A quel d'Urbino Apelle. Or dall' idee, che spesse Serbi in la mente impresse, Dipingimi, con arte Non già del fiero Marte L'indomito furore, Che bandiera d'orrore Con sanguinosa mano Innalzi al volgo insano: Nè meno in mar crudele Dipingerai le vele Di combattuta nave, A cui l'ancora grave Col dente adunco é torto Non sia d'alcun conforto : Nè men dipingerai Nelle mie stanze mai Uom, che contempli attento Masse d'oro e d'argento; Con cui comprar dispone E titoli e corone. No, no, ciò non vogl' io; Ch' altro pensiero è il mio. Dipingimi un Cupido; Ma qual va intorno il grido, Che fosse acceso in volto, Che fosse ornato e colto, Quando per piagge apriche S'innamorò di Psiche. Indi, com'è ben giusto, Fa, che dal labbro angusto Sen' esca il riso appena ; E'l guardo che balena, Sembri quasi furtivo, Sì che si esprima al vivo Nel pargoletto Amore Un che langue d'amore. Poi, per nuovo trastullo, Tra giovine e fanciullo Un Bacco mi figura ; Il qual d'uva matura Abbia intorno ghirlanda ; E da nobil bevanda Tragga conforto, e gioco. Saggio Pittor, se loco Può darmi il tuo lavoro, Pommi qui tra costoro ; Ma qual canoro spirto D'edra cinto, e di mirto. Nè ti curar, che'l volgo, Da cui m' involo, e tolgo, Che sol la cetra io serbo Per Bacco e per Cupido. E che da me pretende? Altri a ricchezza attende; Altri a Marte cruccioso ; Scorre altri il mare ondoso; E non potrò dunque io Cantare a modo mio? DELLO STESSO. CHE VUOL CANTAR SOLO D'AMORE. VORREI cantar talvolta Di Sémele la prole; Ma tal furor non suole Provar mia cetra incolta, Che pari al bel desio Sen vada il canto mio. Spirto non ho vivace, Che svegli a' balli loro Delle Baccanti il coro, Col ditirambo audace, Scuote il cui forte piede L'alta Píeria sede. |