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cav. del supremo ordine della Nunziata. I conte Prospero Balbo mancò ai vivi nel 1837. L'illustre cav. Luigi Cibrario, amico di S E. il conte Prospero Balbo, e discepolo di lui negli studi storici, politici e di finanze ne diede accurate notizie biografiche che si puonno leggere nella Gazzetta piemontese N. 70 ann. 1837.

DIODATA SALUZZO ROERO di Revello: s'egli è vero che alcuni ne parlarono con lodi sperticate, è vero altresì che altri la fecero scopo di troppo acerbe e forse ingiuste censure. Noi riferiamo ciò che di questa illustre gentildonna torinese dice il dotto cav. Vallauri, perchè sostanzialmente ci sembra conforme alla giustizia ed al vero, tanto più che egli corrobora i suoi detti, come vedremo, coll'autorità di sommi uomini, quali sono il Denina, il Parini ed il Monti.

Ella nacque in questa città il 31 di luglio del 1774 da una delle più illustri famiglie italiane. Suo padre fu il conte Angelo Saluzzo di Monesiglio, uno dei fondatori della R. accademia delle scienze di Torino, e sua madre la contessa Girolama Caissotti di Casalgrasso. Il cielo aveva creato la contessa Diodata per la poesia; quindi non tardò a farsi ammirare fin dalla più verde età, prorompendo a poetare d'improvviso. Ed a questa ornatissima fanciulla accennava il Denina, allorchè discorrendo i progressi della poesia in Piemonte sul cadere del passato secolo, scriveva : « e quello che dimostra come il natural genio della nazione si spieghi pur anche in questa parte, alla quale il Baretti piemontese la giudicava poco meno che inetta, è l'intendere, che una nobile damigella in età appena nubile già si avanzi a gran passi al grado di Vittoria Colonna, di Veronica Gambara e della vivente e brillante contessa Suardi Grismondi bergamasca ». E quanto fossero meritate le lodi che le tributava lo storico piemontese, ella ben lo dimostrò quando all'età di soli diciott'anni concorse coi più valorosi scrittori della nostra contrada a spargere alcuni fiori poetici sulla tomba della contessa Enrichetta Balbo. Due anni dipoi, già aggregata all'arcadia di Roma, stampava un Saggio de' suoi versi lirici, i quali confermarono l'universale opinione che erasi concepita del suo valore poetico, e furono stampate in Torino, e ristampate in Pisa: oltre il Fantoni ed il Caluso,

l'illustre Parini non punto largo nel lodare altrui, ne parlava nella seguente sentenza: « disposizioni naturali, educazione, studi, fantasia, sensività, ingenuità, delicatezza, nobiltà d'animo, novità conseguente di concetti ed immagini, tutto ciò che non s'acquista se non con lungo tempo ed assidua contemplazione de' grandi esemplari, cioè facoltà e dominio di locuzione, di stile, di verso e di metro, sono doti singolari, che tutte insieme ho riconosciute nella copiosa raccolta di poesie composte da V. E. ».

La crescente celebrità della contessa Diodata le valse poco stante l'onore di essere chiamata a sedere tra i membri della torinese accademia delle scienze, le cui tornate ella sovente rallegrò col dolce suono de' suoi versi tutti spiranti nobili e generosi affetti: e tra questi vuolsi rammentare l'ode che ella scrisse per la pubblica adunanza del 3 d'ottobre del 1835, che fu onorata dalla presenza del re Carlo Alberto.

Rimasta vedova del conte Massimiliano Roero di Revello nella fiorente età di anni vent'otto, e perduto non molto dappoi il padre, rivolse tutti i suoi affetti alla genitrice, ai fratelli ed ai cari studi della poesia: e frutto di questi furono quattro volumi di rime, ch'ella pubblicò in Torino l'anno 1816, nelle quali i pensieri, quando teneri e gentili, quando robusti e generosi, e sempre improntati del suggello della religione o della patria carità, ovvero dei più puri e santi affetti dell'amicizia, rivelano un animo nobile e temprato naturalmente al bello. E fra queste è notabile per altezza di concetti la canzone, che scrisse l'anno 1803, nel solenne quinquagenario pel miracolo del SS. Sacramento.

