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ANGIOLO POLIZIANO.

Angiolo Bassi nacque in Monte Pulciano a' 13 di Luglio 1454, e fu della famiglia Cini o Ambrogini. Da Mons Politianus si nominò Poliziano, all' uso de' letterati di quei tempi. In età di quattordici anni, come si pretende, ma con più ragion di 24 anni, scrisse le famose ed impareggiabili sue Stanze in ottava rima per le Giostre del Giuliano fratello di Lorenzo, e per questo componimento la casa de' Medici lo prese in protezione. Coltivò a perfezione le lingue Greca, Latina ed Italiana, e a ragione può vantarsi del nome di padre della letteratura, ch'egli rinnovò nel suo secolo come il Petrarca avea fatto nel precedente. Tentò il genere ditirambico e pastorale, e messe su scena la tragica azion dell' Orfeo. Soavità di stile, vaghezza di fantasia, grazia di lingua, uno splendido colorito, e vivacità de' caratteri lo fecero il più bell' ingegno che ornasse el' Accademia Medicea e il secolo decimo quinto. Morì a'24 di Settembre del 1494, in età di 40 anni.

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ANGIOLO POLIZIANO.

CANZONETTA DITIRAMBICA

DELLE BACCANTI IN ONORE DI BACCO.

CORO NELL' ORFEO.

OGNUN segua, Bacco, te;

Bacco, Bacco, evoè.

Chi vuol bever, chi vuol bevere,

Vegna a bever, vegna qui.

Voi imbottate come pevere:

Io vo' bever ancor mi.

Gli è del vino ancor per te;

Lascia bever prima a me.

Ognun segua, Bacco, te

a Il primo Componimento che mai sia fatto in questo genere nella lingua Italiana.

Io ho voto già il mio corno:

Dammi un po' il bottaccio in qua.

Questo monte gira intorno,

E'l cervello a spasso va.

Ognun corra in qua e in là,

Come vede fare a me.

Ognun segua, Bacco, te.

Io mi moro già di sonno :

Son io ebrio, o sì, o no?

Star più ritti i piè non ponno :

Voi siet' ebri, ch'io lo so.

Ognun facci com' io fo;

Ognun succi come me.

Ognun segua, Bacco, te.

Ognun gridi, Bacco Bacco,

E pur cacci del vin giù :

Poi con suoni farem fiacco;

Bevi tu, e tu, e tu.

Io non posso ballar più.

Ognun gridi, evoè,

Ognun segua, Bacco, te,

Bacco, Bacco, evoè.

DELLO STESSO.

CANZONE PASTORALE.

SESTINA IRREGOLARE.

UDITE, Selve, mie dolci parole,

Poi che la Ninfa mia udir non vuole.

La bella Ninfa è sorda al mio lamento, E'l suon di nostra fistula non cura: Di ciò si lagna il mio cornuto armento, Nè vuol bagnare il grifo in acqua pura,

Nè vuol toccar la tenera verdura ;

Tanto del suo pastor gl' incresce e duole.

Udite, Selve, mie dolci parole.

Ben si cura l'armento del pastore, La Ninfa non si cura dello amante,

La bella Ninfa che di sasso ha il core,

Anzi di ferro, anzi di díamante,

Ella fugge da me sempre davante,

Come agnella dal lupo fuggir suole.
Udite, Selve, mie dolci parole.

Digli, sampogna mia, come via fugge
Con gli anni insieme la bellezza snella;
E digli come 'l tempo ne distrugge,

Nè l' età persa mai si rinnovella:
Digli che sappi usar sua forma bella,
Chè sempre mai non son rose e viole.

Udite, Selve, mie dolci parole.

Portate, venti, questi dolci versi

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