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i Legati al conte. Ma egli non accettò la condizione, veggendo il pericolo della riuscita se i Legati non portavano all'adunanza il nuovo decreto come da essi formato, e se con la loro autorità non gli appianavano il passo. Considerava che per l'assenza del cardinal di Loreno e d'alcuni Spagnuoli divertiti altrove in quel l'indugio della sessione, e per la ricordata partenza di molti Francesi, l'urna rimaneva in balia degl'Italici, il cui senso molto si scostava da quello degli oltramontani: e udiva, che sopra cento eransi accordati di contraddire alla proposta: la quale se dal convento sostenesse il rifiuto, vedeva egli che 'l protesto sarebbe poi venuto odioso, come ordinato non tanto a ristorare la libertà del concilio, quanto ad impugnare la volontà del concilio. I Legati, per altra banda apportavano in difesa, non poter eglino avanzare oltra le commessioni del papa impetrate dagli stessi Spagnuoli: e darne a loro l'esempio il conte che era si fisso nell'osservare quelle del re: essi null'altro volere che la libertà del sinodo, sì come dimostravan gli effetti. Ma il conte ripigliava, che del partito allora

offertogli da'Legati sarebbe rimaso contento venti di prima: là dove poi essendosi già convenuto fra loro d'acconciare il decreto con divisarne e comunicarne scambievolmente ancor de' modelli, parevagli che ciò fosse un camminare a ritroso, e gli poneva strani pensieri nell'animo.

Quanto la causa de'Legati appariva giusta, tanto per converso questa opposizione dell'oratore appariva forte. Essi nondimeno studiavan di schermirsene rispondendo: che se'l conte si fosse innanzi appagato d'una competente dichiarazione, l'avrebbe da loro ottenuta mentre procedevano con minor guardia, e con vista meno sottile: ma che il volerla egli in forma si disdicevole al loro ufficio, gli avea mossi a farne consiglio in una special congrega tenuta in casa del cardinal Simonetta coll'intervenimento di molti prelati: e che quivi rilettasi la commessione del papa con più fino sguardo, avevano osservato ciò di che non s'erano prima avveduti: e che però non dovea parere strano che ricusassero quello a che davanti sarebbono stati presti quando avvisavansi di poterlo lecitamente: che poi

una tale impotenza dianzi da loro prodotta non fosse scusa ma verità, manifestarsi nel tenore della medesima lettera pontificia ottenuta dagli Spagnuoli.

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Richiesegli il conte, che procacciassepapa la facultà la qual non aveano. Essi negarono che o il loro debito, o il grado, o'l beneficio comune gli consigliasse di farsi procuratori in si fatta causa: stare in Roma due ambasciadori del re, che potevano appresentar le ragioni e le preghiere di sua maestà al pontefice, a'primi cenni del quale avriano ubbidito. Ma il conte vedeva che in Roma sarebbe stato malagévole l'impetrar più avanti, potendo il pontefice con sì onesta sembianza opporre alla richiesta degli Spagnuoli quella libertà del concilio tanto da essi invocata. Onde fin discese a domandare i presidenti: se rimettendosi in pura forma la proposizione al sinodo, ne credevano l'approvamento. Perciò che se rispondevan di sì, pensava in tal modo averli obligati a far opera di mostrarsi veritieri presaghi. Ma essi con avveduta cautela si tennero in dire, niuna predizione rendersi più malagevole che de' suc

cessi dependenti dall'arbitrio di molti: potersi nondimeno credere, che essendo quella proposta favorevole alla podestà de' padri, non sarebbe da essi comunemente secondo il privato affetto disfavorita. Il conte, nulla veggendo per tal risposta avvantaggiato il suo giuoco, non volle avventurarsi ad una repulsa disonorevole al re, a se, e alla causa: onde non lasciò in ozio verun ordigno. Parlò egli più volte a'Legati, fe parlar da' prelati spagnuoli ora per suo nome, ora sotto il proprio loro, ed in vista di consigliare, e di prenunziare amare tragedie se negavano al conte, anzi al re, quella sì voluta soddisfazione. E, ciò che più di tutto avea forza, mise a lega seco gli altri oratori, il francese (erane rimaso uno solo, essendo il Fabri andato a Vinezia), il portoghese, e i cesarei. Ma tutti, in vece di persuadere a'Legati l'intento loro, parea che cedessero ne'colloquii alle contrarie ragioni, e promettevano ogni opera a fin di guada'gnar con esse l'intelletto del conte: il che però se non riuscisse, come di fatto non riuscì, scusavansi di non poterlo abbandonare in quell' impresa per le commes

sioni precise de❜lor signori. Fra essi nondimeno i cesarei negarono di concorrere alle protestazioni apparecchiate e comunicate loro dal conte, senza prima riceverne nuovi specificati comandamenti di Ferdinando. Ed assai più alieni dal congiugnersi a quella inchiesta erano l'orator pollacco, i vineziani, e gli altri italiani.

Il conte applicò tutte le forze per vin

cer l'animo degl'imperiali, come acquisto che riputava insieme e più agevole e più valevole. Ricordava loro gli ordini generali ed amplissimi dati ad essi dalla maestà cesarea di stare uniti con lui e di caminare insieme ad un passo; la qual unione degli oratori esser richiesta da quella strettissima e del sangue, e degli animi, e de' profitti che teneva congiunti i loro padroni. Per converso il cardinal Morone adoperava quell'arme che solea parer nella forza il Gorgone contra gl'impeti più formidabili degl' imperiali, dinunziando loro, che ove per parte di Cesare, sotto il cui patrocinio il sinodo dimorava, si venisse a protesti, tal che egli di protettore si dichiarasse avversario, i Legati di presente farebbono quindi partita, li

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