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sercito pontificio, ritenuto sia dal difetto di danaro, sia da qualche altra men buona e più segreta cagione, pensasse punto ad opporgli il menomo impedimento.

Alla fine Firenze e Venezia, impietosite dalle grida dello spogliato Pontefice, coll'opporre l'un condottiero all'altro, arrestarono i progressi di entrambi. A tal effetto, proposero simultaneamente così a Fortebraccio come a Sforza un onorevole accordo, stipendio al mese di 4000 ducati, e riconoscerli per vicarii delle terre occupate. Fortebraccio, acciecato da non so quale superbia, rifiutò; Sforza assenti; perlochè essendo stato tosto dichiarato marchese di Fermo e vicario e gonfaloniere della Santa Sede, voltò addosso al Fortebraccio le proprie genti accresciute da quelle di Michele Attendolo e di Niccolò da Tolentino (1).

Ma vegliava alla difesa di Fortebraccio l'acerbo sdegno del duca di Milano non meno contro il Pontefice, che contro il medesimo Sforza, reo di troppo recente tradimento. Per ordine del duca Niccolò Piecinino entrò nell'Umbria con una eletta schiera, e tal animo infuse in Fortebraccio, che questi costrinse il Papa ad escire da Roma sotto mentite spoglie, e cercare in Firenze asilo e salvezza. Quindi i due eserciti ostili, anzi le due scuole della italiana milizia, con pari ansietà posaronsi l'uno a fronte dell'altro; e, moltiplicando ogni di fra di essi gli sdegni e le ingiurie, già l'Italia s'era come rizzata in piè a contemplare per quali accidenti la vittoria definisse tra loro il primato

(1) Bl. Flav. Hist. I. cit. 479 - Joh. Simonett. 228. — Ammirato, St. Fior, l. XX. 1093. Machiav. St. Fior. V. 67.

dell'armi; allorchè una infermità venuta a Francesco Sforza, e poscia una tregua disei mesi sopraggiunsero a differire quella decisione ad altri tempi e luoghi (1).

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Col favore di cotesta tregua, Niccolò Piccinino scorse fin sotto Bologna, città ognora smembrata tra faziosi e malcontenti, vi si congiunse a 2000 cavalli speditigli da Milano, e volendosi approfittare delle gare, che sapeva essere insorte nel campo ecclesiastico tra Niccolò da Tolentino e il cardinale legato, s'avanzò da Imola verso Castel Bolognese preparato a far battaglia. Divideva gli eserciti un rivo molto profondo e grosso d'acque: uno stretto ponte a filo della via Emilia ne congiungeva le ripe molto alte e precipitose. Di là 28gosto dal ponte sopra la strada stavano accampati i ponti. ficii, di quà si erano fermati i ducali. Il Piccinino, considerato il terreno, che verso meriggio andava scoscendendosi in valli e poggi, per folti sterpi e segrete macchie opportuni alle imboscate, quivi si appostò coi più bravi a sopraccapo del ponte: nel medesimo tempo mandò alcuni fanti ad appiccare zuffa col nemico al di là del ponte; ma con ordine, che a poco a poco ritraendosi in sembianza di fuga, procurassero di condurlo sotto l'agguato.

Fu l'esecuzione conforme affatto al divisamento Era allora per caso la maggior parte de' pontificii sparpagliata per le campagne ad assicurarne le ricolte i restanti, quale con armi, quale senza, tostochè sentirono che il ponte era assalito, vi si precipitarono in massa per difenderlo. I ducali, fatta breve mostra di resistere, cominciarono a ritirarsi: quelli

(2) Joh. Simonett. 232.

- Spirito, L'altro Marte, c. XLIX.

ne presero ardire, e, seguitando la facile vittoria, si spinsero avanti ad incalzarli. Invano il Tolentino, dalla età e dall'ingegno fatto presago dell'avvenire, gridava, protestava: essere la fuga de' Braccieschi un inganno; tornassero, si fermassero; stare apparecchiata nella pianura oltre il ponte l'onta e disfatta di tutto il campo». Ma chi potè mai frenare l'impeto di gente inesperta e persuasa di conseguire una vittoria incontrastata? Egli medesimo, rivestite a malincuore le armi, affine di evitare un maggior male, fu sforzato ad accompagnare di quà dal ponte le matte schiere. Ciò veduto, il Piccinino scende a furia dai colli, occupa prestamente la bocca del ponte, e assalta alle spalle e ne'fianchi le schiere che l'hanno passato. Nello stesso istante le sue fanterie, che simulavano la fuga, voltavano audacemente la fronte. Così quasi senza fatica 3500 cavalli e 1000 fanti rimasero prigionieri. Più sventurato di tutti il Tolentino, indegna vittima dell'errore altrui ; che, mentre in umile arnese tenta fra i pruni di afferrare l'altra riva, è fatto prigione, e quindi in pena d'avere abbandonato il duca di Milano nella guerra passata, precipitato dalle aspre balze di Val di Taro. Si sparse poi voce, da nessuno creduta, che di per sè a caso vi traboccasse (1).

