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crede (stando al dettato del Codice Albertino delle Lettere di Pier delle Vigne) che nel 1253 lo Studio di Napoli fosse traslocato a Salerno, e che per volere poi di Manfredi fosse di nuovo ristabilito in Napoli. Ad ottenere la facoltà di esercitare le professioni o le cariche governative, non era però sufficiente il titolo accademico dello Studio napoletano; ma occorreva un esame speciale da darsi alla presenza, non già della corporazione della respettiva arte, ma di ufficiali governativi. Ed infatti, negli atti del regno di Carlo d'Angiò si trova, che dal 1274 al 1283 Francesco di Telese, professore di Diritto civile, per ottenere licenza di esercitare pubblici uffici nel regno di Sicilia ed in qualunque altro luogo, ne fece domanda al reggente dello Studio di Napoli, che gl' impose, come condizione, di sottoporsi all'esame. E quest'esame egli ebbe, insieme con altri dottori di giurisprudenza, dal celebre professore di leggi Guido da Subiaca, dai Giudici della Gran Corte e dai savi del Consiglio del Re.

Mentre fiorivano in Italia gli Studi di Salerno, di Napoli e di Bologna, Bonifazio VIII istituiva nel 1303 uno Studio in Roma, col privilegio del fôro, tanto per i maestri quanto per gli studenti ; lasciando facoltà a questi ultimi di eleggersi il rettore, a cui poi era rilasciata la nomina dei professori. Stabiliva pure, che gli assegni necessari per mantenerlo dovessero ricavarsi dalla gabella del vino, e dal contributo che doveva pagare la città di Tivoli. Ma non aveva ancora avuto tempo di sorgere cotesta scuola, che avvennero i gravi fatti onde chiudevasi il pontificato di Bonifazio; e più tardi la traslazione della Sede papale da Roma ad Avignone ne impedi l'aprimento per oltre un secolo. Solamente sulla fine del 1431, a istanza del Senato romano, venne di nuovo ordinato da Eugenio IV uno Studio generale; nel quale dovevano esser professate le varie discipline di tutte le facoltà.

Anche Pavia, fino da quando fu sede del regno Longobardo, ebbe una scuola di Diritto; nella quale poi, e nel secolo undecimo segnatamente, ancorchè decaduta ella fosse, sorsero fautori caldissimi della nuova scuola romana; e fra questi è da ricordare il beato Lanfranco.

III.

Questa nobile sollecitudine, che risvegliandosi in tante parti d' Italia, mostrava quanto fosse vero, come dice il Romagnosi (1), che quasi ogni borgata, gelosa della sua indipendenza, noa solamente volle avere leggi proprie, ma volle essere florida e forte, doveva destare anche in Firenze una viva emulazione.

Non è inutile ricordare che i Romani preferivano di mandare i loro figli a educarsi nell'Etruria; tanta era la reputazione che essa godeva di coltura e di civile governo: ma senza risalire taut' alto, noi oggi abbiamo testimonianze del luogo che Firenze segnatamente teneva fra le città d'Italia, anche avanti a quel periodo glorioso che vide risorgere sull' Arno la sapienza antica, e nobilitarsi la lingua volgare, e ingentilirsi l'arte, e affermarsi la cittadina potenza: di guisa che Firenze venne a costituirsi capo delle libertà e dei popoli che risorgevano; " e se non fosse usar parole troppo magnifiche e boriose (scrive il Capponi), quasi direi della civiltà del mondo » (2). Nè senza una

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(1) ROMAGNOSI, Delle leggi dell'incivilimento, pag. 166 e segg.

(2) Storia della Repubblica di Firenze (Firenze, 1875), I, 3.

lunga preparazione poteva aversi il trecento glorioso: ma vari sono i documenti superstiti, pochi i nomi che nella storia letteraria rimangano.

Fino dai primi del secolo XIII diede Firenze Buoncompagno, magnus magister, che il cronista Fra Salimbene degli Adami ci rappresenta dotato non meno di sapere che di spirito bizzarro. E dovrebbe dolerci che dalla Germania ci vengano fatti conoscere i suoi scritti (1), se il Muratori non ci avesse dato un saggio del suo poetare nella Descrizione dell'Assedio d'Ancona (2).

