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CAPITOLO QUARTO.

IL CONTE LANDO E ANICHINO BONGARDEN.

A. 1354 - 1361.

I. Effetti delle novelle tirannidi. In Bologna e Milano i sudditi vengono dispensati dalla milizia. Firenze fa lo stesso. Guardie interne delle città. — I provvigionati.-I Castellani.

II. Ordini e corrispondenze esterne de' venturieri. -Modo di assoldarli, di rassegnarli, di pagarli. Diverse qualità di

stipendiarii. Loro prerogative, pene e premii. Regole intorno alla preda. — Il Capitano Generale.

III. Corrispondenze interne de' venturieri tra loro. Potenza e audacia a cui son giunti.

IV. Seguito della narrazione. Il conte Lando in Lombardia e Romagna. Pietoso fatto della bella Contessa. I venturieri nel regno di Napoli. Di nuovo in Lombardia. Pace.

V. La gran compagnia è chiamata in Toscana. Disfatta alle Scalelle: ma il vanguardo si salva. Gli si unisce il Bongarden. Sterminio della Romagna.

VI. La compagnia sotto il conte Lando marcia contro Firen. Fugge vilmente dal Campo delle Mosche. È in Lombardia. — Fazioni del Bongarden.

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CAPITOLO QUARTO.

IL CONTE LANDO E ANICHINO BONGARDEN.

A. 1354-1361.

I.ˆ

Oramai nella maggior parte dei Comuni d'Italia alla sanguinosa libertà delle fazioni era sottentra ta la oppressiva tirannide di un solo; e la dignità di capitano del popolo era stata spenta ovvero riunita nella persona del principe, quella di podestà s'era con vana immagine dell'antico ridotta alla definizione delle cause più lievi. Varii beni tuttavia proprii della natura rigida e ferma delle signorie erano derivati da ciò; e la turba degli esuli ripatriata, le guerre civili soffocate, le forze dello Stato ragunate attorno al principe, le insolenze de' grandi compresse, le vie fatte sicure da' ladroni, i castighi secondo una legge, non giusta un impeto di parte, stabiliti, avrebbero reso invidiabile quel nuovo stato di cose; se un lusso rovinoso, una bestiale lascivia, una sterile superbia, una efferata crudeltà colle gravezze, colle contaminazioni, coll'avvilimento, co' supplizii, non avessero avvelenato quella quiete fatale. Nel governo popolare l'individuo lavora a' pubblici affari, come se fossero i suoi proprii; quindi con maggiore abbondanza e pienezza distende le sue facoltà; le quali

perciò appunto con maggiore facilità venendovisi ad affrontare e confondere, e a deviare qua e là, danno troppo spesso risultati inferiori alla grandezza dei mezzi impiegati per conseguirli. Nelle tirannidi (e noi parliamo soprattutto di quelle che nel XIV secolo violentemente sorsero sulle sciagure cittadine nella Romagna e Lombardia), delle forze individuali quella sola parte si apprezza e si adopera che può servire al principe: le restanti si deprimono, si perseguitano, e al postutto si annientano o direttamente colla forza, oppure indirettamente per mezzo della pubblica e della privata educazione.

Non sia però meraviglia, se gravi mali e fecondi di tristi mutazioni nell'universal modo di sentire e di operare compensarono i beni mentovati testè. Dall'una parte stavano atroci leggi penali, un infaticabile sospettare, un opprimere per tema, un blandire per odio, uno scialare per velo a miseria; dall'altra parte una mal repressa paura del presente, un querulo desiderio del passato, un lamentarsi a basse voci, un congiurare da assassino, un servire da schiavo. L'autorità suprema non essendo convalidata nè da durata di tempo, nè da legittimità d'origine, per ciò appunto era costretta ad un più violento operare: sicchè quel signore, che altro maggior titolo non aveva che di capitano del popolo, tanto smisuratamente comandava poi, che nè anco il più potente e dispotico monarca al presente l'oserebbe. Infatti il suo potere, come nuovo, non conosceva norme, come usurpato, non conosceva limiti; però non si tosto trovava un inciampo nelle forme non affatto estinte dell'antica libertà, ed ecco ch'esso saltava a piè pari qualsiasi ritegno di

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