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statuito non tanto per compiacere al pontefice, a cui pur doveva e voleva soddisfare in tutte le cose oneste, quanto per altri rispetti i quali non riputava di dover senza necessità fidar pienamente alla carta. Ma il precipuo essere, che gli era entrata opinione, tutto che il concilio fosse ancor durato cent'anni secondo la forma nella quale avea cominciato a procedere, potersene sperare o niuno o picciolo frutto, e per contrario potersene temere forse maggiori scandali che per addietro.

Parlava in tai sensi l'imperadore intorno alla durazion del concilio, perciò che egli, si come anche i Francesi, l'avea desiderato, non primieramente per ristorar la disciplina, ma per riunir gli eretici, e per pacificar gl' intestini contrasti: e poscia l'avea sperimentato, non pure ordigno poco acconcio a un tal fine, ma esca pericolosa d'accendersi in loro sollevazione: imperò che fin l'anno addietro nella dieta di Francfort i protestanti s'erano dimostrati rabbiosi per quell' adunanza raccolta a fine di condannarli, ed aveano dinunziate a’vescovi dell'imperio vendette d'ostil ferità se vi concorrevano: onde

questo era stato il principal ritegno perche niuno di loro vi fosse comparito personalmente, anzi nè pure, salvo rari di essi, per procuratore. Ed allo stesso Cesare aveano fatti minaccevoli protesti. Tanto che s'era dubitato, che per difendersi da' cattolici s'unissero in una formidabile confederazione non solo tutti gli eretici tedeschi di qualunque setta, ma che eziandio v'inchiudessero il principe di Condè e gli ugonotti di Francia. Aggiugnevasi che 'l nuovo decreto posto a campo intorno alle podestà secolari facea temer Ferdinando, che non terminandosi fra breve tempo il concilio, gli sarebbe convenuto, o sopportare quell'asprissimo correggimento della sua giurisdizione, e farlo ricevere nell'imperio con pericolo di nuovi moti, o rompere col pontefice e con tutto l'ordine ecclesiastico: il che riputava dannevolissimo. Nel resto è palese che non ne chiamava egli infruttuosa la durazione per ciò che apparteneva all' emendazion della disciplina: quando appresso confessava che in questa parte aveva a misura colma ottenuto quasi tutto ciò che per lui s'era proposto, o che si poteva proporre.

Proseguiva l'imperadore nella sua lettera: che, poste le mentovate considerazioni, e che 'l papa fosse bramosissimo della conclusione, che quasi tutti coloro i quali v'intervenivano ne avesser presa stanchezza, che molti di quelli i quali sarebbon dovuti venirvi, non vi fosser compariti, non veder lui come egli e 'l re suo nipote soli potessero contrastare al volere di tutti gli altri, e prender sopra le loro spalle quel peso intero. Essendo però alle porte il fine del concilio, qual sollecitudine doveano pigliarsi di quella particella? Massimamente che, a dir vero, quanto apparteneva a se, in quasi tutte le proposte che egli avea fatte, o che potea fare, gli era stato a pien soddisfatto. Per quello poi, che riguardava all'indennità de'concilii futuri, avvisarsi lui che per lunghissimo tempo non se ne dovessero più celebrare in questa guisa. E quando pur altro avvenisse, ove il seguente concilio possedesse la dovuta sua libertà e preminenza, avrebbe podestà d'aggiustar queste, ed altre cose.

Oltre a ciò scriveva, che essendo egli informato da uomini letterati, come negli

antichi sinodi non solo i padri e gli ambasciadori, ma tutte le persone d'autorità riguardevole avevano esercitata facultà di proporre, anzi anche al meno la voce consigliativa, non credeva che per quelle parole, proponenti i Legati, poste incidentemente, si dovesse trarre una prova, secondo che parlano i legisti, dal contrario senso, per cui s'intendesse pregiudicato alle ragioni di tanti: specialmente che, si come il conte medesimo confessava, di fatto in quel concilio aveano proposto e gli oratori francesi, e i veneti, e molti de' padri: il qual uso portava seco in bastevol modo la domandata dichiarazione, a caratteri non d'inchiostro, ma di fatti. Se il conte la voleva a fin di proporre alcune cose intorno a quel capo de' principi, intender Cesare da'suoi, che senza questo gli sarebbe stato permesso. Il re, quando erasi ciò da lui ordinato, non aver veduto lo stato presente del concilio, nè averlo potuto indivinare; nè le forme della lettera regia parere a se così precise, che non si lasciasse l'esecuzione alla prudenza dell'oratore. Aver egli significati questi pensieri non per indurre il conte a

quello che egli riputasse dispiacente al suo principe, ma per iscusar se medesimo. Ben che, per l'amore paterno il qual egli portava al re suo nipote, gli sarebbe stato di grande afflizione che nascesse verun rancore fra la serenità sua e 'l santissimo lor signore: perciò che in sì pericolosi tempi della republica cristiana niente più facea di mestieri che l'unione fra tutti i signori cattolici: onde egli pregava il conte che, in quanto potesse, indirizzasse a questo segno con pietà e prudenza tutti i consigli e tutte l'operazioni. Parer dunque a se, che, ove si fosse potuto in quella differenza ritrovar acconcio fra 'l conte e i Légati, non dovesse sprezzarsi. Onde l'affezion che egli aveva non solo alle persone, ma insieme alla causa, gli faceva sovvenir varii modi.

L'uno essere, quando si conseguisse dichiarazione con forme amplissime, che quelle parole, proponenti i Legati, non avessero intendimento di derogare alle ragioni, all'instituzioni, e alle usanze nè de'concilii andati nè de' venturi. Se ciò non s'ottenesse, potersi fare ogni diligenza perchè i Legati fosser contenti o di tra

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