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te in veruna legge: imperò che avea solo mutata la chiesa d'Auch in quella di Narbona, con obligazione di lasciar questa o l'altra di Lione dentro il tempo determinato dal concilio, il quale concedeva sei mesi dal giorno della conseguita possessione: e questa non aveva egli ancora ottenuta, nè sapevasi quando l'otterrebbe, per cagione degli ugonotti. Che quantunque il concilio non fosse confermato ancora dal pontefice, s'era specificato in quelle concessioni, che non s'intendesse derogato a niun ordinamento di esso, e 'l cardinal di Loreno avea preso in se di giustificar quell'opera in qualunque luogo. Così fe rispondere il papa. Ma oltre a ciò non si riducevano a memoria que' religiosi padri, che questa podestà ecclesiastica, per cui non è armata altra milizia che la divozione de' sudditi, convien che proceda con gran disparità di rigore dove è disparità non solo di merito, ma di potenza, massimamente quando principi simiglianti ad un re di Francia, e a un duca di Ferrara domandan le grazie intorno a chiese situate ne❜lor paesi, le quali scorgonsi amministrate meglio

eziandio nell'ecclesiastica disciplina, allor che la mano del vescovo è sostenuta dal braccio del dominante. Però che si come osserva più perfettamente le sue leggi lo spirito quando non gli resiste il corpo, così più perfettamente si osservano le leggi della podestà che ha in cura lo spirito, ove non resiste quella che signoreggia il corpo.

Una settimana dopo le significazioni fatte dal primo Legato al papa sopra il consiglio del Delfino, pervennero a Trento nuove lettere (1) di Ferdinando, le quali, benchè non di subito, sgombrarono le malagevolezze col conte, ed insieme finiron di torre l'intoppo occorso nel decreto de' principi.

Esprimevansi nel proemio con le più cordiali forme l'amore, e l'unione di Cesare verso il re suo nipote. Indi significavasi, che nella presente richiesta dell'oratore gli si appresentavano varie difficultà. Essersi da lui sempre abborrite sì.fatte protestazioni, dalle quali avea veduto risultare assai scandalo, e niun profitto: si

(1) Lettera dell'imperadore al conte di Luna e a' suoi oratori da Possonia a' 12 d' ottobre.

che la maniera con cui da molti eransi fin allora usate, o più tosto mal usate, ne avea renduto odioso anche il nome: tanto che egli aveva commesso a'suoi ambasciadori, che nel capo de' principi sotto circoscrizione d'altri vocaboli meno spiacenti preservassero le sue ragioni. Che il re Filippo nelle lettere sue al conte non chiedeva ad esso Cesare ed a'suoi messaggieri che protestassero; nè pur quivi diceva d'essere a pieno informato di ciò che erasi stabilito in Ispruch fra lui e'l cardinal Morone. Aggiugneva, figurandosi eziandio che un tale stabilimento non fosse preceduto, e l'affare ancor fosse stato intero, non veder egli ragione per cui avesse dovuto ricusar lo stesso partito, se allora e non prima ne avesse udita la proposta. Nulla per un tal partito, come opponevasi dal re, levarsi alla libertà dei prelati, alla quale non potea recar pregiudicio la convenzione di verun principe. Senza che, ove alcun prelato avesse nell'animo proposizioni degne d'udienza, e i Legati gliene impedissero, potrebbono gli oratori di quel principe delle cui contrade il prelato era, portarle in mezzo:

e per tal via divenir libero a tutti il proporre, o fosse con la propria lingua, o con l'altrui. Nè più nuocere la seconda obligazione notata dal re, di conferir prima co' Legati della proposta: imperò che ciò ad altro non necessitava che a sentirne il consiglio di essi, il quale eziandio di persone molto inferiori a'Legati era buon l'ascoltare. Non dir lui questo a fine di trarre il conte allo stesso, veggendo che al re non era piaciuto, ma per dimostrargli quanto grave sarebbe a se il ritrarsi da ciò che con tanta considerazione avea concordato verso di se solo, e salve le ragioni degli altri principi. Davvantaggio, che se gli oratori suoi venissero a quel non propensato protesto, era gran pericolo che i Legati repente si dipartissero: il che, meditasse il conte per sua prudenza, con quanto infelice ed orribil morte seppellirebbe il concilio, e qual trionfo darebbe a' nemici del nome cattolico, mirando incorsi in tanta discordia il sommo pontefice per l'un lato, Cesare, i re di Spagna, di Francia, e di Portogallo per l'altro.

Appresso a ciò, significargli lo stesso

conte, che se tal proposizione si facesse nell'adunanza, era molto da temere che i più la rifiuterebbono. Onde poteva argomentarsi che 'l medesimo sarebbe avvenuto del protesto, divisando il conte di farlo non in privato colloquio a' presidenti, ma in publico a'padri: perciò che chi poteva negar loro in tal caso, che non se ne pronunziasser le voci, e non se ne registrasse il decreto negli atti? Or sì fatto rifiuto quanto pregiudicio avrebbe apportato, massimamente sapendo il conte, avere i padri questa sentenza, che nelle deliberazioni del concilio tutta l'autorità di giudici fosse in loro, e niuna ne' principi? Parer all'imperadore, che, leggendosi attentamente l'ultime parole della real commessione, vi si scorgesse molta cura d'un tal pericolo, e però molta cautela nel modo.

Passava a dire, che, quantunque anche tutte queste ragioni fosser cessate, per deliberar sopra quella particella postasi nel primo decreto del sinodo, saria bisognata maturità, e lunghezza: onde ciò non s'accorderebbe con gli ordini dati ultimamente da se a' suoi oratori di promuovere il finimento del concilio. Aver egli ciò

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