126 PARTE QUARTA. Vinto il Dresnay, Bartolomeo, con immenso ma occulto sdegno di Francesco Sforza, il quale, come dicemmo, aveva ricevuto Tortona nella propria sua obbedienza, astrinse questa città a inalberare le insegne della repubblica Milanese. Quindi, sia che non gli fossero attese le condizioni della sua condotta, sia che ne trovasse delle migliori presso il nemico, fatto un nodo de'suoi, traghettò l'Adda a Brivio, e si ridusse a Bergamo agli stipendii dei Veneziani. pei Guelfi e per la guerra, i Lampugnani ed i Bossi 46 luglio 4 4 18 i 28 PARTE QUARTA. passaggio d'una nave, e questo spazio eziandio con forti catene impedì. Qual cosa lo spingesse a siffatta deliberazione, è più facile supporre che avverare: forse l'intento di aspettarvi in sicuro che Michele Attendolo coll'esercito di terra si approssimasse al Po, per concertare poscia insieme qualche risoluta fazione contro la città di Cremona, o contro il suo ponte, o contro il naviglio nemico ancorato più in su; forse il timore di venire inopinatamente assaltato da Biagio Assereto capitano di esso, il quale 15 anni avanti aveva fatto prigionieri tre re alla battaglia di Ponza; forse il sospetto, che Francesco Sforza cingesse d'assedio Casalmaggiore, e battendo coi cannoni lo stretto non costringesse la flotta veneta a ritirarsi più in giù, oppure ad attaccare un disuguale combattimento con quella di Milano. Come che sia la cosa, fatto sta che non mai erasi presentata a Francesco Sforza una più bella occasione di vincere. Congregata l'assemblea dei capitani milanesi, propose loro di porre incontanente il campo a Casalmaggiore, e di cannoneggiare dalla riva sinistra l'armata veneta, intantochè l'Assereto, scendendo col naviglio, sboccherebbe tra l'isola e la destra sponda, e chiuderebbe al Quirini ogni adito alla fuga. Questa proposizione riempì l'assemblea di meraviglia e di discordia. I primi ed i più vivi a combatterla furono Iacopo e Francesco Piccinini, i quali allegarono in contrario la vicinanza dell' esercito di Michele Attendolo, e la povertà e la ritrosia delle soldatesche: ma Sforza da una parte appagò l'esercito concedendogli in preda la propria terra del Castelletto, dall'altra tagliò alla recisa la lite, accampandosi a dirittura sotto Casalmaggiore, e cominciando il fuoco contro le navi venete. Ben s'affrettò il Quirini a darne avviso a Michele Attendolo: ma questi, sia che fosse trattenuto dalle gare nate nei suoi alloggiamenti tra i diversi condottieri della repubblica, sia che confidasse di vincere senza difficoltà il nemico, col serrarlo a poco a poco fra Casalmaggiore, se stesso ed il naviglio, rispondeva: « sostenesse il fuoco pazientemente; non essere il suo esercito lontano più che sette miglia dal Pò, e piccoli danni dovere riputarsi quelli a fronte d'una vittoria grande e sicura. » Così senza veruna difesa continuò tutto quel dì il miserabile scempio delle navi e delle ciurme. Frattanto l'Assereto colle galee più leggiere svoltava l'isoletta, ed occupando la bocca inferiore dello stretto, chiudeva al Quirini quell'unico varco di salute. S'accorse allora costui a qual frangente la troppa paura del nemico e la troppa fiducia negli amici lo avessero precipitato; ma il pentimento non ammetteva riparo: posciachè già le navi, rotte e disalberate, non potevano più nè resistere nè fuggire. Ciò veggendo il Quirini sbarcò a Casalmaggiore tutte le sue genti quindi cacciò fuoco ai legni, e mandolli a seconda del fiume verso il nemico. Fu allora uno spettacolo di meraviglia alle popolazioni dell'una e dell'altra spiaggia, quello di settanta navi da guerra, che piene di macchine, di masserizie e di viveri, rovinavano giù pel Pò divampando meravigliosamente fra le tenebre. Sperava l'ammiraglio veneto, che la corrente medesima le avrebbe menate in mezzo alla flotta milanese, sicchè un solo incendio riunisse vinti e vincicitori. Ma l'Assereto, essendosi cansato in disparte, L’ol. III. 9 150 PARTE QUARTA. (1) Joh. Simon. XII. 454. – Sanuto, Vite dei dogi, p. 1128. – Cristof. da Soldo, Storia di Brescia, 848. |