Il Sarti, dettando la Storia dell' Università di Bologna, parla di un celebre medico, che egli dice chiamarsi Bartolo figlio di Ranieri, nato intorno alla metà di quel secolo XIII; e lo dice patria florentinus, inter primos medicinae doctores adnumerandus. E prosegue: Hic etiam pharmaceuticen exercuit, atque in ea arte societatem habuit cum Albizo Liuccio et Liuccio eius filio; quorum alter avus fuit, alter patruus Mundini Liuccii, viri celeberrimi et Anatomes restitutoris. Atque haec Liucciorum gens medicorum foecunda ex Etruria Bononiam venerat. Ricorda pure altro medico celebre, contemporaneo di Bartolo, parimente fiorentino, per nome Tommaso, figlio del maestro Guido (3). Oltre alle testimonianze che si hanno intorno alla greca cultura di Burgundio pisano, celebre circa l'anno 1150, viene pure onorevolmente ricordato Ugo Eteriano, pur distinto nelle lettere classiche insieme col fratello suo Leone, ambedue dichiarati di nazione toscani.

Nè mancano memorie di fiorentini illustri nello studio della Giurisprudenza. Le ricerche erudite del Mehus convalidano quanto già ne aveva scritto Filippo Villani, dimostrando la celebrità che ebbe in Ravenna il fiorentino Cipriano, predecessore d'Accursio, scrivendo: Quum nondum Romanae leges Bononiae florerent, Cyprianus florentinus Romanorum jurisprudentiam Ravennae publice exponebat glossisque explicabat (4).

Così è provato, come anche prima del trecento la cultura letteraria e scientifica fosse in fiore tra noi; quantunque gli uomini insigni, che qui avevano ricevuto la nascita e la scienza, fuori della patria si acquistassero nominanza: ed è singolare che delle scuole fiorentine si abbia un testimonio indiretto negli uomini che ne uscirono, mancandoci poi documenti della loro esistenza ; ma testimone certissimo, ove si pensi che nel secolo di Dante l'ingegno de' Fiorentini operò quanto ebbe di più grande la città nostra, sia ne' materiali e monumentali edifizi, sia nelle istituzioni civili, sia finalmente nelle lettere, alla cui gloria basterebbe il pregio tutto nostro della lingua.

IV.

Sulla fine del secolo decimoterzo, la costituzione politica del Comune diè molto da fare ai giureconsulti, de' quali non può mettersi in dubbio il valore, per quanto la storia e la poesia ce

(1) Nel 1863 il dottore L. Rockinger di Monaco pubblicò, nel vol. IX delle Fonti della Storia bavarese, larghi saggi della maggiore opera di Boncompagno, intitolata Boncompagnus; e tutta intiera l'operetta Cedrus, che tratta degli Statuti generali e dei lodi.

(2) Scriptores Rer. Italic., VI, 925.

(3) De claris Archigymnasii Bononiensis Professoribus, I, P. I, pag. 463-64.

(4) AMBROSH TRAVERSARII etc. Latinae Epistolae etc. I, CXLIX.

ne contesti la lealtà. Non restano Statuti di quel tempo, ma si ha il singolare libro degli Ordinamenti contro i Magnati, alla cui compilazione vuolsi che prendessero parte in qualche modo i Girolami; tra cui il celebre Fra Remigio, domenicano di Santa Maria Novella, gran maestro in lettere e in filosofia, stato, come si crede, scolare di Tommaso d'Aquino in Parigi, poi succeduto a lui nell'insegnamento in quella celebre Università (1): dove fra il dugento e il trecento non pochi furono i nostri che lessero con grande onore del nome italiano, e con immenso vantaggio di quella nazione; poichè (giova dirlo con le parole del Libri) on se persuadera facilement qu'ils ont plus donné que reçu pendant leur séjour (2).

Alla mente perspicace del Girolami non poteva sfuggire l'importanza che avrebbero avuta per la cultura de' suoi concittadini le scuole, se nel convento di Santa Maria Novella, per opera sua, davasi la istruzione letteraria anche ai secolari. Nè vi ha difficoltà a credere ch' egli vagheggiasse nella mente il pensiero di gettare anche nella sua Firenze un seme di quegli Studi che fiorivano in altre città d'Italia, memore di quello che aveva egli stesso veduto, imparando e professando nella stessa Parigi (3). Ma l'anno 1319 si spengeva una vita così preziosa; e forse con lui mancò l'incitamento a porre in atto quel disegno, da cui la cittadinanza era distratta per le novità politiche. Pure il desiderio di uno Studio si mantenne assai vivo negli animi; e, data l'occasione, se ne videro tosto gli effetti.

ས.

