Immagini della pagina
PDF
ePub

Francesco Sforza e Niccolò Piccinino, in ciò solo concordi, fervorosamente ragionavano : breve essere la via, breve in ogni caso il pericolo: per essa giungersi direttamente al cuore del nemico: del resto troppa fatica avere il Carmagnola speso, troppa paura dimostrato nel fortificare il proprio campo, perchè si possa dubitare ch'egli voglia escire a ingaggiar battaglia, oppure inoltrarsi su per l'argine incontro agli assalitori ». Insomma tanto costoro dissero, tanto tempestarono con argomenti in apparenza buoni e più animosi, che il Malatesta, ultimo al pensiero, primo al comando, ne abbracciò la sentenza.

4427

La mattina dell'11 ottobre fu da lui scelta per la 11 8bre battaglia. Mandaronsi avanti alcune bande di fanti e di cavalli leggermente armati: s'avviò dopo di esse il Malatesta con 500 lancie: dietro a lui Sforza e il Torelli: alla coda di tutti Niccolò Piccinino. Arrivate sull'argine tutte coteste genti lentamente vi si affilavano in massa; indi a non lungo tratto di cammino scoprivano la prima testa de' cavalli nemici che venivano ad affrontarle. Fu la battaglia nè lunga nè sanguinosa. Respinto gagliardamente dal Carmagnola, il primo squadrone dei ducali ripiegò sopra il secondo; il quale disordinato da quello scontro, ed impedito ugualmente di avanzarsi e di combattere dalla calca, che gli era non meno davanti che di dietro, stette alcun tempo come sospeso. Frattanto la cavalleria di Venezia raddoppiava l'urto alla fronte, e i suoi arcieri e balestieri appiattati nella palude ferivano con un nembo di strali nei fianchi e nelle spalle le schiere nemiche già riversantisi le une sulle altre. In breve la costoro esitazione cambiossi in fuga. Avresti allora

mirato il comune fervore di scampo crear comune impedimento, e chi oppresso dalle armi, e chi affogante nel limo rimaner prigioniero. Solo il Piccinino, dato ordine a' suoi di farsi via co' ferri per mezzo ad amici ed a nemici, come fulmine fuggendo, si ridusse in salvo (1).

Fu la vittoria compiuta, ricchissimo il bottino, presi 40,000 uomini, morto quasi nessuno. Quella sera stessa i soldati vincitori, giusta il costume, rimisero in libertà i prigionieri. Lamentaronsi di ciò i provveditori col Carmagnola; ei domandò se non ve ne rimanesse più alcuno: udito che ancor ne rimanevano circa 400 Non sia, esclamò, che questi prigionieri abbiano più dura sorte degli altri » e senza più li fece disciorre. I provveditori, soffocata in petto l'ingiuria, scrisserla con nere interpretazioni a Venezia.

Dissesi, e allora e dopo ripeteronlo gli storici, che il Carmagnola avrebbe potuto nel primo calore della vittoria riportata a Maclodio impadronirsi di Milano, e che nol volle. Ma in un tempo, in cui la più vile terricciuola opponeva la più lunga difesa, chi crederebbe possibile occupare per via di un subito assalto tanta città, di tutta Lombardia la più grande, sede ducale, munitissima, pienissima di abitanti per uso e per necessità sottomessi all'antico giogo dei Visconti? Nè Venezia, sempre così riguardata nelle sue risoluzioni, nè mai tanto desiderosa di acquistare, quanto sospettosa di perdere, avrebbe acconsentito a così grande

[ocr errors]

(1) Sanuto, 998. Corio, 644. - Joh. Simonett. 214. Ꭺ. de Billiis, VI. 102. segg.-Cron. d'Agobbio, 966. Quero, Chr. Tarvis. 864 (R. I. S. t. XIX).

Redus, de

tentativo; quantunque del non averlo intrapreso ne facesse poi carico di mortali accuse al suo condottiero. Del resto il frutto immediato di quella famosa battaglia si ridusse al guasto della Ghiaradadda: in pochi giorni il duca Filippo Maria colle armi e co' destrieri imposti sulle provincie rimetteva in essere il vinto esercito ; quindi il verno e la pace (fu essa conclusa in Ferrara per interposizione di quel marchese) po- 18 aprile nevano termine alle fazioni da guerra.

