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1457

giurie, e togliere al traditore insieme collo Stato i mezzi di nuocere, mostrando come se gli poteva voltare addosso il Piccinino, che ad aggravio dei popoli stava poltrendo negli Abruzzi. Tanto egli propose, tanto fu accordato. Nè il Piccinino, mediante il patto novemb. di rimanere padrone di tutti gli acquisti che fosse per fare, si mostrò restio a prestare la sua opera. Cosi fu cominciata una terribile guerra contro al Malatesta: la quale, non ostante i quotidiani dispareri tra Federico e il Piccinino, e le acerbe contese tra le loro soldatesche, pure in breve ridusse Sigismondo a cattivo partito.

Al postutto, posciachè questi mirò le predizioni de' suoi astrologhi tornate tutte a vuoto, ed una parte del proprio dominio essere già perduta, e l'altra parte versare in gravissimo pericolo, pensò una nuova via di scampo: ciò fu d'invitare a mortale duello il conte d'Urbino, come traditore e fautore di trame e di cospirazioni. Federico, che già un'altra volta, ma inutilmente, aveva sfidato il Malatesta sotto le mura di Pesaro, ben di buon grado per pubblico istrumento accettò l'invito, e d'accordo con essolui supplicò Ludovico duca di Savoia a concedere loro campo libero in qualche sito dei proprii Stati. Il duca con pubblico decreto promise di si, ma a condizione di potere far grazia della vita a quel di essi che rimanesse vinto, e arbitrare della sua libertà. Nel medesimo tempo inviò si all'uno che all'altro campione un salvocondotto valido per un anno (1). Ma venne questa pratica interrotta primieramente dai grandi

(1) Guichenon, Hist. généal, preuves. t. IV. Doc, 363.

progressi degli Urbinati; in secondo luogo dal dubbio procedere del Piccinino, che per certi suoi fini trattava la guerra come si trattano le cose comandate ma non volute; finalmente le quasi contemporanee morti 27 giug del re di Napoli e del Papa sopravvennero a scon4458 volgere da capo a fondo tutto il negoziato (1).

e 8 agos.

IV.

In conseguenza di codeste morti sottentrò nel pontificato Pio II, nel regno di Napoli Ferdinando di Aragona, avendo i Romani mutato un principe cattivo in un buono, ed i regnicoli un ottimo in un cattivo. Ond'è che ogni cosa in questa provincia precipitava a confusione; sicchè i Caldoresi, i signori da Sanseverino ed i principi di Rossano e di Taranto si avventuravano a risuscitarvi la fazione di Angiò, e chiamavano a capitanarla il duca Giovanni figliuolo di quel Renato, che aveva conteso per tanti anni il sommo potere al morto re Alfonso. Anche nel dominio della Chiesa Iacopo Piccinino prese occasione dall'interregno per risvegliarvi tumulti e sedizioni, ed impadronirsi di Gualdo, di Nocera e di Assisi. Se non che essendosi uniti allo stesso fine il re di Napoli, il duca di Milano e il nuovo Pontefice, parte colle minaccie, parte a viva forza, lo costrinsero a sgombrare (2). Rovesciossi

(1) Baldi cit., I. IV.

(2) Durante questa guerra, e appunto nel gennaio 1459, Francesco Filelfo, letterato dei primi di quel tempo, nel recarsi a Roma passò a Fossombrone, dove il Piccinino teneva il suo quartier generale, affine di visitarlo, e pieno di ammirazione ne racconta agli amici le gentili maniere e il sommo valore e

egli allora di nuovo sul Riminese, e con incredibile prestezza vi dissipò uomini, case, terre, animali, ogni cosa. Calcolossi a 115 il numero delle castella da lui depredate in pochi giorni: stimossi a cento uomini da taglia ed a mille paia di buoi il bottino da lui fatto in una sola scorreria (1).

Come Dio volle, impose fine a questi facili gua- A. 1459 dagni la pace proclamata in Mantova dal Sommo Pontefice tra Sigismondo Malatesta, Federico di Urbino e il re Ferdinando. Per la qual cosa Iacopo, non potendo più continuare la guerra colle sole sue forze, né osando ritornare ai servigi del re, il quale e col ritenergli le paghe, e col dare asilo e soldo a' suoi disertori, gli usava ogni termine, fuorchè il nome di nemico, si trovò nella necessità di provvedersi altronde. Sia daddovvero, sia per fina astuzia, propose agli Angioini di passare ai loro stipendii. Seppesi la pratica, e di quà il duca di Milano, di là il re ed il Papa affrettaronsi per frastornarla, quegli assicurando il Piccinino di concedergli in moglie la figliuola Drusiana già a lui disposata, questi promettendogli non lievi augumenti di paghe, e ricche possessioni nella Puglia.

