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ne del beneficiato, possa egli ottenere il secondo, purchè amendue non richieggano residenza e ciò abbia luogo in tutti i beneficii di qualsivoglia natura. Chi possedeva in quel tempo molte parrocchie, o una parrocchia e un vescovado, fosse obligato, non ostante qualunque unione, di non ritenerne più di una, lasciando l'altre fra sei mesi, o di ritener solamente il vescovado : se no, isso fatto vacassero tutti i beneficii di tal persona, e non acquistasse ella il dominio de frutti. Raccomandavasi al papa, che in qualche acconcia maniera provvedesse al bisogno de' risegnanti.

18. Quando vacasse una chiesa parrocchiale, di qualunque natura e privilegio ella fosse, purchè il beneficiato v'amministrasse cura d'anime, dovesse il vescovo, bisognando, deputarvi un idoneo vicario con la congrua porzion de' frutti, il quale soddisfacesse a tutte le funzioni. Indi fra certo tempo prescritto dal vescovo, egli, i padroni della chiesa, ed altri a chi paresse buon di farlo, nominassero innanzi agli esaminatori da deputarsi, come dirassi, uno o più cherici che ne riputassero degni. Ed anche se il vescovo o il sinodo provinciale lo giudicasse profitte

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vole, per publico editto si chiamassero alla concorrenza. Dopo il tempo statuito, i concorrenti fossero esaminati davanti al vescovo, o s'egli stesse impedito, davanti al vicario, ed agli esaminatori, i quali non fossero meno di tre. Ed ove essi nel giudicio si ritrovassero singulari o eguali di numero, il vescovo, o il vicario potesse accostarsi a qual parte gli piacesse. Tali esaminatori si nominassero dal vescovo ogni anno nel sinodo diocesano e da questo fossero approvati al numero almeno di sei : e'l vescovo ne scegliesse tre per ciascun caso. Fossero cherici o regolari, o eziandio secolari, secondo che paresser migliori: giurassero d'amministrar fedelmente il carico : nulla per occasione di ciò ricevessero nè prima ne poi, altramente incorressero ed essi, e i datori in crimine di simonia, dalla quale non potesser ricevere assoluzione senza lasciar tutti i beneficiï che avevano, e rimanere inabili a conseguirli nel futuro. Finita l'esaminazione, pronunziassero quali degli esaminati, considerata ogni qualità, da loro fossero stimati idonei: e di tali eleggesse il vescovo chi egli riputasse il più degno, e questi fosse investito del beneficio da chiunque a cui ne toccasse la

provvisione. Se 'l beneficio stesse sotto padronato d'ecclesiastici, e l'instituzione si aspettasse al vescovo, il padrone fosse tenuto di presentare colui che esso padrone fra gli approvati giudicasse più degno. Se l'instituzione appartenesse ad altri che al vescovo, il padrone dovesse presentar quello che dal vescovo fosse tenuto il più degno. Se il padronato è di laici, il nominato dal padrone si esamini come sopra s'è divisato, e trovandosi degno, a lui si dia il beneficio. Dalla relazione degli esaminatori niuna appellazione s'ammetta per valevole a far si che se ne sospenda l'effetto. E tutte le provvisioni fatte d'altro modo si tengano per surrettizie. Ma se le parrocchie fossero così tenui che non comportassero tutta quest'opera, o se niuno comparisse a concorrere, o se si temessero scandali e risse per le fazioni, possa il vescovo, così giudicando egli buono in coscienza, e col consiglio de deputati, far l'esaminazione privatamente. Fosse anche lecito al sinodo provinciale aggiugnere o diminuire ciò che gli paresse per lo migliore alla recitata forma.

19. Che si togliessero e nel preterito, e nel futuro generalmente le aspettative, i

T. XII.

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mandati di provvedere, le riservazioni mentali, ed altre simili grazie su i beneficii da vacare, e tutti gl'indulti eziandio de'cardinali, a chiese o a monasterii d'altrui.

20. Che tutte le cause eziandio beneficiali si conoscessero dagli ordinarii nella prima instanza; ma se non rimanessero ters minate fra due anni, fosse lecito a ́litigatori di trasportarle al giudice superiore nello stato in cui si trovassero. Non s'ammettesse appellazione se non da decreto che avesse vigor di sentenza diffinitiva, o che recasse aggravamento inreparabile per la diffinitiva. Si eccettuano quelle cause, le quali secondo i canoni deono esser trattate dinanzi alla sede apostolica, e quelle che al papa per ragionevole ed urgente cagione paresse conveniente di assumere a se, o di commettere altrui per commessione speciale segnata di sua propria mano. Le matrimoniali, e le criminali non si commettessero a minori ecclesiastici, ma si lasciassero a vescovi. Quando nelle matrimoniali una delle parti provasse innanzi al vescovo la povertà, non fosse tenuta di litigare nè nella seconda, nè nella terza instanza fuor della provincia, se la parte contraria non le prestasse gli alimenti, e in

sieme le spese per la lite. Nè pure i Legati de latere o altri pontificii ministri potesser procedere contra i cherici, se il vescovo prima ricercato non fosse in ciò negligente. Nei casi permessi d'appellazione l'appellante dal vescovo fosse obligato di trasportare a sue spese tutto il processo, e d'ammonir lo stesso vescovo, affinchè volendo potesse informare il nuovo giudice: innanzi al quale se l'altra parte comparisse, e intendesse usar degli atti trasportati, convenissele di restituir le spese per la sua porzione, ove non fosse consuetudine opposta. Il notaio dovesse dar gli atti all'appellante almeno fra un mese.

L'ultimo capo era: che desiderando il concilio, non averci pe futuri tempi veruna materia di dubbio ne'suoi decreti, dichiarava non essere stata sua intenzione, che quelle parole del decreto publicate nella prima sessione sotto Pio IV: proponenti i Legati e presidenti, le quali eransi stimate acconcè a terminar le discordie, a raffrenare le lingue fraudolenti, e a correggere i mali usi, allerassero il solito modo di trattare i nego zii ne concilii generali; nè che per quelle di nuovo s'aggiugnesse, o si levasse a veruno

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