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e specialmente nella formazione delle mine, si tenne con una eletta di 500 fanti spagnuoli preparato agli

eventi della pugna.

Avanzaronsi i Francesi, sempre più incurvando l'ala sinistra: ma pervenuti a dugento braccia dal fosso, che guerniva le spalle, la fronte, e il fianco destro dei confederati, per non dare loro quel vantaggio, si arrestarono. Così senza investirsi nè gli uni nè gli altri, stettero per qualche tempo a riguardarsi. Frattanto il duca di Ferrara, avendo ritirate le sue artiglierie dall'ala destra dell' esercito francese, le conduceva prestissimamente alla punta sinistra di esso. Giuntevi appena, cominciarono esse a trarre sopra gli uomini d'arme dell' antiguardo nemico: sicchè in un attimo il campo fu seminato di morti. Gridava Fabrizio Colonna, nel mirare l'indegna strage delle sue genti, che senza indugio si passasse il fosso, e almeno, se morire si dovea, si morisse uccidendo colle armi alla mano: ma elle erano parole. Da una parte il Navarro, avendo messo i suoi Spagnuoli col ventre a terra in un luogo che per essere basso ed accanto al fiume andava immune dai colpi delle artiglierie, pareva che desiderasse la rovina del compagno, affine di attribuire a se medesimo tutto l'onore della vittoria. Dall'altra parte il vicerè, sia per imperizia e dappocaggine propria, sia forse per occulto comando del suo re, al quale non doveva riuscir discaro lo sperpero delle forze italiane, non pigliava nessun partito. Finalmente il Colonna, più non potendo sofferire l'indegna carneficina, rizzossi in gran furore e spinse fuori del vallo le sue genti d'arme.

Seguitarono tosto questo esempio gli Spagnuoli, attaccandosi con molta furia coi Tedeschi.

Feroce fu lo scontro dei cavalli, più ostinato e feroce quello dei fanti. Ma la cavalleria italiana era stata troppo straziata dai tiri delle artiglierie, perchè potesse resistere a lungo. Tuttavia più col cuore che colle braccia continuò animosamente a combattere, finchè Ivone d'Allegri sopravvenne a ferirla di fianco, e il Colonna, avviluppato nelle artiglierie del duca di Ferrara, rimase prigione. Si cominciò allora a fuggire. E già il vicerè, cattivo capitano e peggiore soldato, si era posto in salvo col secondo squadrone.

Cosi tutto lo sforzo del combattimento si ridusse attorno gli Spagnuoli del Navarro, che intromettendosi arditamente fra le ordinanze dei Tedeschi, ed aprendoli colle daghe e colle spade, dopo avere potentemente riscosso gli Italiani dall' assalto di Ivone d'Allegri, piuttosto in forma di ritirata che di fuga, si allontanavano a lento passo pel sentiero che si stendeva tra l'argine ed il fiume. Li vide il Foix, e nell'ebbrezza della vittoria si sdegnò che quel pugno di fanti osasse di uscirgli intatto dalle mani: spronò pertanto coi più feroci suoi compagni sopra le ultime righe ma bentosto, cinto per ogni banda dai nemici, cadde e fu ucciso (1).

Di questa maniera passò la battaglia di Ravenna,

(1) Guicciard. X. 280-291.-P. Giustiniani, XI. 466.— Mém. de la Tremouille, ch. XXI. 461. — Mém. de Bayard., ch. LIV. - Mém. de Fleuranges, ch. XXIX (t. XVI. ap. Petitot). — Udalrici Zwinglii, De gest. ad Ravenn, relatio, p. 142 (ap. Freher, Script. German. t. III).

rispetto alla quale venne portata alle stelle la prontezza e la bravura, con cui le fanterie spagnuole seppero farsi via tra mezzo a un esercito trionfante, e colla uccisione del gran capitano francese pareggiare quasi la fer una dei vinti e dei vincitori. Ma la generazione del XVI secolo non comprese allora a sufficienza ciò che la presente età, rischiarata dalla esperienza di trecento anni, di buon grado riconoscerà ; essere cioè la battaglia di Ravenna stata guadagnata dalle artiglierie, epperciò doversi mettere in capo di tutti i fatti d'arme che l'artiglieria risolse e risolverà nell' immenso suo crescere.