Iacopo, come incerto tra i due partiti, ma non cessando mai dalle solite depredazioni, fece alto colle soldatesche tra i fiumi della Foglia e della Marecchia. Fu anzi un istante, in cui parve risoluto affatto a ritornare insieme col Malatesta ai servigi della Lega, di

la gran riverenza verso il duca Sforza, concludendo che se
pareva Tideo alla statura, ben rassomigliava ad Alcide in tutte
le doti guerresche. V. Philelph. Epp. I. XIV. p. 105.
(1) Cron, d'Agobbio, p. 994 (t. XXI).

cui il re di Napoli era membro; e già, stabilito il tenore dei capitoli, più non mancava che di cautelarne l'osservanza colle malleverie. Su questo punto insorsero gravi dibattimenti. Pretendeva il Malatesta che venissero consegnate nelle mani del Papa; pretendeva il Piccinino che venissero rimesse in quelle di Borso d'Este suo amicissimo (1). La Lega, secondo il solito delle cose maneggiate da molti, perdè il tempo e la occasione: Iacopo se ne stancò, e giusta la solita impazienza gittasi alla parte Angioina, si collega col Malatesta, raduna settemila armati e si prepara per accorrere nell'Abruzzo.

Da Bertinoro, dov'egli aveva le stanze, due vie gli A. 1460 si offerivano per effettuare tal viaggio; quella del Piceno lungo il mare, più breve e facile; quella per la Toscana e per l'Umbria, più lunga e disagiosa. Però, siccome il suo disegno di recarsi nell'Abruzzo era stato scoperto, e da ogni banda le genti del Papa e del Duca di Milano, sotto Federico da Montefeltro e Bosio ed Alessandro Sforza, accorrevano per furargli le mosse e chiudere i valichi; così, se alcuna possibilità di fornire l'impresa rimaneva tuttavia, questa soltanto consisteva nella prestezza: e appunto Jacopo Piccinino era uomo da ciò. Cominciò dal ri volgere altrove l'attenzione del nemico collo spargere la voce di voler marciare per la Toscana, e collo ordinare realmente per tutto il Casentino pane e 4 aprile provvigioni all'esercito. Allora fa prendere alle soldatesche i viveri sufficienti per tre dì, carica sulle navi le bagaglie, le artiglierie e le genti inutili, spic

(1) Pii II Comment. I. IV. p. 173 (Roma 1584).

casi da Bertinoro, e camminando di gran passo varca la Foglia e il Metauro senza un menomo intoppo. Entrato nella Marca, intese come Federico ed Alessandro, staccatisi dal resto dell'esercito della Lega, eransi accampati a Sassoferrato a cavaliere delle due vie per Camerino e per Loreto; chè anzi ed avevano occupato sopra quest'ultima il passo del Cesano, e fortificatolo con argini e traverse.

È il Cesano un fiume di piccolo corso, ma cosi instabile di fondo, massime quando gli sopravviene alquanto più d'acqua nello squagliarsi delle nevi, che si ruba di sotto i piedi ai cavalli, i quali osano tentarne il guado. Or come l'avrebbe potuto guadare il Piccinino sotto i colpi delle ordinanze nemiche? Confidò adunque tutte le sue speranze nell' industria e nella velocità, e fece mostra d'indirizzare le schiere a Camerino, il cui signore per causa del Malatesta gli era favorevole. Questa falsa dimostrazione persuase Federico d'Urbino e Alessandro Sforza a lasciare le rive del Cesano per riunirsi a tutto il loro esercito. Allora il Piccinino, voltata fronte, avviò verso il fiume le soldatesche, e quasi volando lo guazzò. Finse il Malatesta, che si ritrovava nel territorio di Fano, di bezzicarlo alla coda: i capitani della Lega, abbandonando Sassoferrato, si spinsero innanzi fino a Macerata. Ma già il Piccinino con uguale celerità aveva trapassato Fiumicino, e superato in un di la Potenza e il Chienti, senza pure ommettere in tanta fretta di visitare con molta divozione la S. Casa di Loreto. Quel di camminò d'un fiato quaranta miglia per tragetti posti tra ardue rupi ed il mare, e così angusti talora da concedere appena l'adito ad uno od a due cavalli di

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