Chè più facil saría svolgere il corso Presso Cariddi alla volubile onda,
O tardar Borea allor che scuote il dorso Dell' Appennino, e i legni in mare affonda. Gli ordina, gl' incammina, e in suon li regge Rapido sì, ma rapido con legge.
Ali ha ciascuno al core ed ali al piede: Nè del suo ratto andar però si accorge. Ma, quando il sol gli aridi campi fiede Con raggi assai ferventi, e in alto sorge, Ecco apparir Gerusalem si vede, Ecco additar Gerusalem si scorge: Ecco da mille voci unitamente Gerusalemme salutar si sente.
4 Così di naviganti audace stuolo, Che mova a ricercar estranio lido, E in mar dubbioso e sotto ignoto polo Provi le onde fallaci, e il vento infido, Se alfin discopre il desiato suolo,
Il saluta da lunge in liedo grido:
E l' uno all' altro il mostra, e intanto obblía La noja e il mal della passata via.
5 Al gran piacer che quella prima vista Dolcemente spirò nell' altrui petto, Alta contrizion successe, mista Di timoroso e riverente affetto. Osano appena d' innalzar la vista Vêr la città, di Cristo albergo eletto; Dove morì, dove sepolto fue, Dove poi rivestì le membra sue.
Sommessi accenti e tacite parole,
Rotti singulti e flebili sospiri
Della gente che in un si allegra e duole,
Fan che per l'aria un mormorio si aggiri,
CARIDDI: cfr. Dante Inf. VII, 22 e seg.
2, 4. 7. SUON: W.: Pud esser ordine ed armonia, o piuttosto comando." Meglio:,, Li regge colla voce."
3, 5. APPARIR: cfr. Virg. Aen. III, 521–524. 4, 6. IL SALUTA: 2 Codd. VMCOCrCm ecc. LO SALUTA: BW ecc. 7. OBBLIA: Petr. In Vita, Canz. IV, 1, 10. 11:,,Obblia della passata via."
Riverenza e pietate insieme è mista, Come si mesce l' un con l'altro affetto. SOMMESSI: cfr. Dante, Inf. III, 22. 23.
Qual nelle folte selve udir si suole, Se avvien che tra le frondi il vento spiri: O quale infra gli scogli o presso ai lidi Sibila il mar percosso in rauchi stridi.
Nudo ciascuno il piè calca il sentiero; Chè l' esempio de' duci ogni altro move. Serico fregio o d' ôr, piuma o cimiero Superbo, dal suo capo ognun rimove; Ed insieme del cor l'abito altero Depone, e calde e pie lagrime piove. Pur, quasi al pianto abbia la via rinchiusa, Così parlando ognun sè stesso accusa:
8 ,,Dunque ove tu, Signor, di mille rivi Sanguinosi il terren lasciasti asperso, D'amaro pianto almen duo fonti vivi In sì acerba memoria oggi io non verso? Agghiacciato mio cor, chè non derivi Per gli occhi, e stilli in lagrime converso? Duro mio cor, chè non ti spetri e frangi? Pianger ben merti ognor, se ora non piangi."
Dalla cittade intanto un che alla guarda Sta d'alta torre, e scopre i monti e i campi, Colà giuso la polve alzarsi guarda,
Sì che par che gran nube in aria stampi: Par che baleni quella nube ed arda, Come di fiamme gravida e di lampi: Poi lo splendor de' lucidi metalli
Distingue, e scerne gli uomini e i cavalli.
Allor gridava: „Oh qual per l'aria stesa Polvere i' veggio! oh come par che splenda! Su, suso, o cittadini, alla difesa
S'armi ciascun veloce, e i muri ascenda
6, 5. QUAL: cfr. Virg. Georg. IV, 260–263.
7, 3. O D' OR: 1 Cod. VBCOWCrCm ecc. Al. E D' OR; la M.: SERICO FREGIO, E D' OR PIUMA ecc. Piume d' oro?
SANGUINOSI: 2 Codd. MCOWCrCm ecc.
8, 2. SANGUINOso: 1 Cod. VB ecc. Da prima il Poeta aveva scritto: Dunque ove tu di sanguinosi rivi Il terreno, o Signor, lasciasti asperso.
9, 1. GUARDA: guardia. 5. NUBE: cfr. Virg. Aen. VIII, 622 e seg. 8. DISTINGUE E SCERNE: 2 Codd. MCOCm ecc. SCERNE E DISTINGUE: VB WCr ecc. Avrà potuto distinguere lo splendore dei lucidi metalli PRIMA che potesse discernere gli uomini e i cavalli.
10, 1. GRIDAVA: cfr. Virg. Aen. IX, 32-37. del Talacimanno è troppo lungo e troppo poetico.
Già presente è il nemico." E poi ripresa La voce:,,Ognun si affretti e l'arme prenda: Ecco il nemico; è qui: mira la polve
Che sotto orrida nebbia il cielo involve."
I semplici fanciulli e i vecchi inermi, E il vulgo delle donne sbigottite, Che non sanno ferir, nè fare schermi, Traean supplici e mesti alle meschite. Gli altri di membra e di animo più fermi Già frettolosi l'arme avean rapite. Accorre altri alle porte, altri alle mura: Il re va intorno, e il tutto vede e cura.
Gli ordini diede, e poscia ei si ritrasse Ove sorge una torre infra due porte; Sì ch'è presso al bisogno; e son più basse Quindi le piagge, e le montagne scorte. Volle che quivi seco Erminia andasse: Erminia bella, ch' ei raccolse in corte, Poi che a lei fu dalle cristiane squadre Presa Antiochia, e morto il re suo padre.
