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Fuor della Spagna, niuno per obbligo di sudditanza era tenuto a inviar gente, od a servire in persona. Però il re, quando voleva muovere guerra fuora del paese, faceva battere il tamburo pei luoghi abitati, e proclamare le condizioni dell' arruolamento. Chi si presentava era ricevuto. Ciò dicevasi fare i soldati a tamburo. Una piccola paga li sostentava sino alle frontiere: colà si apriva il campo ai più vasti sogni dell' umana avarizia. Infatti tanto si guadagnava, quanto si vinceva; e tanto più si vinceva, quanto meglio si combatteva; nè per popoli naturati alle armi, alle privazioni ed alle fatiche, è a dire se questo stimolo del guadagno fosse efficace. Venivano in Italia in così povero arnese che li chiamavano bisogni: ma non tardavano a rinvenire i modi di vestirsi e di ornarsi. Misera la contrada che per altro più non viene apprezzata, se non per l'oro che ha, o pei piaceri che può fornire!

Quanto alla bontà di codeste leve, diremo che la cavalleria spagnuola non era punto da raffrontarsi agli uomini d'arme francesi o italiani. La maggior parte

«< hanno gli uomini d'arme e giannetti che si fanno a tempo di « guerra ». Nel 1532 il re teneva per la guardia sua cento arcieri e cento gentiluomini: teneva inoltre 4000 scudieri d'accostamento, pagati gli uomini d'arme 16 ducati ed i cavalleggieri 12 duc. l'anno; costoro non servivano che nei grandi bisogni e si accontentavano di qualche preminenza e del titolo di vassalli. Per la guardia della frontiera di Navarra il re aveva fanti 2000. Manteneva ancora 1000 uomini d'arme, 1000 cavalleggieri e 600 giannetti, pagati rispettivamente i primi 80, i secondi 50 e gli altri 40 ducati l'uno. I capitani non tiravano paga di sorta; ma in capo a qualche anno il re concedeva loro qualche beneficio. Relaz. venete cit., p. 27. 44.

era di cavalleggieri o giannetti, i quali usavano berretti di lino, spade corte, scudi cuneati di cuoio cotto, e lancie o giannette sottilissime di frassino col ferro largo in punta (1). Con esse pigliando il segno, e rizzandosi dagli arcioni sopra le staffe, tiravano dall'alto colpi, che sarebbero stati certamente mortali a chi si fosse trovato disarmato, ma che riuscivano vani contro a salda armatura (2).

Nè maggior profitto fecero dapprincipio le fanterie fornite quasi a stento di aste corte e sottili, di brevi scudi, e di partigiane larghe in punta. Ma non così tosto appresero in Italia da Consalvo di Cordova a guernire di ferro la testa, le braccia e le gambe, che, imbracciando arditamente il brocchiere, colle esili spade e coi pugnali non esitarono d'intramettersi sia tra le lunghe picche dei Lanzi e degli Svizzeri, sia tra le compatte ordinanze della cavalleria gravemente armata: ove colla naturale agilità saltando da un nemico all'altro, e con pari audacia schermendosi di mezzo ai cavalli, ora atterravano il destriero, ora ferivano l'uomo nei fianchi, alle schiene, nelle parti sue men difese; sicchè in breve si vennero a conciliare la riputazione di fortissimi guerrieri. E i primi esempii di valore venivano loro dati dai gentiluomini poveri del paese detti Gusmanti, i quali astretti dalla necessità cominciavano di buon'ora la milizia come semplici soldati, e se ne facevano strada per pervenire al grado di capitano e di generale (3). Tale fu

(1) Più tardi chiamossi pure giannetta quello spuntone o sargentina, che portavano gli uffiziali della fanteria.

(2) Giovio, Ist. 1. III. f. 118 (Venezia 1555). (3) Brantôme, Vie de D. Alvaro de Sande.

la disciplina, mediante la quale una mano di Spagnuoli alla battaglia di Ravenna non solo seppe A. 1512 aprirsi la via fra i Tedeschi vincitori, e trapassarli e ritirarsi in salvo, ma rimise quasi in forse le sorti della giornata (i).

Finqui degli ordini militari dei Francesi, degli Svizzeri, dei Tedeschi e degli Spagnuoli. Quanto ai costumi, gli Spagnuoli, avvezzi com'erano ai fieri combattimenti cogli infedeli, trasferirono in Italia modi di guerreggiare crudelissimi, e primi furono a vivervi totalmente delle sostanze del popolo, allegandone per iscusa la povertà dei proprii principi. Il seppe Milano, quando i suoi abitanti straziati per mesi continui con prigionie e torture e contumelie, altro riparo non vi ebbero che di appendersi con violenta mano, o annegarsi ne' pozzi, o sfracellarsi le cervella sulle soglie dei tetti nativi! (2) Del resto, sia Spagnuoli che Tedeschi, Svizzeri o Francesi, feroci uomini erano per indole e per mestiere; famosi i primi per isnaturata avarizia, alterigia, e dispregio ad ogni miseria; famosi i Lanzi e gli Svizzeri per ispaventevole sordidezza e schifosa ingordigia e ghiottoneria; famosi gli uomini d'arme e i fanti francesi per disfrenata lussuria. E fu tra cotesti stranieri chi sparti per lo mezzo i prigionieri di guerra italiani, affine di ricercare nelle palpitanti viscere l'oro e le gemme, che vi dubitavano celate (3). Tali erano le genti che si calavano a sovvertire l'indipendenza dell'Italia.

Adriano, Discipl. milit. 1. II. p. 208.

Guicciard. Ist. 1. VI. p. 25. 1. XVII. p. 104 (si cita sempre l'edizione di Capolago, 1833).

(3) Ammirato, St. di Firenze, 1. XXVI. p. 216. —Sismondi, Républ. Ital. c. XCVII.

CAPITOLO SECONDO

Dalla calata del re Carlo VIII a quella
di Luigi XII.
1494-1499.

GLI ORSINI, I VITELLI E I COLONNESI.

I. Condizioni degli Stati d'Italia al principio del 1492.
II. Il re di Francia Carlo VIII delibera di fare l'impresa di
Napoli. Gian Iacopo Triulzio all'esercito della Lega in
Romagna. Calata del re. Cattiva difesa del regno. Carlo
entra in Napoli.

III. I mali umori interni e la lega fatta fra gli Stati d'Italia costringono i Francesi a ritornare in Francia. Giornata al Taro. Considerazioni.

IV. Vana impresa di Piero de' Medici e di Virginio Orsini contro Firenze. Gli Orsini ed i Vitelli ai soldi francesi in Puglia. Bel fatto d'arme tra gli archibugieri a cavallo del Vitelli e 700 Tedeschi a piè. I Francesi son cacciati dal regno di Napoli. Dispersione degli Orsini. L'Alviano li difende dalla estrema rovina. Accorre in suo aiuto Vitellozzo. Costui ordinanze a piedi, e vittoria a Soriano. Pace tra gli Orsini, i Vitelli e il papa. Morte e qualità di Virginio Orsini.

V. Vano tentativo dell'Alviano e di Piero de' Medici sopra Firenze. Ultimi fatti e supplizio di Paolo Vitelli. Fuga di Vitellozzo.

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