Nell'anno 1321 la città di Bologna si levò, per opera de'Pepoli, dall'obbedienza del Pontefice; il quale, apparecchiandosi a reprimere la sommossa, fulminava intanto la scomunica. Di che dovette (ed è facile il comprenderlo) risentire quel fiorentissimo Studio, celebre allora più d'ogni altro in Italia; poichè non solo per i turbamenti civili veniva a mancare la quiete necessaria agli studi, ma la papale censura importava sospensione di quei privilegi onde gli Studi prendevano valore così dall'autorità dell'Impero come da quella del Pontificato. Ora fu questa pei Fiorentini un'occasione propizia a dar vita nella loro città a una consimile istituzione, che rispondesse allo stato in cui allora si trovavano le arti e le scienze.

L'anno dunque nel quale finiva esule in Ravenna Dante Alighieri, le cui « nobili opere (dice “Giovanni Villani) (4) lasciateci in iscrittura, facevano « di lui vero testimonio e onorabile fama „

(1) Ved. in FINESCHI (Memorie istoriche ec. degli uomini illustri del Convento di S. Maria Novella di Firenze) la Vita d'esso fra Remigio; e ved. nell'Arch. di Stato di Firenze (Cart. Miss. Minut., 3, n. 7) una lettera della Signoria di Firenze ai Senesi del 9 gennaio 1313; da cui apparisce in quanto grande estimazione egli fosse nella sua città, per l'onestà della vita e per la grande dottrina.

(2) Histoire des sciences mathématiques en Italie etc., II, 118.

(3) Secondo lo stesso FINESCHI (Memorie istoriche cit., pag. 178), egli vendè i suoi libri, « per edificare << una casa.... per comodo di un sacerdote destinato all'assistenza degl'infermi, con insieme la Scuola per i religiosi e per i secolari che potevano intervenirvi alle pubbliche lezioni, pregando la Signoria medesima a volere dal canto suo somministrare aiuto per il compimento di cosi degno pensiero »>.

(1) Cronica (Firenze, 1823), IV, 128.

alla sua città, si decretava dalla Repubblica di Firenze la fondazione dello Studio generale, che si voleva dal Papa decorato di quegli stessi privilegi di cui godeva il Bolognese. Fra i motivi della istituzione, non si tace del consiglio autorevole d'uomini stimati, e dell'opportunità che offriva la chiusura dello Studio di Bologna; del quale più volte si fa menzione in quel documento, ma sempre come di cosa che fu: privilegia quae habebant Bononienses... statuta quae in civitate Bononiae servabantur ec. Intorno all'accorgimento politico del cogliere l'occasione per provvedere la città di un tale Istituto, non è da trascurarsi la particolare disposizione, con la quale venendo stabilito di rivolgersi alla duplice Autorità, oltre ai privilegi più atti a favorire l'interesse degli studi, si volle specialmente procurare che i chierici, ai quali era altrove proibito di fare gli studi di Diritto civile, potessero compierli nella città di Firenze, godendo anche assenti le rendite dei loro benefizi: il che era da alcune costituzioni pontificie espressamente vietato.

Ma se l'indole di queste disposizioni particolari ci conferma nel concetto, che i Fiorentini cogliessero il momento opportuno delle strettezze in cui si trovavano lo Studio e la città di Bologna; le altre disposizioni ci mostrano, ch'essi avevano già chiarissime idee intorno alla natura e all'importanza di siffatti Istituti; i quali anc'oggi diconsi Università, sebbene la parola abbia significato ben differente da quello che aveva allora, che era di corporazione di scolari, con facoltà di eleggersi un capo. Ed infatti si raccomandava agli studenti della città e distretto di raccogliersi e fare Università (facere universitatem), e di eleggersi quindi uno o più Rettori, associandosi in questa elezione anche gli scolari forestieri che si trovassero in Firenze.

Altra disposizione particolare, e molto lodevole per prudenza civile, è quella che riguarda la nomina di Ufficiali, i quali non in contradizione, ma in sussidio e d'accordo con gli Ufficiali del biado, provvedessero che gli studenti avessero sempre facilità ed abbondanza di tutto quello che occorre ai bisogni del vivere: con che s'intendeva certamente di rassicurare le famiglie, istituendo una specie di magistratura tutelare dei giovani, che, non sempre ben provveduti di beni di fortuna, nè sempre assennati, si potevano talvolta trovare in urgenti necessità.

Finalmente per facilitare il concorso degli scolari d'altri luoghi e d'altre scuole al loro Studio, accortamente si provvide, che gli scolari non fiorentini, i quali erano stati istruiti altrove, potessero ottenere pubblico esame nel nostro Studio in qualunque tempo, ed esservi pubblicamente conventati; che era come l'effetto della laurea dottorale, cioè di essere aggregati al Convento o Collegio di una data facoltà.

