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questa sola cagione avere il re cristianissimo mandate sue ambascerie a' concilii di Gostanza, di Basilea, di Laterano, al primo, ed a questo secondo di Trento (non vi contava quello di Giulio III, perchè i Francesi vi contraddissero), e pure ancora aspettarsene l'effetto. Non avere a ciò soddisfatto i padri con la preterita decisione de' dogmi, non essendo lecito al debitore di pagare a'creditori una cosa per altra contro a lor voglia. I Francesi non essere stati mai chieditori di tali diffinizioni. Che se altri le aveano chieste (intendendo gli Spagnuoli), doversi ricordare i padri che nel giudicio chiamato, familiae herciscundae, o vogliamo dire, sopra la divisione del patrimonio, la prima parte si dee al primogenito qual era nella Chiesa il re cristianissimo. Risponderebbesi per avventura, che s'era già in termine di provvedere con un lungo scritto di riformazioni ultimamente proposto. Sopra ciò principalmente esser venuti gli oratori a parlare. Averlo eglino, oltre alle note fattevi da se stessi, comunicato al re loro, il quale, uditone il parer de' suoi principi e consiglieri, nulla avea trovato che fosse

idoneo a tenere in ufficio i cattolici, a riconciliare gli avversarii, a confermare i vacillanti, poco di conforme, e molto di contrario all'antica disciplina de' padri. In breve, non esser questo quel si aspettato, e salubre impiastro d'Esaia onde guarissero le piaghe del cristianesimo, anzi più veramente quel d'Ezechiello impastato solo a coprire, per cui elle, quantunque già guarite, rincrudirebbono. Ciò che vi si poneva di scomunicare i principi (era questo nella prima forma, non nella seconda, come fu detto) non avere alcun esempio della Chiesa antica, e valer di sediziosa finestra alle ribellioni. Tutto quel capo de' principi non tendere altrove che a deprimere la libertà della chiesa gallicana, e la maestà de're cristianissimi. Questi essendo sempre stati in fede della Chiesa romana, contuttociò ad esempio degli antichi imperadori aver fatti molti editti di materie ecclesiastiche, non solo non riprovati da'sommi pontefici, ma registrati alcuni di essi tra' loro decreti, annoverando anche fra' santi i precipui autori di tali leggi, Carlo Magno, e Lodovico IX. Secondo l'ordine prescritto dai

T. XII.

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re,

avere i vescovi della Francia rette le chiese loro, non dopo la prammatica sanzione, come alcuni dicevano, o dopo i concordati di Leon X, ma quattrocento anni avanti che uscisse a luce il volume delle pontificie decretali. Queste leggi, in parte trasandate col tempo, volere il re Carlo pervenuto alla maggior età riporre nel pristino lor vigore. Imperò che nulla ripugnava in esse alla dottrina della Chiesa, agli antichi decreti de' papi e de' concilii, e alla perfezione della disciplina ecclesiastica. Non vietarsi per quelle che i vescovi orassero, predicassero, donassero, o parlando con maggior verità, rendessero il loro a' poveri, e che nel vescovado si collocassero, e si tenessero solo gl'idonei. Qui poi s'innoltrò a biasimar le pensioni riserbate per altro titolo che se il vescovo, fatto inutile, le ritenga per sostentarsi, pigliando un coadiutatore nel vescovado, la moltitudine de' beneficii, le risegne di essi a favor di certa persona, l'uso comune de'rigressi, le aspettative, le annate, le prevenzioni. Indi trascorse a negare che delle cose spirituali nel giudicio del possesso potesse litigarsi avanti ad altri che

a'tribunali del re, e nel giudicio della proprietà o in cause criminali, eziandio che il litigator fosse vescovo o cardinale, innanzi ad altro giudice che o all'ordinario, o al delegato dal pontefice, ma dentro alla Francia. Sostenne il costume d'appellar dall' abuso, come parlano i Francesi, a fin di schernire, non la mente del sommo pontefice a cui la Francia aveva portato sempre il debito onore, ma que' fraudolenti, i quali traevano le grazie di mano a sua santità con inganno. E non meno difese, che 'l re avea podestà donatagli da Dio di giovarsi nelle necessità del regno di tutta la roba ecclesiastica, come signore prima de' Galli, e poi di tutto il reame, e fondatore, e padrone di quasi tutte le chiese. Aver lui maraviglia, che i padri, i quali s'erano colà raunati per ristorar la disciplina ecclesiastica, allora, non fatto ciò, si ponessero ad emendare i principi, a' quali, quantunque discoli, l'Apostolo vuole che s'ubbidisca. Pregargli però il re di non tentar cosa opposta all'autorità sua, e alla libertà della chiesa gallicana: altramente avere imposto agli oratori che intercedessero (secondo la for

ma latina) come di fatto intercedevano. Se, lasciati stare i re, volessero dar opera a ciò perchè erano convenuti, e che 'l mondo attendeva da essi, avere ingiunto sua maestà agli oratori, che aiutassero con ogni studio la santa impresa.

Esposta l'ambasciata del re, conchiuse a proprio suo nome: volersi imitar gli Ambrogi, gli Agostini, i Grisostomi, i quali aveano abbattuti gli eretici, non con porre in arme i principi, ed essi curar solamente le panarici, ma coll'esempio, colla virtù, coll'orazione, e colla predicazione. Per opera di queste arti aver que'santissimi vescovi purgata la Chiesa, e formati i Teodosii, gli Onorii, gli Arcadii, i Valentiniani, e i Graziani. Lo stesso bramarsi, e sperarsi da' padri di quel concilio.

Taciuto che egli ebbe, il primo Legato lo richiese che per brev'ora si appartasse, affinchè potesse deliberarsi della risposta (1). Ma l'ambasciadore: che non gli caleva d'averla. Onde il Legato, pigliando subito il vantaggio di rimanere

(1) Atti di castel S. Angelo a'23 di settembre 1563.

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