Immagini della pagina
PDF
ePub

15

16

Pur guardia esser non può, che in tutto celi
Beltà degna che appaja e che si ammiri:
Ne tu il consenti, Amor; ma la riveli
D'un giovinetto ai cupidi desiri.

Amor, che or cieco or Argo, ora ne veli
Di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri;
Tu per mille custodie entro ai più casti
Verginei alberghi il guardo altrui portasti.

Colei Sofronia, Olindo egli si appella,
D'una cittade entrambi, e d' una fede.
Ei, che modesto è sì, come essa è bella,
Brama assai, poco spera, e nulla chiede;
Nè sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella
O lo sprezza, o nol vede, o non si avvede.
Così finora il misero ha servito

O non visto, o mal noto, o mal gradito.

17 Si ode l'annunzio intanto, e che si appresta
Miserabile strage al popol loro.

18

19

A lei, che generosa è quanto onesta,
Viene in pensier come salvar costoro.
Move fortezza il gran pensier; l'arresta
Poi la vergogna, e il virginal decoro.
Vince fortezza, anzi si accorda, e face,
Sè vergognosa, e la vergogna audace.

La vergine tra il vulgo uscì soletta,
Non copri sue bellezze e non l'espose;
Raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,
Con ischive maniere e generose.

Non sai ben dir se adorna, o se negletta,
Se caso od arte il bel volto compose;

Di natura, d'amor, de' cieli amici

Le negligenze sue sono artifici.

Mirata da ciascun passa e non mira
L'altera donna, e innanzi al re sen viene;

15, 5. ARGO: custode di Io; cfr. Ovid. Metam. I, 568-747. 16, 1. SOFRONIA: si racconta che pochi anni prima della presa di Gerusalemme fosse di notte gettato in una moschea il carname di un cane. I Musulmanni incalporano di tale sacrilegio i Cristiani e minacciarono di trucidarli. Accusando sè stesso innocentemente un magnanimo giovane si sacrificò per salvare i suoi correligionari. Cfr. Gugl. di Tiro lib. I. - 6. AVVEDE: Petr. In vita, Son. CLVI, 13:

O s' infinge o non cura o non s' accorge.

8. NON VISTO: risponde a nol vede; MAL NOTO a non si avvede; MAL GRADITO a lo sprezza.

17, 8.

AUDACE: Galil.: „Audacia è vizio, ardire è virtù; cfr. VI, 55.“

Nè, perchè irato il veggia, il piè ritira,
Ma il fero aspetto intrepida sostiene.
Vengo, signor", gli disse,,,(e intanto l'ira
Prego sospenda, e il tuo popolo affrene),
Vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
Quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso."“
20 All' onesta baldanza, all' improvviso
Folgorar di bellezze altere e sante,
Quasi confuso il re, quasi conquiso,
Frenò lo sdegno e placò il fier sembiante.
S' egli era d' alma, o se costei di viso
Severa manco, ei diveníane amante;
Ma ritrosa beltà ritroso core

21

Non prende, e sono i vezzi esca d'amore.

Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto,
Se amor non fu, che mosse il cor villano.
,,Narra", ei le dice,,,il tutto: ecco io commetto,
Che non si offenda il popol tuo cristiano."
Ed ella:,,Il reo si trova al tuo cospetto;
Opra è il furto, signor, di questa mano:
lo l'immagine tolsi; io son colei,
Che tu ricerchi, e me punir tu dei."

22 Così al pubblico fato il capo altero
Offerse, e il volse in sè sola raccorre.
Magnanima menzogna! or quando è il vero
Sì bello, che si possa a te preporre?
Riman sospeso, e non si tosto il fero
Tiranno all' ira, come suol, trascorre.
Poi la richiede:,,Io vo' che tu mi scopra,
Chi diè consiglio, e chi fu insieme all' opra."

23

„Non volsi far della mia gloria altrui

Nè pur minima parte", ella gli dice,

[ocr errors]

Sol di me stessa io consapevol fui,

Sol consigliera, e sola esecutrice."

,,Dunque in te sola", ripigliò colui,

[ocr errors]

Caderà l'ira mia vendicatrice."

Disse ella:,,È giusto; esser a me conviene,
Se fui sola all' onor, sola alle pene."

20, 3.

CONQUISO: Vinto; cfr. Dante Purg. XXIII, Blanditia non imperio fit dulcis Venus. Cn. Mat.

21, 3. 22, 3.

[merged small][ocr errors][merged small]

EI LE DICE: MCOCrCm ecc. EI LE DISSE: V. LE DISSE: B. MAGNANIMA: cfr. Horat. Od. lib. III, XI, 33 e seg. 8. CHI gli istigatori e i complici.

24

25

26

27

[ocr errors]

Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
Poi le dimanda: Ove hai l'imago ascosa?"
,Non la nascosi", a lui risponde,,, io l' arsi;
E l'arderla stimai laudabil cosa.

Così almen non potrà più violarsi

Per man di miscredenti ingiuriosa.

Signore, o chiedi il furto, o il ladro chiedi:
Quel nol vedrai in eterno, e questo il vedi.“

وو

Benchè nè furto è il mio, nè ladra io sono;
Giusto è ritor ciò che a gran torto è tolto."
Or questo udendo, in minaccevol suono
Freme il tiranno; e il fren dell'ira è sciolto.
Non speri più di ritrovar perdono

Cor pudico, alta mente, o nobil volto:
E indarno Amor contra lo sdegno crudo
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.

Presa è la bella donna, e incrudelito

Il re la danna entro un incendio a morte.
Già il velo e il casto manto è a lei rapito;
Stringon le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace: e in lei non sbigottito,
Ma pur commosso alquanto è il petto forte;
E smarrisce il bel volto in un colore,
Che non è pallidezza, ma candore.