Un vanto che nessuna per avventura` delle antiche e moderne poetesse d'Italia può dividere colla Diodata è quello di aver condotto a fine l'Ipazia, poema in venti canti in terza rima, la cui azione succede nel cominciamento del secolo v a' tempi che Onorio e Teodosio signoreggiavano il diviso imperio romano, il primo nell'occidente, il secondo nell'oriente. Fiorivano allora in Alessandria d'Egitto le varie sette filosofiche; i capi di esse sono i personaggi principali del poema, operanti ora nella predetta città di Alessandria, ed ora nell'antica selva, in cui sorgeva il tempio d'Iside e di Osiride. Personaggio principalissimo è Ipazia, casta ver

gine cristiana, amante d'lsidoro, ultimo rampollo de' Tolomei, la quale in mezzo ai tumulti delle guerre cittadine, muore vittima d'un impuro ministro e sacerdote d'Osiride. La contessa Diodata, valendosi della libertà conceduta ai poeti, seppe all'uopo dilungarsi dalla storia, ed innestare nel suo poema que' trovati che tanto giovano alla varietà, e ne accrescono maravigliosamente lo splendore. È bello il vedere, come ella abbia ornato di acconcia veste poetica un'opera ripiena di moltiplice erudizione e di profonda filosofia. E là principalmente si dimostra il valore dell'egregia poetessa, dove dipinge i varii affetti che agitano il cuore della magnanima vergine cristiana. A palesare il pregio di questo poema valga la seguente lettera del Monti, donde appare in quale concetto fosse tenuta la nostra gentildonna da quel sommo luminare d'Italia. « Cerco e non trovo parole sufficienti a ringraziarla del prezioso dono, che ella mi ha fatto dell'Ipazia. Questo poema è un bello e nuovo alloro alla sua chioma, e mostra che ormai non è genere di poesia, in cui ella non sia degna dei più alti scanni. Io per l'antica ammirazione, in cui ho sempre tenuto il suo poetico valore, me ne congratulo primieramente con lei, poi con l'Italia, di cui ella veramente è grande decoro, e mi reputo fortunato di essere da lei posto nel numero di quelli, che ella onora di sua benevolenza ed amicizia. Il colpo apopletico, che mi ha percosso quasi affatto l'uso della penna, mi ha lasciato ancor vivo il cuore, e da questo la prego di credere uscita la protesta, con cui mi rassegno suo devotissimo ed obbligatissimo servo ed amico ».

Agli studi della filosofia aggiunse la contessa Diodata eziandio quelli della storia, e ne abbiamo un argomento nelle sue novelle, che le riuscirono sfavillanti di fantasia e di affetto. E se ella non avesse condannato alle fiamme alcune commedie, che conservava inedite, noi avremmo ammirato in esse, come nelle sue tragedie Erminia e Tullia, molta naturalezza nella pittura dei caratteri congiunta a nobiltà di sentire. Le principali prerogative del suo poetare, sembra che consistono nella scelta di nobili temi, nella espressione di alti e generosi concetti, e nella effusione spontanea di un tenero cuore.

Ma se le sue scritture, che abbiamo a stampa, le meritarono il nome di una delle più illustri donne d'Italia, la bontà dell'animo suo ed il candore de' suoi costumi, che gli conciliarono vivendo il rispetto e l'amore di quanti ebbero ventura di conoscerla, renderanno sempre cara e riverita la sua memoria. « E veramente, scrive l'ingegnosa contessa Ottavia Masino di Mombello, le auree doti dell'animo suo pareggiavano l'ingegno, e lo superavano forse di quanto la bontà del cuore, massimamente in donna, supera qualunque siasi l'altezza dell'intelletto; se non che in essa parmi palesarsi vero il detto non di frequente applicabile della Staël, cioè che la superiorità dello spirito rende indulgente, come il profondo sentire ingenera una grande bontà ».