Per conseguenza della battaglia di Castel Bolognese 20agosto si concluse una nuova pace in Ferrara; in virtù della quale la città di Bologna venne ceduta al Visconti.

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(1) Ammirato, XX. 1098. XXI. 2.

- Joh. Simonett. 233.

-

Boninc. Ann Min, 143. Machiav. V. 68. — Cron. d'Agobbio,

973 (t. XXI). — Cron. misc. di Bol. 651. —Bl. Flav. Hist. dec.

III. 1. VI. p. 488.

III.

Erasi nell'accordo riserbato un onorevole luogo al Fortebraccio: ma questi era uno di quegli uomini, i quali, anzichè star quieti, amano attendere dal dubbio cimento delle armi i beni, che la pace darebbe loro a piene mani. Rifiutò adunque i patti, e solo si rimase incontro alla lega composta del papa, de' Veneziani e dei Fiorentini. Campeggiava egli allora Fiordimonte, fortissima rôcca elevata quasi dalla natura sopra un'alta vetta d'ogni intorno cinta di dirupi. I seppe Francesco Sforza, il quale era stato dichiarato per due anni capitano generale di essa lega, colla condotta di 5000 cavalli e mille fanti, e mandò a soccorrere la piazza Manno Barile, antico commilitone del padre suo, e Taliano da Forli testè da lui assoldato con 600 cavalli. Costoro, quando meno Nicolò sel pensa, si arrampicano pian piano per l'opposta pendice, ne sforzano le trincee, si uniscono alla guarnigione della rôcca, e dopo un breve combattimento mettono in rotta e in fuga le schiere degli assedianti.

Fu travolta nel comune scompiglio la persona medesima di Fortebraccio. I ravvisò alla splendente armatura, alla ricca divisa Cristofaro da Forli, scudiero di Sforza, e senza più gli si avventò per ferirlo. Nicolò, schivato il colpo, affrettò la corsa; Cristofaro con non minor foga gli tenne dietro. Pieno era il colle di fuggiaschi, d'armi e di cavalli, come l'inopinato terrore li mescolava; pieno era dei vincitori quà e là disseminati ad inseguire e ad uccidere: fra mezzo a loro trasvolava su feroce destriero Forte

braccio, e dietro a lui il Forlivese gridando ed accennando di arrestarlo: ognuno, ignorando che fosse, si soffermava muto a contemplare quella furia; quand'ecco entrambi ciechi dalla smania, uomo e cavallo traboccano ad un fascio in un burrone. Fu d'un salto Cristofaro ritto sui piè: Fortcbraccio, rimasto con un ginocchio sotto il destriero, invano si sforzò di rilevarsi quegli gli intimò tosto di arrendersi; questi con buone parole si studiò di trattenerlo tanto da sciogliersi dall'impaccio o ricevere aiuto. Cosi adunque, mentre Nicolò con inauditi sforzi bada a ritrarre la gamba di sotto all'acerbo peso, e Cristofaro più e più lo stringe per disarmarlo, trascorse alcuno istante. Finalmente, avendo Fortebraccio menati sottomano al nemico due colpi di spada, questi ne prese tanta ira, che, cacciatagli la sua tra il naso e la guancia, quasi morto conficcollo al suolo. Sopravveniva in quel mentre Alessandro fratello di Francesco Sforza ; Fortebraccio chiuse gli occhi per non vederlo, e durante le due ore che ancora visse, senza dir motto o far cenno, più non li riaperse (1).

Il disastro di Fiordimonte fu causa di una quasi totale sovversione della scuola bracciesca. Carlo, unico rampollo di questa famiglia sciagurata, dopo essersi invano provato a difendere Assisi, per ultimo suo scampo ricoverossi in Firenze. Quivi riuni in compagnia i più famosi soldati del padre e del cugino, e se ne fece capo. Ma quella fortuna, la quale aveva funestato le ultime ore di cotesti due, e prepa

(1) Blond. Flav. dec. III. I. VII. p. 500. — Lilli, St. di Camerino, 1. VI. p. II. p. 184.

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