Divulgossi il gran caso, e quivi tratto
Già il popol si era: Olindo anco vi accorse;
Chè, dubbia la persona, e certo il fatto,
Venía, che fosse la sua donna, in forse.
Come la bella prigioniera in atto

Non pur di rea, ma di dannata ei scorse,
Come i ministri al duro uficio intenti
Vide, precipitoso urtò le genti,

24, 8. QUEL NOL: 2 Codd. VMCO ecc. QUEL NON: 1 Cod. BCr Cm ecc.

27, 3. DUBBIA: sottintendi essendo. Il fatto, che una donzella si fosse magnanimamente accusata, era certo; dubbia ancora la persona della donzella. Quindi Olindo veniva in forse, cioè dubitando che la donzella fosse appunto Sofronia. VB ecc. leggono:

Dubbia era la persona, e certo il fatto;
Venia, che fosse la sua donna, in forse.

Da principio il Porta aveva scritto:

Dubbia era la persona, e certo il fatto;
Tal ch' ei venia della sua donna in forse.

Galil.: ,, Non sapendo trovar la continuazione tra questi due versi, direi per manco male:

Ond' ei venia della sua donna in forse.

28 Al re gridò: „,,Non è, non è già rea
Costei del furto, e per follia sen vanta.
Non pensò, non ardì, nè far potea
Donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi? e della Dea
Con quali arti involò l' imagin santa?
Se il fece, il narri. Io l' ho, signor, furata."
(Ahi! tanto amò la non amante amata.)

29

30

31

32

Soggiunse poscia: „Io là, donde riceve
L'alta vostra meschita e l'aura e il die,
Di notte ascesi, e trapassai per breve
Foro, tentando inaccessibil vie.

A me l'onor, la morte a me si deve;
Non usurpi costei le pene mie:

Mie son quelle catene, e per me questa
Fiamma si accende, e il rogo a me si appresta."

Alza Sofronia il viso, e umanamente
Con occhi di pietade in lui rimira:

A che ne vieni, o misero innocente?
Qual consiglio o furor ti guida o tira?
Non son io dunque senza te possente
A sostener ciò che d' un uom può l'ira?
Ho petto anch' io, che ad una morte crede
Di bastar solo, e compagnia non chiede.“

Così parla all' amante, e nol dispone
Sì ch' egli si disdica e pensier mute.
Oh, spettacolo grande, ove a tenzone
Sono amore e magnanima virtute!
Ove la morte al vincitor si pone

In premio; e il mal del vinto è la salute!
Ma più s' irrita il re, quant' ella ed esso
È più costante in incolpar sè stesso.

Pargli che vilipeso egli ne resti;
E che in disprezzo suo sprezzin le pene.
„Credasi“, dice,,,ad ambo; e quella e questi
Vinca, e la palma sia qual si conviene."
Indi accenna ai sergenti, i quai son presti
A legar il garzon di lor catene.

Sono ambo stretti al palo stesso, e vôlto
È il tergo al tergo, e il volto ascoso al volto.

28, 1. GRIDÒ: cfr. Virg. Aen. IX, 423-428.

31, 4. AMORE: per parte di Olindo, VIRTUTE per parte di Sofronia. 32, 7. STRETTI: cfr. Bocacc. Decam. G. V. Nov. 6: Comandò che fosser legati ad un palo colle reni l' uno all' altro volto, e appresso fos

333

34

35

36

37

sero arsi

Composto è lor d'intorno il rogo omai,
E già le fiamme il mantice v' incita:
Quando il fanciullo in dolorosi lai
Proruppe, e disse a lei ch'è seco unita:
,,Questo dunque è quel laccio, ond' io sperai
Teco accoppiarmi in compagnia di vita?
Questo è quel foco ch' io credea che i cori
Ne dovesse infiammar d' eguali ardori?

Altre fiamme, altri nodi Amor promise:
Altri ce n' apparecchia iniqua sorte.
Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise,
Ma duramente or ne congiunge in morte.
Piacemi almen, poichè in sì strane guise
Morir pur dei, del rogo esser consorte,
Se del letto non fui: duolmi il tuo fato,
Il mio non già, poich' io ti moro a lato.
Ed oh mia sorte avventurosa appieno!
Oh fortunati miei dolci martiri!

Se impetrerò che giunto seno a seno
L'anima mia nella tua bocca io spiri;
E, venendo tu meco a un tempo meno,
In me fuor mandi gli ultimi sospiri."
Così dice piangendo: ella il ripiglia
Soavemente, e in tai detti il consiglia:

,,Amico, altri pensieri, altri lamenti
Per più alta cagione il tempo chiede.
Chè non pensi a tue colpe, e non rammenti
Qual Dio prometta ai buoni ampia mercede?
Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti,
E lieto aspira alla superna sede.

Mira il ciel come è bello, e mira il sole,
Che a sè par che ne inviti, e ne console."

Qui il vulgo de' Pagani il pianto estolle:
Piange il Fedel, ma in voci assai più basse.
Un non so che d' inusitato e molle

Par che nel duro petto al re trapasse.

... Furono legati ad un palo nella piazza, e davanti agli occhi loro fu la stipa e il fuoco apparecchiato ecc." Vedi anche per le stanze seguenti la stessa novella.

36, 7. MIRA: cfr. Dante Purg. XIV, 148 e segg. XVII. St. 3, v. 12 e seg.:

37, 1.

Petr. In vita, Canz.

Or ti solleva a più beata spene,
Mirando il ciel, che ti si volve intorno
Immortale ed adorno.

IL VOLGO: cfr. Ovid. Metam. XIII, 474 e seg.

« IndietroContinua »