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1. Origine delle scuole di Braccio e Sforza. Il Piccinino: sue prime vicende. Diventa capo de'Braccieschi. Rotto in Val di Lamone e ad Angliari. Partesi da'Fiorentini: sua avventura a Lugnano.

11. Prime imprese del Carmagnola. Suo fatto d'arme contro gli Svizzeri. Abbandona il duca di Milano, e muove i Veneziani a fargli guerra. È dichiarato capitano generale della Lega contro Filippo Maria Visconti.

II. Primi progressi del Carmagnola contro il Visconti. Vittoria di Maclodio; pace di Ferrara. Premii a lui dati. IV. Niccolò Forte braccio, Francesco Sforza e Niccolò Piccinino in Toscana. Sospetti dei Veneziani sopra il Carmagnola. Pur lo rieleggono capitano generale. Sconfitta di Casalmaggiore. Altre sventure del condottiero. V. Crescono i sospetti sul Carmagnola. Il senato lo chiama a Venezia. Di lui presa e supplizio.

Vol. III.

CAPITOLO PRIMO

Dalla morte di Braccio e di Sforza

alla pace di Ferrara.

A. 1424-1433.

IL CARMAGNOLA.

I.

Tale è per fermo la natura della milizia, che stare non potendo senza un opportuno accordarsi d'imperio e d'obbedienza, il lungo uso d'obbedire conduca chi la esercita a spogliarsi quasi di voleri e di pensieri proprii per riunirli, come a centro, nella mente del capo supremo. Oltre a ciò, i comuni pericoli e fatiche e vittorie e insegne e divise e vivere e intenti, distribuendo sopra ciascuno in proporzione l'utile e lo svantaggio, la lode e il vitupero, stringono, come in parentado, capi e soldati. Di qui quell'amore di corpo, che, terminata la milizia, acquetati i rumori di guerra, ne trasporta tuttavia verso quella schiera nella quale faticammo, e ce ne fa seguire con occhio affannoso le nuove imprese, e amarne la gloria, come nostra propria, e abbracciare con soave tenerezza ogni cosa che a quella appartenga.

Ora queste impressioni già per sè vive e forti nelle odierne milizie, con quanto maggiore vivezza e durata non si doveano manifestare in quelle di ventura! Ai nostri tempi il soldato non sceglie, ma è scelto; volontario non milita, ma chiamato o costretto; e capi,

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imprese, paga, luogo e compagni, ogni cosa ad un cenno del principe o di chi il rappresenta, vien mutata: onde nè spontaneità di scelta, nè uso, nè comunanza d'interessi personali ne assoda il vivere. Nelle compagnie venturiere per l'opposto il luogo, l'impresa, il capitano, l'insegna, ogni cosa era nella scelta del soldato, che conducevasi con chi ed a quei patti, e contro chi gli parea; nè verun capriccio d'uomo estraneo alla compagnia lo poteva svellere dalla sua bandiera perilchè capitano, conestabili e gregarii formavano un tutto, che aveva un principio e un seguito, e proprie gesta, e proprii interessi. Banditi, perseguitati, privi d'asilo, privi di ogni altro modo di sostentare una vita tuttavia florida e potente, i fuorusciti dell'Umbria e di Romagna cercarono sotto la mobile tenda del venturiero la patria e gli onori smarriti. Braccio li raccolse, Braccio li guidò. Il soldo, il sacco, le taglie, l'acquisto di terre e provincie, li mantenne, li crebbe, ne aguzzò le voglie a impadronirsi della patria; ed eglino, veggendosi vieppiù ingranditi ad ogni ingrandir di chi li capitanava, in Braccio rivolsero ogni brama ed ogni fatica, certi di rinvenire nel ben suo altresì il proprio. Così, per effetto del primo impulso, non cessando di operare, racquistata ch'ebbero Perugia, l'aiutarono ad entrare in Roma, a insignorirsi dell'Umbria, ed a guerreggiare lo Sforza.

Aggiungasi, che allora non ci erano carte, non libri, non discipline, per mezzo delle quali far servire l'universale esperienza degli uomini da guerra alla istruzione di ciascuno. Quindi le imprese del condot. tiero erano unica scuola al soldato, che appoco appoco

ne apprendeva gli accorgimenti, gli ordini, le mosse più particolari, e proseguivale e imitavale, quand'anche fosse uscito dalla milizia del maestro, e già pervenuto al comando di una propria schiera. Ond'è che dal modo di disporre e armare i soldati, di disegnare la guerra e di compiere le fazioni si contraddistinsero i condottieri di questa o quella scuola. E già accennammo della prestezza da Braccio tramandata a' suoi, e delle riforme introdotte dal Barbiano nelle proprie schiere. Minori vestigia lasciò di sè lo Sforza; sia che vera. mente in lui mancasse quella potenza d'ingegno, che dà un proprio colore a tutto ciò che ella tratta, sia che Francesco di lui figliuolo, superiore a Braccio e a Sforza nell'arduo mestiere dell'armi, collo scegliere di ogni scuola il meglio fondesse nel proprio sistema le dottrine paterne.

In due scuole la morte di quei due celebri condottieri lasciò divisa la milizia italiana. Dell'una rimase capo Francesco Sforza: dell'altra Niccolò Piccinino. Or la fama da costui acquistata in breve tempo merita che qui se ne raccontino le prime memorie.

Un buon beccaio di Perugia il generò: un po' di A. 1386 abbaco e di computo, e il lavorio delle lane ne occuparono l'infanzia. Mortogli il padre, la viltà di quel mestiere, l'alto suono delle gesta di Braccio, l'acerbità nativa dell'animo, e (soggiunsero i posteri) certa visione notturna del dio Marte o di s. Giorgio che si fosse, svolsero il giovinetto dal lanificio alle armi. Avutane pertanto licenza dalla madre, avviossi con un Biagio da Calisciana, suo zio, verso la Romagna, perpetuo nido di guerre e di condottieri; e bentosto

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