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CAPITOLO SECONDO

Dalla pace di Ferrara a quella di Capriana. A. 1433-1441.

NICCOLÒ FORTEBRACCIO - FRANCESCO Sforza -
NICCOLO PICCININO.

I. I venturieri in tempo di pace.

II. Fr. Sforza s'impadronisce della Marca. Niccolò Fortebraccio scorre fin sotto Roma. Gli si aggiunge in aiuto il Piccinino. Costui vittoria a Castel Bolognese.

III. N. Fortebraccio, escluso dalla pace, rimane disfatto ed

ucciso sotto Fiordimonte. Trama del cardinale Legato contro lo Sforza. Sforza e il Piccinino a fronte l'un dell'altro in Toscana. Nuovo accordo.

IV. Sforza a Napoli. Morte e qualità di Iacopo Caldora. N. Piccinino inganna e spoglia il Pontefice; passa in Lombardia; assedia Brescia.

V. Disegni del Piccinino. All' approssimarsi di Sforza si ritira. Rotto a Tenna, fugge, sorprende Verona e la riperde.

VI. Quindi passa in Toscana. Gli fallisce l'intento su Perugia: è sconfitto ad Anghiari. Suoi progressi in Lombardia: ma allorchè tiene quasi nelle mani lo Sforza, è costretto a far pace.

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Il tempo veramente più propizio a mettere in chiara luce l'indole di ciascun condottiero, segnata di tutte le passioni del suo secolo, ma resa più ardente dal continuo uso delle armi, e specialmente delle armi venturiere, era quello in cui, fatta la pace, licenziate le squadre, ogni capitano ritornava alla primiera indipendenza, e vi ripigliava le antiche consuetudini e pensieri. Nel XIV secolo (quando le menti dei mercenarii non eransi elevate ancora all'ambizione di fondare dei principati ) allo spirare della guerra, allo spartirsi dei guadagni, ne mettevano da banda una buona parte, per consacrarla a qualche fine religioso, e soprattutto a quel S. Giorgio, il cui nome avevano implorato e gridato nella furia dei combattimenti. L'uomo il quale si trova ogni giorno alle prese colla morte, nè contro a' costei colpi altro riparo conosce che il caso, non può fare a meno di credere in un qualche potere superiore a se stesso. La ignoranza allora da una parte gli presenta il fatalismo, dall'altra la superstizione; entrambi esagerazioni di

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ottimi principii, quello del coraggio, questa della pietà. Per la qual cosa non era raro vedere venturieri lordi di mille infamie ergere chiese e stabilire pii lasciti. Così, per non dire altro, dentro le mura di Pisa la religione delle soldatesche mercenarie innalzava due sacri luoghi (1): il tempio dell'Annunziata in Genova ancora ricorda Percivalle Lomellino, padrone della galera cosi denominata, agli stipendii del re di Francia nel 1546 (2).

Pagato quel tributo al più solenne degli umani af fetti, scioglievasi la schiera; e questi proseguiva il corso di sue venture e battaglie, e quegli della preda acquistata comprava case e poderi nel paese nativo, in Germania, in Francia, nel Brabante; altri tirato dalla bellezza e abbondanza della contrada, e forse già spoglio di ogni legame che il potesse rivocare in patria, sceglieva per sua dimora l'Italia, e vi costruiva un tetto, e lo popolava di bellicosa prole. In tal modo costoro stavano come a cavallo tra il vivere civile ed il guerresco, e dalla pace ricavavano tutte le delizie della famiglia, e dalla guerra tutti i guadagni del venturiero. Per questa via molti stranieri, perfino Ungheri e Brabantesi di ventura, si stabilirono in Italia nel XIV secolo (3).

Col risorgere della italiana milizia crebbe a dismisura siffatta stirpe di uomini nè affatto guerrieri, nè affatto cittadini. Chè anzi dopo le segnalate imprese

(1) V. la nota XVIII.

Sarebbe forse per questo, che il sentimento religioso sembra che domini più fortemente nelle città marittime? (2) Jal, Archéologie navale, t. II. p. 340.

(3) A. di Costanzo, L. VII. 196.

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