La calata di un nuovo corpo di Svizzeri verso Milano non solo impedi ai Francesi di ricavare alcun frutto dalla vittoria di Ravenna, ma anzi li astrinse a ritornare frettolosamente in Lombardia. Da ciò il bollente animo di papa Giulio I prese occasione per rimettere in Firenze la stirpe Medicea, e voltare le armi spirituali e temporali sopra i Colonnesi.

L'odio contro questa potentissima casa, o, per meglio dire, contro tutta la nobiltà romana, era innato nei sommi pontefici. Un accidente era intervenuto ad aggravare gli sdegni. Nella battaglia di Ravenna veggendo il duca di Ferrara un nobile guerriero fra i carri e le artiglierie combattere disperatamente, e tuttochè ferito, e tuttochè circondato dai nemici non cessare di dare e di ricevere colpi, stupefatto l'aveva richiesto di arrendersi a lui medesimo. Ed io sono romano e cavaliere, rispose il feroce combattitore, e si arrese. Era questi Fabrizio Colonna. Da quel punto un'intima amistà uni i due guerrieri. Il duca accolse lietamente alla sua corte l'illustre prigioniero,

ed ora negando ed ora pretessendo questa o quella scusa, tanto tempo differì a consegnarlo al re di Francia, che alfine potè rendergli gratissimamente e senza alcun peso la libertà. Poco stante il duca sotto la fede di un salvocondotto andò a Roma per accomodare le sue differenze col papa e tutto lo sforzo della casa Colonna si mosse per agevolargliene la conclusione. Quando poi le trattative rimasero rotte, e si seppe che il papa aveva deliberato di fare arrestare il duca, Fabrizio l'andò a pigliare nel suo palagio, lo pose in mezzo ai proprii armigeri, e sano e salvo a viva forza lo menò fuori delle porte. Di qui la speciale esacerbazione di Giulio II verso i Colonnesi (1).

V.

Prima che cominciasse la state del seguente anno A. 1513 molte novità erano già accadute: Leone x era succeduto nel pontificato a Giulio 1, i Veneziani si erano confederati coi Francesi, e Massimiliano re dei Romani si era accostato alla Chiesa; sicchè da un lato stavano il Papa, l'impero e gli Svizzeri, dall'altro i Veneziani e il re di Francia; quelli guerreggiavano sotto il pretesto di ricuperare la Lombardia e ridonarla a Massimiliano Sforza suo legittimo principe; questi combattevano colla scusa di difendere l'acquistato e di riavere il perduto. Ferdinando re di Aragona stava di mezzo tra i due partiti, pronto sempre ad inclinare verso colà, dove rinvenisse il

(1) Guicciard. XI. 324. - Bembo, XII. 393.

proprio utile; ma in vista più proclive ai primi che ai secondi.

Il primo effetto della alleanza dei Veneziani col re Ludovico xi fu la liberazione di Bartolomeo d'Alviano, che con quattro anni di prigionia aveva scontato abbondantemente le millanterie dette prima della battaglia di Vailà. Innanzi che abbandonasse i Francesi, appuntò col Triulzio in Asti il disegno della prossima guerra: quindi pel circuito delle Alpi si condusse a Venezia; dove gettando di quella disfatta tutta la colpa sopra il morto Pitigliano, tanto seppe destreggiarsi col senato, che ne esci capitano generale alle medesime condizioni, colle quali questi aveva tenuto lo stesso ufficio (1). Ciò conseguito, l'Alviano raccolse l'esercito, assaltò Verona, sottomise Valeggio e Peschiera, e, trovando Cremona già occupata a nome dei Francesi da un Galeazzo Pallavicini, per non comunicare ad altri la gloria e l'utile di tanto acquisto, fece mostra di non conoscerlo, e lo mise in rotta e in preda. Bentosto la ribellione di Genova e della Lombardia, e la calata di un fiorito esercito francese sotto il signore della Tremouille, avrebbero aperto all'Alviano la strada di maggiori progressi, se la fortuna non avesse voluto riserbare l'onore di tutta la guerra alle fanterie elvetiche.

Avevano esse fatto la massa a Novara; dove te

(1) Cioè ducati 50 mila all'anno coll'obbligo di «avere in << essere 300 uomini d'arme e 500 balestrieri a cavallo, pronti «ad ogni servizio e bisogno della repubblica ». Paruta, Ist. Venez. I. I. p. 17 (Venezia 1645). P. Giustiniani, 1. XII. p. 472.

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