Immagini della pagina
PDF
ePub

la fortezza in altre mani che in quelle proprie del duca Valentino. Per conseguenza Oliverotto e gli altri condottieri mandaronlo invitando e sollecitando a venire a Sinigaglia.

Cotesto era appunto il supremo voto del Borgia, che, presago e forse autore occulto di tale invito, in questo intervallo aveva segretamente fatto tornare addietro le genti del re di Francia, ed assoldato un buon polso di lancie spezzate e di gentiluomini privati. Tutte queste forze il Valentino raccolse in poche ore; allora inviò per risposta ai condottieri che lo aspettassero a Sinigaglia, e tosto con 2000 cavalli e 10,000 fanti partì da Fano. Però prima di partire ebbe l'avvertenza di scegliere quattro coppie d'uomini fidatissimi, ed a ciascuna di esse diede l'ordine di pigliarsi in mezzo uno dei quattro capitani, che erano a Sinigaglia, questa l'Orsini, quella Vitellozzo, la terza Oliverotto, la quarta il duca Gravina, nè prima lasciarli, che terminata la festa.

1502

Rasente il mare, ai piedi dell'Apennino, stendesi 31 re per lo spazio di ben quindici miglia la via, che da Fano conduce a Sinigaglia. Questa via, dopo molto serpeggiare, giunta al suo termine, passava sopra un ponte il piccolo fiume, da cui è cinta la terra; quinci, traversato il borgo, entrava obliquamente nell'abitato (1). Tra le mura della città e il ponte era una piazza, alla quale l'argine medesimo del fiume da un lato faceva spalla. Quivi Oliverotto, risoluto di aspettarvi il duca, aveva messo in ordinanza le sue

(1) Queste mura furono poi disfatte e riedificate con altro disegno dai duchi di Urbino Francesco Maria e Guidobaldo della Rovere.

genti, che sommavano a mille fanti ed a 150 cavalli. Per lo contrario Vitellozzo, Paolo Orsini e il duca Gravina, che apparteneva pure alla medesima stirpe degli Orsini, dopo avere accampato le loro squadre sei miglia oltre la città, si erano spontaneamente mossi ad incontrare il Valentino. Narrano che il Vitelli, prima di venire a Sinigaglia, quasi indovinasse la sua sorte, facesse come l'ultima dipartita dai suoi, raccomandando ai caposquadra la propria casa e riputazione, e non senza lagrime e sospiri ammonendo i nipoti, che in qualsiasi avversità, non della fortuna, ma si delle virtù dei padri e degli zii si volessero rammentare; sicchè tutto ancora mesto e pensieroso in vista, senz'armi, e indosso una cappa foderata di verde, si traeva cogli altri due al cospetto del Valentino. Crebbegli la paura, allorchè mirò la cavalleria pontificia schierarsi in ala al di là del ponte, e la fanteria sfilarle in mezzo, e procedere in buon ordine verso la città.

Accolse il Valentino con lieta fronte i tre condottieri; ma, veggendo mancarvi il quarto, con una rivolta di occhi impose a un D. Michele, suo seguace, di andarlo a cercare. D. Michele astuto ministro di inesorabile padrone, galoppò avanti fino alla piazza, dove Oliverotto esercitava le sue genti: e con buone ciance, parte dimostrandogli come i suoi alloggiamenti correvano pericolo di venire occupati dalle squadre papali quando egli non vi riconducesse piucchè in fretta le soldatesche, parte lasciandogli travedere il grave torto che la sua ritrosia gli acquisterebbe presso il duca, tanto s'ingegnò, che il persuase a mandare a casa le schiere, e venire seco ad

incontrare il Valentino. Così il numero appunto delle vittime designate fu compito.

Entrò il Valentino in Sinigaglia in mezzo ai condottieri, ora con l'uno, ora con l'altro amicamente favellando. Giunto al palagio, dov'erano le stanze apprestate per lui, scavalcò, ed eglino, fatto il somigliante, gli tennero dietro: ma non appena gli ebbe egli, sotto pretesto di una naturale necessità, lasciati soli in certa camera segreta, che da ogni parte sboccava sopra di essi il satellizio armato, e li trascinava in prigione. Fu pronta la sentenza, come perfida l'esecuzione. Quella notte medesima Oliverotto e il Vitelli vennero strangolati, invano l'uno supplicando il duca di ottenergli prima dal papa la indulgenza plenaria di ogni fallo, invano l'altro disfacendosi in lagrime, e affannandosi per riversare la sua colpa sopra il compagno. Il supplizio degli altri due venne differito solo tanto tempo, quanto bastò al pontefice per far pigliare il cardinale Orsini e gli altri signori suoi congiunti. Le squadre di Oliverotto, sorprese all'improvviso, mentre quà e là sollazzavansi per le vie, furono svaligiate e disperse; quelle degli Orsini e del Vitelli, avendo presentito il caso, pugnando non meno valorosamente contro il furore dei paesani che contro le armi ostili, si ridussero in salvo (1).