In virtù di codesta pace la repubblica di Venezia entrò al possesso di Brescia e di Bergamo; perlochè stimò di dover premiare d'inusitati onori il condottiero da cui ne riconosceva l'acquisto. Venne egli primieramente accolto in città e accompagnato a casa dal doge e dai senatori; quindi ascritto, non altrimenti che se fosse gentiluomo veneto, al maggiore consiglio, favore invidiato dai principi, ma facilmente concesso dalla repubblica ai proprii capitani (4). Nel medesimo tempo gli donavano un palagio in città e gli assegnavano una provvisione di duemila ducati ed un castello in Bresciana, che gliene rendesse altri 500: indi a non guari lo confermavano nel capitanato generale, e nella condotta di 500 lancie (2). Gli promi

(1) Delle 97 elezioni di forestieri al maggior consiglio fatte dalla Repubblica dall'A. 1304 al 1508, 27 sono di condottieri; tra i quali Iacopo del Verme, Ottobuono dei Terzi, Gabrino Fondulo, Peretto de Andreis di Ivrea conte di Troia, il Carmagnola, Fr. Sforza, il Gattamelata, Michele Attendolo, Bart. Colleoni, Roberto Sanseverino, l'Alviano, il Pitigliano ecc. (V. Sanuto, p. 431).

(2) Le condizioni di questa conferma e condotta sono riportate nella nota XVII. A. Esse in somma importavano:

10 Che il Carmagnola avesse il capitanato generale di tutte

1428

marzo

1429

sero anche di restituirgli tutte le sue possessioni di Lombardia caso che la repubblica se ne impadronisse, con autorità di trasmetterle al fratello, e a tutti

le genti d'arme, e autorità di giudicarle quanto al civile ed al criminale; eccettochè ne'luoghi i cui rettori avessero mero e misto imperio, oppure ne' quali egli non si trovasse personalmente.

20 Che avesse condotta di 500 lancie da tre uomini e tre cavalli per ciascuna, oltre la propria famiglia.

3o Che avesse di provvisione mille ducati al mese, si in tempo di pace che di guerra, senza obbligo di far la mostra della sua famiglia.

4° Che la condotta sua dovesse comprendere due anni fermi e due di rispetto.

5o Che gli officiali di condotta dovessero accettare e scrivere i soldati a misura che ei li presentasse, e dare a ciascun di loro sul fatto ducati 50 di prestanza e 10 altri, fatta la consegna. 6o Non fosse obbligato a consegnare i nomi dei proprii paggi.

7% Non fosse obbligato a passare in mostra più di una volta al mese, e ancora venisse avvisato tre giorni innanzi.

80 Niuno de' suoi soldati potesse venir cassato contro il volere di esso lui.

9° Avesse tempo 15 di a rimettere i cavalli e gli uomini che rimanessero morti o perduti.

10° Non si facesse veruna ritenzione a coloro de'suoi soldati, che per attendere ai proprii affari ottenessero licenza minore di 20 giorni.

11o In quei luoghi dov'ei si intrattenesse, polessero i suoi seguaci escire a spasso senza uopo di particolare bolletta, e senza potere essere assoggettati a far le guardie del sito.

120 Appartenessero di dritto a lui tutte le cose mobili che guadagnasse in guerra e le persone de'prigionieri ordinarii: ma se per avventura facesse prigioniero qualche capitano o principe nemico, o alcun disertore dello Stato, dovesse sotto certe condizioni e vantaggi consegnarlo alla Repubblica;

i costui eredi legittimi mascolini (1). Da ultimo sopra un gran palco eretto in piazza di S. Marco, il doge conferi a lui in feudo trasmessibile le contee di Chiari e Roccafranca, ed altre terre infino a 12000 ducati d'entrata, con piena giurisdizione civile e criminale.

Narrasi che mentre andavano al cielo le grida, ei suoni, e il rimbombo delle campane e de' cannoni, sopraggiungesse in piazza Bartolomeo Bussone, padre del Carmagnola, trascinatosi colà dai confini del Piemonte per abbracciare il figliuolo salito al colmo della fortuna: nè Francesco punto sdegnò le villane spoglie del cadente genitore; anzi al cospetto di Venezia rapita a quel raro spettacolo, baciavalo lagrimando, ed abbracciavalo, e seguitato dal doge e dai maggiorenti seco il menava sulle gondole alla sua casa da Santo Stadi, dove era apparecchiato un magnifico convito (2). E queste pur erano le ultime gioie di quell'uomo destinato a sommi piaceri, ed a sommi dolori. Fra tre anni su quella piazza medesima il suo teschio rotolava al suolo reciso dalla vile mano di un carnefice.

purchè questa gliene facesse domanda fra certo tempo. 13 Fosse obbligato a cavalcare dove e quando gli venisse comandato.

14° Nè egli ne veruno de' suoi soldati, finchè stessero ai servigi della Repubblica, potessero venire molestati per cagione di debiti anteriori al loro assoldamento.

15" Dovesse giurare e far giurare a tutti i suoi, che nel caso in cui fossero cassati, non porterebbero per lo spazio di sei mesi le armi contro la Repubblica.

- Tenivelli, Vita del Carmagnola,

(1) Vedi la nota XVII. C. (2) Sanuto, p. 1004. Navagero, p. 1092, 1094.

« IndietroContinua »