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possa contrarre fin che questa non ritorni in piena e sicura franchezza. Il rattore e tutti gli aiutatori e fautori sieno perpetuamente infami e incapaci di qualunque dignità: e se fossero cherici, cadano dal grado. Il rapitore, o che si ammogli, o che non si ammogli con la rapita, sia tenuto di dotarla convenevolmente ad arbitrio del giudice.

7. Perchè spesso i vagabondi prendono in più luoghi più mogli, il concilio ammonisce e coloro a' quali appartiene, che non ammettano di leggieri tali uomini a far matrimonio, e i magistrati secolari che gli raffrenino: e comanda a parrocchiani che non assistano a matrimonii loro senza premetter diligente inquisizione, con informarné poi l'ordinario, e averne da esso licenza.

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8. I concubinarii, o sieno ammogliati o no, dopo tre ammonizioni dell' ordinario si scomunichino, nè si assolvano se prima non hanno ubbidito. Ove sieno stati nella scomunica per un anno, l'ordinario severamente vi proceda secondo la qualità del crimine. Le concubine dopo la terza ammonizione sieno punite gravemente dall' ordinario, eziandio scacciandole a suo arbitrio dalla diocesi, e invocato il braccio secolare: rimanendo

in vigore gli altri gaslighi contra gli adulteri ed i concubinarii.

9. Sotto pena di scomunica da incorrersi isso fatto, niuno di qual si sia dignità forzi altrui o suddito suo o non suddito, o per diretto o per indiretto, a contrarre ma

trimonio.

10. Dall' Avvento sin a tutto il giorno dell' Epifania, e dalle Ceneri sin a tutta l'ottava di Pasqua si osservino gli antichi divieti delle nozze solenni. In altri tempi il sinodo le permette. Ma i vescovi pongan cura che sien fatte con la debita onestà e modestia: imperò che il matrimonio è cosa santa, e si dee santamente trattare.

A questi decreti consenti la maggior parte: ma varie e gravi furono le contraddizioni. Il cardinal Morone disse a voce che nel duodecimo canone, in cui si diffiniva che le cause matrimoniali appartenessero al giudice ecclesiastico, non gli piacea l'anatema: nel che ebbe qualche seguace. Sopra il clandestino diè una cedola tale: Intorno ad annullare i matrimonii clandestini, seguirò l'approvazione o la riprovazione del santissimo signor nostro: avendo io udite sopra ciò sentenze diverse

d'uomini dottissimi, e sapendo che è stato detto a san Pietro e a'suoi successori: ho chiesto per te, o Pietro, che non manchi la tua fede.

Il Legato Osio mandò il giorno vegnente a'notai del concilio sì fatta scrittura: De matrimonii clandestini sentir egli ciò che sin a quel tempo aveva sentito la Chiesa, dalla quale s'eran tenuti per illeciti, ma non per nulli in valore. Non piacergli dunque tal novità contra la dottrina che aveva esso ricevuta fin allora dalla Chiesa, nè vedersi nuova cagione. Se altramente fosse paruto al pontefice, a cui domandava che questa causa si rimettesse, sottoporre esso il giudicio proprio a quello di sua santità con la debita ubbidienza, riverenza, e sommessione. Oltre a ciò, il nono canone da lui approvarsi, intendendosi secondo la mente del concilio, la quale non era stata di diffinire, che la legge del celibato sia legge ecclesiastica, il che nè pur erasi disputato, ma solo di dannar l'errore di Lutero con le sue stesse parole, le quali erano: non ostante la legge ecclesiastica, e 'l voto.

Il cardinal Simonetta disse, ogni cosa approvarsi da lui, salvo l'annullare i ma

trimonii clandestini, a che non potea quietarsi per coscienza, se altro non paresse al pontefice, a cui si rimetteva. Il Navagero tutto approvò.

Al cardinal di Loreno dispiacque l'essersi posto l'anatema nel sesto canoné, ove si dice, che la solenne professione scioglie il matrimonio non consumato: e parimente nel nono gli spiacquero quelle parole, legge ecclesiastica. Approvolle nondimeno se le approvasse la maggior parte, ma secondo la vera mente del concilio. E qui aggiunse lo stesso appunto che si è riferito del Legato Osio. E in amendue questi capi molti abbracciarono il suo parere.

Il cardinal Madruccio dissenti al canone quarto, e al sesto. Nel nono convenne col Lorenese. Riprovò che s'annullassero i clandestini, e non meno riprovò il decreto del ratto.

Il patriarca gerosolimitano impugnò agramente l'annullare i matrimonii clandestini, dicendo che per la contraddizione d'alcuni Legati e di molti padri, per l'opposizione delle Scritture, e per l'evidenza delle ragioni credeva, non potersi ciò dif

finire: e voleva che tutto questo fosse registrato negli atti, ma nientemeno rimettevasi al giudicio della sede apostolica.

Fra i contraddittori, de'quali riuscirebbe a noia il lungo catalogo, fu il Mocenigo, arcivescovo di Nicosia e primate di Cipri: il quale insieme, affinchè non si potesse dubitare della retta fede che tenevano i suoi Greci, produsse autentica, e richiese che si ponesse fra gli atti del concilio, la professione fattane si da'vescovi di quel regno, come anche dagli Armeni e da' Maroniti in un sinodo provinciale di Cipri sotto Elia patriarca l'anno 1340, nel pontificato di Benedetto XII o XI come altri il conta, e poi raffermata in altri loro sinodi eziandio a tempo del suo governo, nella quale ricevevano interamente la dottrina della Chiesa romana tanto nella materia de' sacramenti, quanto nel resto, e riconoscevano con parole amplissime la suprema autorità del romano pontefice. Gli altri più chiari nella schiera de' contraddicenti furono fra Guasparre del Fosso arcivescovo di Reggio, frate Ottavio Preconio conventuale arcivescovo di Palermo, si veramente che si rimise al

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