Con così fatta scena cominciò l'anno 1505. Di essa gennaio 4503 poi il papa motteggiando soleva dire, che a buon diritto era accaduta; posciachè i condottieri, dopo

(1) Machiav. Modo tenuto etc. p. 165. e Legazione al Valentino. Guicciard. 1. V. p. 381. - Ammirato, XXVIII. 270. Buonaccorsi, Diario, p. 69 (Firenze 1568).

-

avere accordato di non mettersi nelle sue mani che ad uno per volta, vi si erano alla fine messi tutti insieme, epperò come fedifraghi avevano meritato quel castigo (1).

Il Valentino, proseguendo i frutti del sanguinoso tradimento, si affrettò ad espellere da Perugia il Baglioni, ed a minacciare Siena: quindi, essendosi voltato sopra gli Orsini, si insignori per assedio di Ceri, e spogliò e cacciò in esiglio Gian Giordano principale condottiero di essa casata, non ostante che fosse soldato, e protetto, e cavaliere dell'ordine del re di Francia. Anzi l'avvicinarsi di un esercito francese incoraggiva digià il Valentino ad estendere i suoi 18 agost. pensieri oltre il dominio della Chiesa, fino sopra la Toscana e la Puglia; quand'ecco un veleno preparato per altri gli uccideva di un colpo il padre, e lui lasciava incerto tra vita e morte.

4503

Morto il papa, infermo il duca, svaniva quasi per incanto la tela da costui ordita con tanta astuzia e ferocia ed a furia i Vitelli ritornavano in Città di Castello, ed il Baglioni in Perugia, e Dionigi di Naldo in Val di Lamone, e i Piombinesi prorompevano alle armi, ei Veneziani occupavano Faenza, ed i signori di Pesaro, di Urbino, di Sinigaglia e di Camerino, sia col braccio dei fuorusciti, sia col favore dei popoli, rientravano senza ostacoli nelle proprie terre. Frattanto in Roma gli Orsini ed i Colonnesi (ai quali per suo ultimo scampo si era accostato il Borgia) sulle piazze, per le vie, dentro i palagi, sotto i grandi monumenti dell'antica repubblica s'insan

(1) Guicciard. V. p. 6 (t. III).

guinavano tra loro; sicchè mentre da oriente si teme che gli Spagnuoli non entrino in città ad istanza dei Colonnesi, e dall' occaso paventasi dei Francesi, i quali già sono pervenuti presso Viterbo, con tale rabbia vi si combatte, che v' ha chi si lava la bocca. e le mani nel sangue dell'avversario semianime ai proprii piedi (1).

Fra questi tumulti giungeva a Roma Bartolomeo d'Alviano, partito con un solo soldato dagli stipendii dei Veneziani (2): e tosto collocava se stesso e tutta la casa Orsini (tranne Gian Giordano) ai servigi del re di Spagna, e la rappacificava coi Colonnesi. Ciò diede l'ultimo crollo al Valentino, che disperato fuggì verso Bracciano. Per via scontrossi nelle genti di Giampaolo Baglioni: combattè, fu rotto, e a grave stento tornò addietro richiudersi in Castel S. Angelo. Tosto il nuovo pontefice Giulio II diede ordine di tenervelo in prigione, e gli fece significare, che non ne sarebbe lasciato uscire, finchè non avesse consegnato i contrassegni delle fortezze di Cesena, di Forlì, di Forlimpopoli e di Bertinoro, tuttavia tenute in suo nome.

Erano i contrassegni, come già altrove accennammo, talvolta una cifra, talvolta un nome, più sovente una medaglia spezzata, della quale una parte rimaneva nelle mani del principe, l'altra in quella del castellano o capo delle armi. Usavansi nei tempi scorsi per antivenire le frodi del nemico, od accertare la esecuzione degli ordini più delicati. Or bene, il duca Valentino,

(1) Ulloa, Vita di Carlo, 1. 1. f. 27. — Buonaccorsi, Diario, p. 83.

(2) Luigi da Porto, Lettere istoriche, p. 18 (Venezia 1832). Guicciard. VI. 73.

[merged small][ocr errors]
« IndietroContinua »