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agli invasori. I Pisani presero da ciò argomento per levarsi dal collo il giogo dei Fiorentini, i Fiorentini per sottrarsi da quello di Piero de' Medici: Carlo VIII, entrando in Firenze colla lancia in resta, più non rinvenne che cittadini irritati, case piene di villani, vie gremite di genti d'arme; e quando nella piazza dei Signori Niccolò Capponi osò stracciargli in faccia i capitoli dell'accordo proposto dai regii segretarii, il re conobbe qual differenza passi tra un popolo che colle proprie mani difenda i proprii diritti, e un principe che ne faccia mercato per regnare (1).

L'approssimarsi di Carlo vi a Roma fe' divampare dicemb. l'incendio, che da gran tempo covava contro i Reali di Napoli. I Colonnesi si scoprirono per Francia, e stesero le correrie fin sotto la città; Fabrizio Colonna occupò i contadi d'Albi e di Tagliacozzo; l'Abruzzo spiegò la bandiera francese; Virginio Orsini, ancorchè gran conestabile e congiunto del re di Napoli, permise ai suoi figliuoli di pigliare servizio presso il nemico; da ultimo il papa, dopo essersi coi cardinali rinserrato in Castello S. Angelo, fece aprire ai Francesi le porte di Roma, mentre che il duca di Calabria, rifiutando magnanimamente il salvocondotto da esso offertogli, per la porta opposta ne usciva coll'esercito napoletano (2). All'udire queste novelle il re Alfonso, agitato dai rimorsi, quasi abbia i nemici addosso e il popolo attorno tumultuante per ucciderlo, rinuncia al trono, e coi tesori ricovera in Sicilia.

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(1) Guicciard. I. 266. — Giovio, II. 52. Segni, Vita di Niccolò Capponi.

(2) Burckardi, Diar. p. 2061 (ap. Eccard, Script. German, t. 11). Comines, VII. 12.

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Rimase re il giovine Ferdinando duca di Calabria, A. 1495 quando il regnare pareva castigo. Tuttavia, fattosi animo, ridusse l'esercito, che sommava a cinquanta squadre a cavallo ed a 6000 fanti, presso le rive del Garigliano al passo di S. Germano. Quivi, avendo da un lato altissimi gioghi, dall'altro inaccessibili paludi, a fronte un fiume ricco d'acque e difficilmente guadabile, si persuase di potere resistere ai Francesi con onore e fortuna. Se non che la paura e la mala fede dei difensori apersero al nemico in un istante quella strada, che le vive armi non gli avrebbero aperto giammai. Infatti, non appena i Napoletani ebbero veduto l'avanguardia francese, che parte sbigottiti dalle stragi da questa fatte nella espugnazione di parecchie terre, parte corrotti da private passioni, fuggirono alla dirotta dall'inespugnabile posto, lasciandosi addietro otto pezzi di grossa artiglieria. Seguitavano loro a tergo di mano in mano i Francesi sparsi e disordinati, inoltrandosi quasi a modo di viaggio, ciascuno a suo piacimento, senza ordini, senza bandiere, senza comando di capi, ed alloggiando il più delle notti là donde il mattino si erano partiti gli sciagurati Italiani (4).

Il misero Ferdinando raccolse a Capua le reliquie dell'esercito prima rotto che assalito. Ma bentosto, spaventato dai progressi dei Francesi, mandava il Triulzio a offerire al re Carlo VIII vantaggiosissime condizioni di pace, ed in persona volava a Napoli per raffermarvi in fede gli animi vacillanti della plebe. Prima però di partire, promise che sarebbe ritornato

(1) Guicciard. I. 283. - Giovio, II. 71. Comines, VII. 16.

il di seguente, e raccomandò agli abitanti, a Virginio Orsini e al conte da Pitigliano la conservazione della città, ultima speranza dello Stato. Ma non si era egli ancora discostato gran tratto da Capua, che i cittadini ed i soldati si sollevavano, ponevano a sacco il palagio e le scuderie reali, inalberavano le insegne nemiche, e inviavano al re di Francia le chiavi della città. L'Orsini e il Pitigliano sotto la fede di un salvocondotto si ritirarono a Nola: una banda di Tedeschi, la quale era sortita per respingere i Francesi, dovette implorare in ginocchio dai Capuani la grazia di essere ricevuta dentro, con patto di uscirne incontanente dalla parte opposta a dieci a dieci per volta. Usciti, scontraronsi nel re ritornante dall'avere quietato Napoli, e narrarongli quella nuova perdita: indi a pochi passi gli si affacciava il Triulzio coll'avviso di non avere potuto concludere nulla.

