesi furono costrette a cedere il campo all'esercito dei collegati, il Bossi passato a Parigi vi stette fintantochè il maggior generale Berthier reduce in Italia lo nominò ministro plenipotenziario presso la repubblica di Genova. E poco stante il generale Bonaparte richiamatolo a Torino, volle che insieme con Carlo Botta e 61 Dizion. Geogr. ec. Vol. XXII.

fu

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