E mentre accordavansi agli scolari dello Studio i privilegi dei quali tanto nei civili quanto nei criminali rapporti godevano gli studenti della città di Bologna; s'imponeva sotto pene pecuniarie a tutti quelli della città e del distretto, che fossero a studio altrove, di ritornare in patria; tempo tre mesi per quelli che fossero di là dai monti, e per quelli al di qua, un solo mese; con obbligo altresì pei loro congiunti d'indicare entro quindici giorni il luogo della loro dimora.

Ma questa provvisione, che può dirsi il fondamento d'una completa istituzione di studi superiori, proposta e legalmente votata nel maggio del 1321 (1), si ritiene generalmente che non avesse effetto se non molti anni dopo. Così dice il Del Migliore (2), adducendone tuttavia delle ragioni che

(1) Appendice, Parte I, documento I.

(2) Firenze illustrata, pag. 381.

poco persuadono. Nè pensiamo col più giovane degli Ammirati, che solo nel 1334 si abbia da credere in esercizio lo Studio Fiorentino; dacchè ci sembra constare che una parte almeno degl' insegnanti entrasse in ufficio assai tempo prima, cioè solo qualche anno dopo la provvisione del 21. Mentre infatti l'Ammirato ci dice (1), che nel 16 marzo 1334 furono condotti Ricovero da Samminiato e Cino da Pistoia a leggere canoni e diritto in Firenze; in una provvisione datata del 9 giugno 1324 (2) si trovano stanziate dal pubblico lire sessantasette e dieci soldi pro residuo pensionis domus, palatii, curiae, logiae et domunculae positarum in populo Sancti Michaelis Bertelde, in quibus partim stabat dominus Osbertus de Cremona legum doctor, et partim dominus Andreas Ciafferi, etiam legum doctor, pro Comuni Florentiae ad legendum iura. Dal che si deduce, che almeno le leggi avevano fino dal 1324 un insegnamento ufficiale, retribuito con pubblico onorario. D'altronde non poteva sperarsi che, appena deliberata la provvisione del 21, sorgesse a un tratto una compiuta istituzione di studi, quand'anche le condizioni interne ed esterne della Repubblica non avessero opposto gravi difficoltà; mentre neppure oggi, che tanti si credono chiamati al nobile ufficio dell'insegnare, con tutte le facilità che porgono gli ordinamenti mutabili, sarebbe possibile veder sorgere ed operare nella pienezza delle svariate materie un complesso tale di sapienti, quale occorre per l'esercizio d'un insegnamento universitario.

Ma le condizioni della Repubblica dopo la presa deliberazione erano tutt'altro che propizie allo splendore della istituzione di uno Studio, e la guerra con Castruccio e l'altra con Mastino della Scala distraevano di continuo le migliaia de' fiorini, e perturbavano gli animi della cittadinanza; sì che mancava da un lato la serenità necessaria agli studi, e dall'altro la moneta di che anch'essi si alimentano. Erano poi continue le interne gare de'cittadini, per le quali le volontà si dividevano nei Consigli, e il pubblico vantaggio era dalle passioni di parte sopraffatto.

E come questo fosse poco, aggiungevasi la carestia nel 1330, e nel 1333 quella grandissima inondazione, che devastando e sconvolgendo private e pubbliche fortune, immergeva la città intiera nello sgomento e nell'angoscia. Per modo che se la provvisione per lo Studio deliberata nel 1321 non ebbe esecuzione compiuta, non fu già lo spirito avverso al sapere, dal quale il Del Migliore crede che siensi lasciati condurre alcuni potenti della città ad avversarlo; ma fu un cumulo di tristissimi eventi, che trovarono come un coronamento nella signoria del Duca d'Atene e uella famosa pestilenza del 1348. Ma questa appena cessata, nell'agosto di quello stesso anno, la istituzione dello Studio tornò a formar soggetto dei pubblici Consigli.

Scrive Matteo Villani (3), che per rialzare lo spirito affranto del popolo, e « attrarre gente alla ❝ nostra città, e dilatarla in fama e in onore, e dare materia a' suoi cittadini d'essere scienziati « e virtuosi, con buono consiglio il Comune provvide e mise in opera, che in Firenze fosse generale « Studio di catuna scienzia, e in legge canonica e civile e di teologia ;... e feciono acconciare i luoghi "dello Studio in su la via che traversa da casa i Donati a casa i Visdomini in su i casolari « de' Tedaldini. E piuvicarono lo Studio per tutta Italia; e avuti dottori assai famosi in tutte « le facultà delle leggi dell' altre scienze, cominciarono a leggere a dì 6 del mese di novembre,

(1) Istorie Fiorentine (Firenze, 1647), I, 392.

(2) APPENDICE, Parte prima, II.

(3) Cronica (Firenze, 1825), I, 15.

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