Clorinda intanto incontra ai Franchi è gita: Molti van seco, ed ella a tutti è avante. Ma in altra parte, ond' è secreta uscita, Sta preparato alle riscosse Argante. La generosa i suoi seguaci incita Co' detti, e con l' intrepido sembiante: Ben con alto principio a noi conviene“, Dicea,,, fondar dell' Asia oggi la spene."
Mentre ragiona a' suoi, non lunge scôrse Un Franco stuolo addur rustiche prede, Che, come è l' uso, a depredar precorse; Or con gregge ed armenti al campo riede. Ella vêr loro, e verso lei sen corse Il duce lor, che a sè venir la vede: Gardo il duce è nomato, uom di gran possa, Ma non già tal che a lei resister possa.
Gardo a quel fero scontro è spinto a terra In su gli occhi de' Franchi e de' Pagani,
11, 1. INERMI: cf. Virg. Aen. XII, 131–133. 7. PORTE: cfr. Virg. Aen. IX, 37. 38.
12, 5. ERMINIA: Acciano, Emiro d' Antiochia (il Cassano del Tasso) aveva realmente una figlia; ma l' Erminia del Tasso non è che una invenzione poetica. In Omero, Il. III, Elena dalla torre indica a Priamo i principali guerrieri del campo greco. Passo imitato quì dal Tasso.
Che allor tutti gridâr, di quella guerra Lieti augurj prendendo, i quai fur vani. Spronando addosso agli altri ella si serra, E val la destra sua per cento mani: Seguîrla i suoi guerrier per quella strada Che spianâr gli urti, e che si aprì la spada.
Tosto la preda al predator ritoglie; Cede lo stuol de' Franchi a poco a poco; Tanto che in cima a un colle ei si raccoglie, Ove ajutate son l'arme dal loco.
Allor, siccome turbine si scioglie, E cade dalle nubi aereo foco,
Il buon Tancredi, a cui Goffredo accenna, Sua squadra mosse, ed arrestò l'antenna.
Porta si salda la gran lancia, e in guisa Vien feroce e leggiadro il giovinetto, Che veggendolo d' alto il re, si avvisa Che sia guerriero infra gli scelti eletto: Onde dice a colei ch'è seco assisa, E che già sente palpitarsi il petto: Ben conoscer dèi tu per sì lungo uso Ögni Cristian, benchè nell' arme chiuso.
Chi è dunque costui che così bene
Si adatta in giostra, e fero in vista è tanto?" A quella, in vece di risposta, viene
Sulle labbra un sospir, su gli occhi il pianto: Pur gli spirti e le lagrime ritiene,
Ma non così, che lor non mostri alquanto: Chè gli occhi pregni un bel purpureo giro Tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro.
Poi gli dice infingevole, e nasconde Sotto il manto dell'odio altro desio:
Oimè! bene il conosco, ed ho ben donde Fra mille riconoscerlo deggia io:
Chè spesso il vidi i campi e le profonde Fosse del sangue empir del popol mio. Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga,
Ch' ei faccia, erba non giova od arte maga."
16, 5. SICCOME: cfr. Dante Purg. XXXII, 109 e segg.
18, 7. PURPUREO GIRO: Bocc. Filoc. IV: Gli cui occhi avevano, per lo molto piangere, intorno a sè un purpureo giro." Dante Vita Nuova 40: ,,E spesso avvenia che per lo lungo continuare del pianto, dintorno loro si facea un colore purpureo, quale apparir suole per alcun martire ch' altri riceva."
19, 8. ARTE: Val. Flac. Argon. VI, 275-76: Vulnus referens, quod carmine nullo Sustineat, nullisque levet Medea venenis.
20 ,, Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero Mio fosse un giorno! e nol vorrei già morto: Vivo il vorrei, perchè in me desse al fero Desio dolce vendetta alcun conforto." Così parlava; e de' suoi detti il vero Da chi l' udiva in altro senso è torto;
E fuor n' uscì con le sue voci estreme Misto un sospir, che indarno ella già preme.
Clorinda intanto ad incontrar l'assalto Va di Tancredi, e pon la lancia in resta. Ferirsi alle visiere, e i tronchi in alto Volaro; e parte nuda ella ne resta: Chè rotti i lacci all' elmo suo, d' un salto (Mirabil colpo!) ei le balzò di testa: E, le chiome dorate al vento sparse, Giovane donna in mezzo 'l campo apparse.
Lampeggiâr gli occhi, e folgorâr gli sguardi Dolci nell' ira; or che sarían nel riso? Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi? Non riconosci tu l'amato viso?
Questo è pur quel bel volto, onde tutto ardi: Tuo core il dica, ov' è il suo esempio inciso: Questa è colei che rinfrescar la fronte Vedesti già nel solitario fonte.
Ei, che al cimiero, ed al dipinto scudo Non badò prima, or lei veggendo, impetra: Ella, quanto può meglio, il capo ignudo Si ricopre, e l'assale; ed ei si arretra. Va contra gli altri, e rota il ferro crudo; Ma però da lei pace non impetra, Che minacciosa il segue, e,,Volgi", grida: E di due morti in un punto lo sfida.
Percosso il cavalier non ripercote; Nè sì dal ferro a riguardarsi attende,
Perch' egli fosse al mio si grave scorno Dolce vendetta, o pur dolce conforto. ESEMPIO: imagine. 7. COLEI: cfr. I, 46 e segg.
Ei che alla fera ed al disteso artiglio Non la conobbe, or, lei veggendo impetra; Ella fa del suo scudo in quel periglio Sua difesa e l'assale; ed ei si arretra, E fa negli altri il ferro allor vermiglio, Nè da lei pace, per ritrarsi, impetra.
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