Tuttavia Ferdinando, deliberato ad esporsi a qualsiasi pericolo prima di restar privo di tanta città, prosegui nel cammino: ma quando scôrse sventolanti dalle torri gli stendardi della Francia, e sopra le mura l'armi preparate per respingerlo, allora convinto che non Napoli, non Gaeta avrebbero fatto migliore difesa, si rivolse addietro in silenzio, entrò in Napoli, convocò il popolo, e fra le lagrime dei molti, ai quali era nota la sua bontà e grandezza, sciolse tutti dal giuramento di fedeltà, ed esortolli a ricevere e servire onoratamente il vincitore, ed a serbare costante memoria di lui già re, fra breve esule da un regno non mai goduto; quindi non senza avere prima liberato di carcere i baroni già rinchiu

sivi dal padre e dall'avolo, con pochi amici s'imbarcò

per l'isola di Ischia (1).

1495

Il di seguente, dopo quattro mesi e diciannove 24 febb. giorni dacchè aveva superato le Alpi, entrava in Napoli trionfalmente il re Carlo vi, e ve lo accoglievano le grida dissennate di quella plebe, che poche ore innanzi aveva pure lagrimato alla partenza del suo re, ed era per iscontare con secoli di stenti la fallace gioia di quel momento. Tale fu la conquista di un regno, a difesa del quale non virtù si dimostrò, non consiglio, non senso di onore, non potenza, non fede.

III.

Non eransi ancora i Francesi rassodati del tutto nel nuovo acquisto, che già la insolenza e l'avarizia delle soldatesche, l'ignavia del re, e l'avere distribuito tutti gli utili della vittoria negli stranieri, e mal compensato i baroni amici, e peggio corrisposto alle promesse fatte nel primo giungere, avevano risvegliato in molti petti l'antico nome della casa di Aragona, e di quel buon re Ferdinando, che dall' isoletta d'Ischia stendeva loro, per così dire, la mano benigna. Tuttodi le ultime parole di quest'ottimo principe, i moderati governi di Alfonso 1 e di Ferdinando il vecchio nello imporre, nello spendere, nello

(1) Subito dopo la partenza del re Ferdinando, il Triulzio, giusta il consiglio del medesimo, passò ai servigi di Carlo vIII, che confermollo in tutti i suoi privilegi e possessi, il creò ciambellano e consigliere, e gli affidò la condotta di una compagnia delle proprie ordinanze a cavallo. V. Rosmini, Vita del Triul-` zio, l. V. doc. 62.

amministrare, l'affettuosa loro cura delle pubbliche faccende, il costume loro d'innalzare agli uffici i nazionali, raffrontavansi con isdegno alla superbia o trascuraggine del nuovo re, inaccessibile alle udienze, incurioso degli affari, oppure all'impeto, alla tracotanza, alla rapacità dei suoi ministri; e da questo confronto sorgeva nel popolo e nei signori tal disinganno ed ira delle cose presenti, che da ogni parte in molte guise traboccava. Nè i Francesi curavansi punto o di deviare questi mali umori colla dolcezza, o di soffocarli colla viva forza: anzi, come se quella fortuna che aveva conceduto loro un regno, lo dovesse pure senz'altra fatica conservare, tra feste e ozio trastullavansi colle sostanze dei vinti.

Ma d'improvviso interrompeva questi diletti una molto terribile novella: i Veneziani, Ludovico il Moro duca di Milano, Massimiliano 1 re dei Romani, e Ferdinando il Cattolico re di Spagna essersi uniti in lega, apparentemente per comune difesa, in realtà per opporsi alla ambizione francese: di già i capitoli del trattato essere stati stesi a Venezia ; e nei capitoli ordinarsi che gli Spagnuoli dal Mediterraneo, i Veneziani dall'Adriatico si sforzassero a ricuperare alla Casa di Aragona il dominio perduto, mentre Ludovico il Moro chiuderebbe i tragetti delle Alpi, e Massimiliano dalla Germania e il re di Spagna dai Pirenei assalirebbero la Francia ».

Al ricevere cotesti avvisi Carlo vin passò da cieca sicurezza a cieco terrore: laonde confida in fretta le cose di Napoli al duca di Monpensieri, a Fabrizio ed a Prospero Colonna, e, lasciandosi alle spalle Roma derelitta dal suo pastore, Siena in tumulto, Pisa in

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