Ma queste sue virtù risplendettero principalmente negli estremi della sua vita, in cui invano ella cercò in alcuni viaggi fatti per l'Italia un conforto ai malori, che andavano logorando la sua malferma salute, e che diedero occasione di mostrare una maschia fortezza nel sopportarli. Non è quindi meraviglia se la sua morte avvenuta il 24 di gennajo del 1840 destò un compianto universale, e se chiari ingegni d'Italia uomini e donne si levarono a gara per palesare con prose e con versi il loro dolore; e fra questi nomineremo il cav. Cibrario, l'avv. Comino, il cav. Paravia, Defendente Sacchi, il conte Coriolano di Bagnolo, la Orfei, la contessa Portula del Carretto, la predetta Ottavia Masino di Mombello, ed un'altra illustre gentildonna torinese, di cui ci accingiamo a fare parola.

JOANNINI METILDE, emula di Diodata-Roero di Saluzzo, fece anch'ella risuonare degli armoniosi suoi canti le rive del Po e della Dora. Pubblicò un volume de' suoi canti, che furono dedicati alla maestà del re Carlo Alberto, il quale le significò il suo gradimento con un bel donativo. La Joannini, di nobile ed antica famiglia, era versatissima eziandio nella lingua inglese, e potea perciò gustare quella letteratura: parlava quella lingua con molta facilità; e tentò qualche volta non infelicemente di scriverla poetando: fu gentildonna di alto sentire, e fornita delle più belle doti cristiane. Il prof. Gioan Remigio Pelleri nella sua Estetica dell'adolescenza così si esprime parlando di Metilde Joannini:

<< benchè nata di nobile ed antica famiglia, e figliuola di primo presidente, onore e decoro della nostra magistratura, pure non dimenticossi che lo studio vale assai più che non le ricchezze; sapendo che, se queste arrecano ossequio, lo studio procaccia e stima ed affezione universale; epperciò non badando nè a spese, nè a fatiche per adornare la mente cogli studi ed il cuore colle virtù, meritò di essere annoverata fra le nostre migliori autrici. Nè questo ardente amore allo studio, a cui dedicava il più della notte, e che certo le accelerò il fine de' suoi giorni, le fece porre in non cale i doveri del sangue, ed i doveri sociali, mentre fu amabile, gentile cogli stranieri, benefica coi miseri, saggia figliuola, amorevole sorella, affettuosa amica e dolcissima zia dei figliuoli del fratello Cesare, a cui fu carissima, perchè a lui consigliera, maestra e guida ».

Ella ebbe relazioni colla contessa Diodata Saluzzo, con Agata Sassernò, con Eufrosina Portula del Carretto, colla Rossi, colla Bianca Milesi Mojon, e con Adele Curti; e con queste letterate aveva dolcissimo carteggio, ora in prosa ed ora in versi, onde si animavano a stringere più dolci i vincoli di amicizia, ed a rendere più forti i sentimenti di patria. Queste poetesse ne piansero amaramente la morte avvenuta in Ivrea (1844), e cinsero il suo avello di poetici fiori.

Torinesi che si distinsero con letterarie produzioni o di patria storia, o di filologia, o di arte drammatica, o di altri generi di letteratura italiana.

S. E. il conte ALESSANDRO DI SALUZZO. Questo personaggio non aveva mai dato alcun pubblico indizio di essersi applicato seriamente allo studio delle lettere, e della nostra storia, quando nel 1818 venne alla luce in Torino un'opera in più volumi, sul cui frontispizio si legge: Histoire militaire du Piémont par le comte Alexandre de Saluces, colonel commandant la légion royale légère, commandant général du cordon. Ouvrage couronné par l'Académie royale des sciences. Turin 1818. Chez Pierre Joseph Pic libraire sous les arcades de la place Cha

teau.

Da quell'epoca in poi più non venne alla luce alcun lavoro letterario del conte Saluzzo. Alla sua morte, avvenuta

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