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to io veggio nelle differenze che tra i Cittadini civilmente nascono, o nelle malattie nelle quali gli uomini incorrono, essersi sempre ricorso a quelli giudicj, o a quelli rimedi che dagli antichi sono stati giudicati o ordinati. Perchè le leggi civili non sono altro che sentenze date dagli an tichi jureconsulti, le quali ridotte in ordine a'presenti nostri jureconsulti giudicare insegnano; nè ancora la medicina è altro che esperienza fatta dagli antichi medici, sopra la quale fondano i medici presenti li loro giudicj. Nondimeno nello ordinare le Repubbliche, nel mantenere gli Stati, nel governare i Regni, nell'ordinare la milizia, ed amministrare la guerra, nel giudicare i sudditi, nello accrescere lo imperio, non si trova nè Principe, nè Repubblica, nè Capitano, nè Cittadino che agli esempi degli antichi ricorra. Il che mi persuado che nasca, non tanto dalla debolezza, nella quale la presente educazione ha condotto il mondo, o da quel male che uno ambizioso ozio ha fatto a molte provincie e città cristiane, quanto dal non avere vera cognizione delle istorie, per non trarne, leggendole, quel senso, nè gustare di loro quel sapore che le hanno in se. Donde nasce che infiniti, che

leggono, pigliano piacere di udire quella varietà delli accidenti che in esse si contengono, senza pensare altrimente d'imitarle, giudicando la imitazione non solo difficile, ma impossibile; come se il Cielo, il Sole, gli clementi, gli uomini fossero variati di moto di ordine e di potenza, da quello ch'egli erano anticamente. Volendo pertanto trarre gli uomini di questo errore, ho giudicato necessario scrivere sopra tutti quelli iibri di Tito Livio, che dalla malignità de' tempi non ci sono stati interrotti, quello che io secondo le antiche e moderne cose giudicherò esser necessario per maggiore intelligenza d'essi, acciocchè coloro che questi miei Discorsi leggeranno, possino trarne quella utilità, per la quale si debbe ricercare la cognizione della istoria. E benchè questa impresa sia difficile, nondimeno aiutato da coloro, che mi hanno ad entrare sotto a questo peso confortato, credo portarlo in modo, che ad un altro resterà breve cammino a condurlo al luogo destinato.

CAPITOLO PRIMO.

Quali siano stati universalmente i principj di qualunque città, e quale fosse quello di Roma.

Coloro che leggeranno qual principio fusse quello della città di Roma, e da quali legislatori, e come ordinato, non si maraviglieranno che tanta virtù si sia per più secoli, mantenuta in quella città; e che dipoi ne sia nato quello imperio, al quale quella Repubblica aggiunse. E volendo discorrere prima il nascimento suo, dico: che tutte le città sono edificate o dagli uomini natii del luogo dove le si edificano, o dai forestieri. Il primo caso occorre, quando agli abitatori dispersi in molte e piccole parti nou par vivere sicuri, non potendo ciascuna per se, e per il sito e per il piccolo numero resi ştere all'impeto di chi le assaltasse, e ad unirsi per loro difensione venendo il nemicó non sono a tempo; o quando fussero, converrebbe loro lasciare abbandonati molti de' loro ridotti, e così verrebbero ad esser subita preda dei loro nemici; talmente che per fuggire questi pericoli, mossi o da loro

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medesimi, o da alcuno che sia fra di loro di maggiore autorità, si ristringono ad abitar insieme in luogo eletto da loro, più comodo a vivere, e più facile a difendere. Di queste fra molte altre sono state Atene e Vinegia. La prima sotto l'autorità di Teseo fu per simili cagioni dalli abitatori dispersi edificata. L'altra, sendosi molti popoli ridotti in certe isolette, che erano nella punta del mare Adriatico, per fuggire quelle guerre che ogni dì per lo avvenimento di nuovi barbari, dopo la declinazione dello Imperio Romano nascevano in Italia, cominciarono fra loro, senza altro principe particolare che gli ordinasse, a vivere sotto quelle leggi che parvono loro più atte a mantenerli. Il che successe loro felicemente per il lungo ozio che il sito dette loro, non avendo quel maro uscita, e non avendo quelli popoli che af fliggevano Italia, navigj da poterli infestare; talchè ogni picciolo principio li potè far ve nire a quella grandezza nella quale sono Il secondo caso quando da genti forestiere è edificata una città, nasce o da uomini liberi, o che dipendano da altri, come sono le Colonie mandate o da una Repubblica, o da un Principe per isgravare le loro terre d'abitatori, o per difesa di quel paese, che

di nuovo acquistato vogliono sicuramente e senza spesa mantenersi; delle quali città il popolo Romano ne edificò assai, e per tutto l'imperio suo; ovvero le sono edificate da un Principe, non per abitarvi, ma per sua gloria, come la città di Alessandria da Ales sandro. E per non avere queste cittadi la loro origine libera, rade volte occorre che le faccino progressi grandi, e possinsi tra i capi de' Regni numerare. Simile a queste fu l'edificazione di Firenze, perchè o edificata da soldati di Silla, o a caso dagli abitatori dei monti di Fiesole, i quali confidatisi in quella lunga pace che sotto Ottaviano nacque nel mondo si ridussero ad abitare nel piano sopra Arno, si edificò sotto l'imperio Romano, nè potette ne' principi suoi fare altri augumenti, che quelli che per cortesia del Principe li erano concessi. Sono liberi li edificatori delle cittadi, quan do alcuni popoli o sotto un Principe o da per se sono costretti o per morbo o per fame o per guerra a abbandonare il paese patrio, e cercarsi nuova sede: questi tali, o egli abitano le cittadi che e' trovano ne' paesi ch'egli acquistano, come fece Moisè, o ne edificano di nuovo, come fe' Enea. In questo caso è dove si conosce la virtù dello edifi

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